Riccardo LENZI – Se l’Italia fosse civile nessuno darebbe la parola a Dell’Utri
02-09-2010Leggo su Repubblica un articolo di Francesco Merlo intitolato “Dell’Utri e la patacca su Mussolini”. Diversamente da lui, penso che chi ha impedito a Dell’Utri di parlare a Como meriti un forte applauso. Ha dimostrato che, nonostante la disinformazione imperante, esistono cittadini consapevoli della presenza della mafia e della ‘ndrangheta anche in Italia, nord compreso. Cacciando Dell’Utri hanno inviato un messaggio indiretto anche ai clan insiediati in Lombardia: “noi qui la mafia e i suoi amici non li vogliamo”.
La questione della falsità dei diari di Mussolini – il principale rimprovero di Merlo al senatore del Pdl – mi pare grave ma non seria. Più che altro, desta stupore il silenzio degli accademici su questi diari: a quando una lettera aperta dei docenti di storia contro la propaganda/spazzatura (per giunta “di regime”)? Forse, in questo frangente, la principale preoccupazione degli storici e, più in generale, di tutti i docenti-insegnanti-ricercatori d’Italia, si chiama Maria Stella Gelmini. Come dar loro torto.
Il punto è un altro. Personalmente vorrei vivere in un paese dove quelli che Merlo chiama “rituali” e “conformismi”, e che sono invece sacrosante azioni di riscossa civile, non siano necessarie. Vorrebbe dire che il popolo italiano ha finamente deciso di ribellarsi a chi quotidianamente ne calpesta la dignità. Vorrebbe dire svegliarsi da una lunga illusione catodica. Al momento ho l’impressione che le persone indisponibili a farsi umiliare da questa classe non-dirigente siano ancora in netta minoranza. La maggioranza degli italiani, se può, si fa gli affari suoi. Omertà diffusa, più o meno consapevole.
Preferirei vivere in un paese dove un personaggio come Marcello Dell’Utri non solo verrebbe tenuto a debita distanza dal Parlamento e dagli uffici pubblici, ma anche dove, in attesa dell’ultimo grado di giudizio, un condannato per mafia si vergognerebbe a camminare per strada. Se davvero i fischi di Como, così come le periodiche ed altrettanto encomiabili incursioni di Piero Ricca ed altri cittadini indignati, divenissero azioni “conformiste”, come da lei frettolosamente giudicate (e liquidate), ne sarei felice.
Per ora, purtroppo, chi osa fischiare un uomo, descritto in due sentenze come amico degli amici, non è un conformista. Anzi. È esattamente il contrario: un’ammirevole eccezione al servilismo di massa. Questa Italia, senza vergogna, costringe persone libere e coerenti a fare qualche “sceneggiata”, mai violenta, infastidendo coloro che amerebbero il quieto vivere. Unico modo per manifestare un dissenso che altrimenti non avrebbe né voce né rappresentanza.
Da quindici anni tutti coloro che si azzardano a contestare pubblicamente gli uomini del potere di Berlusconia, sono accusati di giustizialismo, populismo, inciviltà e/o maleducazione. Come se una vibrante protesta civile – nata evidentemente dalla insopportabile constatazione di vivere in un paese senza libertà, governato da buffoni, piduisti, corrotti e corruttori – fosse ormai considerata un delitto di lesa maestà. Forse anche questa allergia alla contestazione è uno dei frutti avvelenati della cosiddetta costituzione materiale…
Contestare un rappresentante del popolo dovrebbe essere un diritto, a prescindere dalla fedina penale dell’eletto o del candidato. Sarebbe ora che episodi come questo si moltiplicassero, spontaneamente: in un paese civile tutti coloro che disonorano lo Stato dovrebbero temere gli sguardi e i rimproveri delle persone perbene. È la “tolleranza” che, in questi casi, diventa intollerabile.
Riccardo Lenzi (Bologna 1974) è redattore e free lance. Ha scritto due libri: "L'Altrainformazione. Quattro gatti tra la via Emilia e il web" (Pendragon, 2004) e, insieme ad Antonella Beccaria, "Schegge contro la democrazia. 2 agosto 1980: le ragioni di una strage nei più recenti atti giudiziari" (Socialmente, 2010)