Alberto Prunetti, in questo curioso e piacevole libretto, mette in pagina una storia familiare quasi dimenticata che riguarda la possibilità di riscuotere una eredità dello “zio d’America”, un siciliano emigrato in Argentina dove era diventato il fioraio ufficiale della Casa Rosada, cioè del Palazzo di Governo argentino. Il nipote, forse lo stesso Prunetti, decide di andare a vedere cosa ne è stato del fioraio e del suo lascito; ma non è solo questo a interessarlo perché il narratore ha una curiosità per quel paese di cui conosce le tragiche e recenti vicende.
È lo sguardo di questo alter ego dell’autore a fornire al lettore la parte più interessante della vicenda, e cioè una visione dell’Argentina da una visuale né del tutto esterna, né totalmente interna. Il primo gesto del narratore è quello di andare da Osvaldo Bayer, storico e specialista dell’anarchia (famosa una sua biografia di Severino de Giovanni), voce critica del paese e “suo scrittore argentino preferito”. Bayer fornirà volta a volta le piste che condurranno Alfredo sulle tracce di Cosimo che, inevitabilmente si intrecciano con le vicende politiche del paese e dei tragici anni della dittatura militare.
E così, Prunetti ci porta dentro e fuori del nostro tempo, dentro e fuori una Buenos Aires sempre bella e intrigante, nei suoi quartieri di emigrati, nella vita dura di chi doveva rifarsi la vita dopo essersi lasciato alle spalle la Sicilia matrigna e il piccolo commercio di fiori della numerosa famiglia, per dedicarsi al suo negozio e al suo lavoro, sempre più apprezzato, contento della sua vita tranquilla sia dal punto di vista economico che sentimentale vista la sua fedeltà (tranne un piccolo peccato di adulterio) a una moglie con non gli ha dato figli.
Il fioraio non ha avuto tempo né coraggio di partecipare alla vita politica del paese, ma insieme a sua moglie e a una gran parte del paese, hanno amato Perón e soprattutto Evita, di cui la moglie è stata un’accesa sostenitrice. Ma dopo la delusione prodotta dal ritorno di un Perón che non era neanche più l’ombra del suo mito, il fioraio sopravvive al generale e anche alla sua stessa moglie, per spegnersi nella tranquillità di una casa di campagna. È un suo amico che approfitta della sua solitudine per far scomparire i testamenti e per impossessarsi della famosa eredità, cosa che non turba più di tanto il nipote che, con quel pretesto, ha trovato il modo di andare nella mitizzata Argentina dove ha conosciuto e frequentato Osvaldo Bayer, ha fatto passare il tempo in molti dei celebri caffé di Buenos Aires, ha rievocato le indimenticabili figure di Osvaldo Soriano e di Rodolfo Walsh, ha percorso i leggendari quartieri della grande capitale e ce ne ha lasciato il paesaggio in una originale storia mezzo vera e mezzo inventata.
Una foto di apertura ci mostra, infatti, Cosimo Quartana, prozio dell’autore e fioraio ufficiale della Casa Rosada, insieme ad altri collaboratori del palazzo e ci rivela anche che molte delle sue lettere sono state trascritte letteralmente nel corso della narrazione mentre altre sono state depositate presso l’Archivio diaristico nazionale di Pieve Santo Stefano. In una bella paginetta di presentazione, Massimo Carlotto ci fulmina con una terribile verità: quella perpetrata dai militari in Argentina fra il 1976 e il 1983 “fu la più grande strage di italiani dopo la seconda guerra mondiale”.
Alberto Prunetti, Il fioraio di Perón, introduzione di Massimo Carlotto, Stampa Alternativa, Viterbo, 2009, pp. 159, € 14,00
Alessandra Riccio ha insegnato letterature spagnole e ispanoamericane all’Università degli Studi di Napoli –L’Orientale. E’ autrice di saggi di critica letteraria su autori come Cortázar, Victoria Ocampo, Carpentier, Lezama Lima, María Zambrano. Ha tradotto numerosi autori fra i quali Ernesto Guevara, Senel Paz, Lisandro Otero.E' stata corrispondente a Cuba per l'Unità dal 1989 al 1992. Collabora a numerosi giornali e riviste italiani e stranieri e dirige insieme a Gianni Minà la rivista “Latinoamerica”. E’ tra le fondatrici della Società Italiana delle Letterate.