La Lettera

Per ripulire la democrazia inquinata i ragazzi hanno bisogno di un giornale libero

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Teatro bene comune per il palcoscenico di dopodomani

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Per sconfiggere i pregiudizi non serve parlare inglese: “c’è un fondo reazionario della nostra cultura che si serve del cattolicesimo italiano come una foglia di fico”. Tullio De Mauro, il più importante linguista italiano, affronta per la prima volta in questa intervista il problema dell’omosessualità. Parlarne liberamente, ma parlarne come?

De Mauro: il movimento gay dovrebbe parlare italiano e non aggrapparsi ad un malinconico inglese

15-07-2010

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Napoletano (è nato a Torre Annunziata nel 1932) De Mauro, ha insegnato in diverse università e il suo dizionario della lingua italiana, il cosiddetto “De Mauro” (ora fuori catalogo), è stato per anni un punto di riferimento nell’ambito dei dizionari online, tanto che la versione italiana del browser Mozilla Firefox lo includeva nella casella di ricerca. Si é anche impegnato politicamente: durante il governo Amato II è stato ministro della Pubblica Istruzione.

Lo abbiamo avvicinato per chiedergli un’intervista su omosessualità e pregiudizi veicolati appunto dai mass media. È sicuramente una delle prime volte che al professore vengono poste domande su questo argomento. Risposte interessanti perché ci fanno capire gli impliciti nell’informazione che ci riguarda; la necessità di riconoscerli e di studiarli, l’opportunità di collegarci con le eccellenze del mondo della cultura, del giornalismo, della satira per imparare ad essere più comprensibili e più efficaci nella comunicazione. Insomma, farci ascoltare.

Professore, grazie per aver accettato questa intervista. Come si costruisce, attraverso il linguaggio, un pregiudizio?
Beh, è uscito un bel libro di Anna Ferraris, il titolo è “Chi manipola la tua mente?” (Giunti), che stiamo discutendo in questi giorni.
Certamente, uno dei… – non l’unico – ma uno dei mezzi… è adoperare in modo improprio certe formule, persino dire cose esatte ma fuori contesto. Il caso tipico è quello degli stereotipi razzisti. Purtropppo avvengono molti incidenti stradali, nessuno dice: “Italiano investe un bambino… italiano investe una vecchietta… l’italiano è un pirata della strada”. Però se è uno zingaro, se è un rumeno, se è un albanese, subito il titolo rischia di essere “Albanese investe… rumeno investe… albanese colto a rubare…”. Sì, ma… Dopo di che bisogna rimontare quest’ondata razzista, divulgare statistiche complesse, da cui risulta poi che l’indice di criminalità degli oriundi albanesi, per esempio, è nettamente inferiore a quello degli italiani. Però è l’immagine… che rischiamo di avere tutti. Se c’è un lavorante albanese che viene in casa, il buon borghese anche meglio intenzionato, pensa che gli albanesi siano quelli che rubano, che investono, che investono per strada, non che investono i quattrini, di questi ultimi non si parla, anche se ci sono… Ecco lo stereotipo linguistico, o la falsa informazione, deliberatamente falsa.

Oggi si è parlato dell’istituzione di un osservatorio sulla comunicazione e sull’informazione relativa ai temi dell’orientamento sessuale e dell’identità di genere. Cosa ne pensa?
Penso che sarebbe molto importante. Penso che però il lavoro sia così delicato, così ampio da fare, che dovremmo farlo in modo più integrale, andando a cogliere anche quel non detto, quei formulari che coprono fatti accertati, di cui avrebbe dovuto occuparsi un osservatorio promosso dalla Federazione della stampa e che poi invece non ha mai avuto seguito. Io spero molto che questa sia la volta buona e sarebbe veramente importante.

