Un pomeriggio di maggio, ventidue anni fa. Alle cinque si va a prendere il te al Quirinale: Cossiga riceve Carlo Sartori, responsabile del pubbliche relazioni Mondadori. Leonardo (sempre Mondadori) arriva più tardi e il presidente lo giustifica con simpatia. Attorno alla sua poltrona, Sartori e la signora che presenta al capo dello stato un nuova collana di gialli, spionaggio e delitti, brividi che accendono il privato del primo cittadino d’Italia. Nelle altre due poltrone, due giornalisti: la zazzera Beattle di un Gianni Riotta in partenza per Mosca; in fondo, in fondo, ci sono anch’io.
Lo sguardo del presidente ci sfiora come fossimo trasparenti. È impegnato nel corpo a corpo con la direttrice della collana. Vuol sapere fino all’ultima virgola quale tipo di intrighi la signora sta mettendo in fila. Sfoglia la prima copia del primo libro omaggio per riverenza. Noi siamo lì a guardare la sua curiosità. Domani rimbalzerà sui giornali mentre cominciano le chiacchiere dell’estate. Sfoglia piegando gli occhiali. Due righe e gira pagina. E intanto non smette di parlare: si apre alle confidenze del raccontare quale autore lo intriga di più.
«Com’è Le Carré?», vuol sapere. La signora in giallo e Sartori allargano le braccia: non lo conoscono. «Ma lui sì», dice Gianni Riotta e si volta verso l’ultima poltrona, la mia. Ecco Cossiga trasformato. Scopre che sono arrivato assieme agli altri. Ruota verso l’angolo dove sto ascoltando. «Non dica com’è, ma come lo ha incontrato e che impressione le ha fatto. È diabolico e malinconico come i suoi personaggi?».
Gli racconto dell’albergo di Beirut dove noi raccontavano la capitale bruciata dalle tre fazioni che si affrontavano: cristiano maroniti, siriani, palestinesi. Katiuscia che non si fermavano mai e il correre affannoso da una parte all’altra di una città tagliata da confini invisibili e sgretolata in macerie. Cossiga mi ferma con un garbo che non ammette replica.
«Arriviamo a Le Carrè. Dove vi siete visti, cosa vi siete detti?». Niente, sciocchezze in un albergo quando ho scoperto chi era il signore, giacca blu dai bottoni d’oro, che appena la notte cancellava i bersagli, l’auto dai fari spenti dell’ambasciata inglese, lo raccoglieva sulla porta dell’hotel per portarlo chissà dove. Alle 8 della sera, ogni sera. «Da quel momento avete parlato tutte le sere…». Non sempre… Ma il Presidente ha fretta: «È riuscito a indovinare se nascondeva una piega diabolica come le spie che disegna con la proprietà di chi ancor oggi è forse una spia, altrimenti uno scrittore normale cosa va a fare nella Beirut che brucia?».
Racconto che stava raccogliendo materiale per scrivere La Tamburrina, terrorista palestinese di maniera: romanzo mediocre, film ancora peggio. Sartori suggerisce che una volta, dall’altra parte del mondo, Panama, ho incontrato l’altra spia che ha illuminato la letteratura inglese: Graham Greene. «Non ci posso credere, è il mio autore preferito. Anche lui nei servizi segreti, e poi protestante che si converte al cattolicesimo. Ne immagino l’inquietudine. Posso recitarle a memoria certe pagine che mi hanno commosso».
Piega appena la poltrona verso la mia poltrona ex sconosciuta per riaccendere la stessa curiosità: come, quando e se ha lasciato filtrare qualcosa, o se è rimasto fedele all’imperativo dell’assoluto silenzio che ogni agente sul campo o a riposo ha il dovere di rispettare fino all’ultimo respiro «per non tradire la patria e la sicurezza dei cittadini». E all’improvviso la voce ritrova un’autorità che ricorda con chi stiamo parlando. Parla tanto di Greene lasciando la signora dei nuovi gialli nell’attesa impaziente della protagonista non ha ancora spiegato al giallista supremo perché era importante leggere i libri pronti alla vetrina. Ma quando le citazioni che ripeteva cominciano ad incepparsi, Cossiga si ferma, ripensa e riparla correggendo qualche parola.
All’improvviso sembra trafitto dal rimorso per l’impegno dal quale si stava allontanando. Si rigira nella poltrona: «Cara Signora, sono sicuro che i suoi gialli riveleranno ai lettori e a me tanti Green e Le Carrè giovani e dal cinismo che non trascura la vita di noi normali». E tutti stavamo pensando: la normalità di Cossiga era d’aver amministrato i servizi segreti, Gladio e i misteri d’Italia. E se raccontasse in un libro di memorie truccato da romanzo i misteri che lo accompagnano, testimone o intrigante privilegiato ? Da Moro a Gladio e alle sinistre che spingeva al governo con l’intenzione di svuotarle.
Al giallista, lettore sublime, è mancato il coraggio di diventare lo scrittore di una storia d’Italia giocata sui fili di Green e Le Carré: moltiplicare i misteri dei paesi misteriosi per confondere la realtà nell’inganno che affascina il lettore qualsiasi. Adesso cerchiamo di capire quanto le spie di carta abbiano influenzato l’amore per le spie del nostro quotidiano. Oppure allargato in famiglia il fascino del mistero: onorevole Giuseppe, Cossiga figlio, sottosegretario alla Difesa del governo Berlusconi, ingegnere che ha lavorato nel settore aeronautico per poi passare alle telecomunicazioni: «Larga esperienza in Medio Oriente», ricorda la biografia distribuita dal suo staff. E se l’avesse scritta Le Carrè?