Adesso che Marcello Lippi è costretto a tornare a casa, possiamo rientrare anche noi al campo base ed essere rimpatriati in tutta fretta tra le cose che contano? Possiamo rinfoderare tutto il nostro armamentario di parallelismi e triangolazioni, di convergenze parallele e pure divergenti, tra palloni e imprese che rotolano? Tra Pomigliano e Johannesburg. Tra la Polonia che ci strappa le Panda e la Slovacchia, un tempo metà di un intero, che ci stoppa e ci incarta tre goal da portare a casa?
Prima, però, lasciateci scorrazzare per l’ultima volta sui percorsi incrociati, viaggi di andata e ritorno tra terreno di gioco e terreno di lavoro per non dire di vita. Lasciateci dire che le arroganze del ct non sono molto dissimili da quelle di certi nostri politici. Per esempio di Bossi, con il quale Lippi si è inteso benissimo sia nell’inquadrare il grave problema, sia nella greve esposizione. «Vincerete se comprate la partita». «Stai zitto e vergognati». Chissà se il Bossi si è già pentito di avere chiesto scusa al Boss azzurro? Avesse aspettato qualche ora avrebbe potuto infierire. Che so, aggiungendo: comprano e non si accorgono che è merce avariata. Oppure: Se non comprano, non vincono.
Ma sì: nel calcio, come nella politica, si può dire e smentire ciò che si vuole. La platea, da anni scesa nei bassifondi della zuffa grazie ai vari talk show televisivi senza fine né costrutto, è abituata alla rissa e all’ingiuria continua. Ogni giudizio, anche il più avventato, campato per aria, buttato lì a caso, è accettato e vidimato dal pubblico delle contrapposte tifoserie. Allo stadio come in tinello.
Gli eroi della saga calcistica salgono e scendono dal podio con casualità che dovrebbe indurre alla cautela anziché agli osanna. Dall’altare alla polvere non ci sono che pochi centimetri, poche ore e poche pedate. Sul campo e tutt’attorno il capriccio sembra regnare sovrano. Si vive in una lotteria che ti elegge allo status di fenomeno se fai il goal giusto al momento giusto e di guru se azzecchi il pronostico, ma che ti sprofonda nell’abisso dei dementi se neanche una delle tue previsioni o speranze va a segno. I ruoli sono ovviamente intercambiabili nel giro di quindici giorni. O di quattro anni, come nel caso di questa nazionale che, entrata in campo da campionessa in carica, esce in malo modo dalla porta di servizio. Non è da campioni arenarsi al primo turno.
Archiviata la grande illusione (ma chi ci credeva veramente?), possiamo tornare a casa? Possiamo tornare a occuparci di scontri meno simbolici e meno virtuali? Ma non guardandoli alla tv. Partecipandovi. Con una firma per imbavagliare leggi liberticide. Con uno sciopero per dire la nostra sui marcellilippi che governano il Paese masticando forsennatamente chewingum e richieste di futuro e di maggiore di equità. Con l’informazione vera per fermare progetti speculativi e privatizzazioni di una cosca sempre più dilagante e sempre più arrogante.
Vogliamo scendere in campo. Vogliamo giocarci la partita del nostro destino. Purtroppo siamo a corto di allenatori. E se c’è da menare le mani finisce sempre che ci meniamo tra noi. In senso figurato, oh yeah.
Ivano Sartori, giornalista, ha lavorato per anni alla Rusconi, Class Editori, Mondadori. Ha collaborato all’Unità, l’Europeo, Repubblica, il Secolo XIX. Ultimo incarico: redattore capo a Panorama Travel.