Senza acqua e senza cibo nelle patrie galere cilene. Chiedono solo il rispetto delle loro tradizioni che la dittatura di Pinochet considerava “terrorismo” e che i quattro governi della democrazia hanno ignorato malgrado la campagna umanitaria di Danielle Mitterand. Una vittoria che può cambiare i diritti dell’America indigena, ma economia e politica fanno capire di non voler rinunciare all’espropriazione di territori preziosi
L’oligarchia cilena si arrende agli oltre due mesi di digiuno degli indios Mapuche
20-09-2010
di
Alessandra Riccio
Avverrà sulle pendici del piovoso Cerro Nielol nel cuore della terra araucana, a un passo da Temuco in cui crebbero i due premi Nobel cileni, Gabriela Mistral e Pablo Neruda, il dialogo fra la combattiva comunità mapuche e il governo del presidente Piñera. Ci sono voluti più di due mesi di sciopero della fame di 32 indios della comunità per convincere il presidente ad aprire una trattativa proprio nel pieno delle celebrazioni dei duecento anni di indipendenza del Cile dalla Spagna, nsieme a Patricio Alwin, Eduardo Frei, Ricardo Lagos e Michelle Bachelet, i quattro presidenti che hanno governato il paese dopo Pinochet e che non hanno mosso un dito per dare ascolto alle richieste di questa popolazione originaria che si vanta di non aver mai ceduto al conquistatore spagnolo e di non essere mai stato sconfitto, dinque di non aver mai rinunciato alla propria sovranità di popolo.
Con una forte organizzazione comunitaria, i mapuche difendono strenuamente il loro insediamento tradizionale nei territori del sud del paese, le loro tradizioni e costumi, la loro organizzazione sociale. Ma qualunque gesto di protesta della loro gente, grazie ad una legge promulgata dal generale golpista Augusto Pinochet, ricade nelle maglie dell’antiterrorismo e i colpevoli vengono giudicati secondo il codice militare. Così le carceri si sono riempite di rappresentanti della comunità, di donne, di giovani che tentavano di far valere le loro ragioni. Dal potere centrale un silenzio di tomba per decenni. Invece, i trentatre minatori sepolti in miniera, appena hanno potuto comunicare con l’esterno, hanno mandato un cartello che chiedeva il rispetto e la salvezza dei trentadue mapuche in sciopero della fame, intorno ai quali era cresciuta la solidarietà mentre numerosi volontari si aggiungevano agli indios in una protesta che, finalmente, adesso sembra aver raggiunto il palazzo del potere, costringendo il presidente Piñera ad aprire il tavolo delle trattative e, addirittura, a presentare un Plan Araucania che definisce “potente e ambiziosa” e che pretende di mirare allo sviluppo della popolazione mapuche, che conta più di mezzo milione di individui, e a difendere e proteggerne l’identità.
Non vorrei essere profeta di sciagure, ma starei ben attenta a vigilare sui veri intenti del piano governativo, probabilmente messo a punto senza il contributo indispensabile della comunità indigena.
Una politica di integrazione sarebbe una vera novità nel Cile, paese di tradizioni oligarchiche, di grandi differenze fra ricchi e poveri e di consuetudine autoritaria; il paese che ha sottratto ai mapuche il 95 per cento delle loro terre.
Alessandra Riccio ha insegnato letterature spagnole e ispanoamericane all’Università degli Studi di Napoli –L’Orientale. E’ autrice di saggi di critica letteraria su autori come Cortázar, Victoria Ocampo, Carpentier, Lezama Lima, María Zambrano. Ha tradotto numerosi autori fra i quali Ernesto Guevara, Senel Paz, Lisandro Otero.E' stata corrispondente a Cuba per l'Unità dal 1989 al 1992. Collabora a numerosi giornali e riviste italiani e stranieri e dirige insieme a Gianni Minà la rivista “Latinoamerica”. E’ tra le fondatrici della Società Italiana delle Letterate.