Cosa pensa della rappresentazione delle persone omosessuale nei mass media oggi?
Io credo che bisogna cercare di capire anche retrospettivamente che cosa è successo. Siamo passati dal silenzio, sostanziale, dalla inesistenza… Era meglio o peggio? Io credo che fosse peggio. Dal silenzio, dicevo, all’affioramento della notizia che… esistono! Solo che questa notizia viene data poi in modo scorretto molto spesso. Però bisogna cercare di capire il fenomeno nella sua storia, vedere che ci sono strascichi negativi fortissimi, e isolarli, combatterli… per ottenere il riconoscimento dei diritti, dei pari diritti di tutti.

Professore, conosce il significato dell’acronimo glbt?
Ehm… no. Forse l’ho anche registrato in un dizionario, però non lo conosco. Mi dica.

Vuol dire che stiamo parlando di persone gay, lesbiche, bisessuali o transessuali. Professore, conosce invece la differenza tra outing e coming out?
Mah… outing mi pare una brutta traduzione in inglese di esternazione. Coming out no, non ricordo, non so cosa sia. Mi dica.

Coming out significa rivelare il proprio orientamento sessuale, outing significa rivelare quello altrui.
Beh… però mi pare proprio un cattivo uso dell’inglese.

Cosa potrebbe fare il movimento gay per rendere più comprensibile la richiesta di diritti e la lotta contro l’omofobia?
Cercare di parlare italiano di più, naturalmente, in queste parole-chiave per lo meno. E che altro potrebbe fare… Ricordarsi che c’è l’articolo 3, comma II, della Costituzione della Repubblica italiana che parla di pari partecipazione senza differenze, tra l’altro, di sesso, e quindi di orientamento sessuale, e legarsi a quei pochi – o molti? speriamo molti – che si battono perché quell’articolo sia realizzato in tante sedi in cui deve essere realizzato, dalla scuola al lavoro.

Nei college inglesi e nelle università americane ci sono cattedre di studi gay e lesbici, i cosiddetti gay and lesbian studies. Perché in Italia non si attivano corsi universitari di questo tipo?
Da noi no. Perché è molto faticoso. È molto faticoso persino parlare di genere. E di sesso, in genere. Perché c’è un fondo reazionario. La mia analisi è questa: c’è un fondo reazionario della nostra cultura che si serve del cattolicesimo italiano come una foglia di fico. In realtà sono le classi dirigenti, miscredenti, laiche a modo loro per così dire, che lavorano per rendere la vita difficile a chi vuole costruire un paese più eguale e più democratico. E naturalmente Santa Madre Chiesa nella versione della Conferenza Episcopale delle volte, molto spesso, regge la coda a questo. Ma bisogna stare molto attenti. Perché la prima reazione alla sua domanda sarebbe: «Perché siamo un Paese cattolico». Ma ci sono Paesi cattolici in cui non è così. E non è necessario che la Chiesa sia reazionaria. È usata e si fa usare, ben volentieri magari, per avere quattro soldi in più da qualche parte…

Qual è il suo sogno più grande o per lo meno quello che vorrebbe condividere con noi?
Sono tanti, mah… Io cerco di lavorare intanto per ricordare che esiste l’articolo 3, comma II della Costituzione, come ho detto, che riguarda la partecipazione alla vita sociale e politica di tutte e tutti. E poi cerco di occuparmi di piccoli settori: l’istruzione, il modo di parlare…

È ora di salutarci. Il professore si congeda, ci stringiamo la mano. Guardare quest’uomo che continua a fare ricerca, a divulgarne i risultati, a rilasciare generosamente interviste dopo aver tenuto una relazione complessa sulla libertà di informazione ma soprattuto, lo ripetiamo, sul diritto dei lettori ad accedere a un’informazione corretta, riguarderà anche un “piccolo settore”, come egli dice, ma rappresenta un forte richiamo alla professionalità degli operatori della comunicazione e un impegno più generale di condotta democratica.

Pasquale Quaranta, nato a Salerno nel 1983, è giornalista. Laureato in Scienze della Comunicazione con una tesi su "La cultura gay online", vive e studia a Roma. Ha curato il libro "Omosessualità e Vangelo. Franco Barbero risponde" (Gabrielli Editori, 2008). È stato consigliere nazionale Arcigay e portavoce del Salerno Pride 2005.

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