Sgarbi sindaco? Ma sì. A Giuseppe Giammarinaro erano subito brillati gli occhi. Questo omino piccino che era sfuggito ai media nazionali, in Sgarbi aveva visto l’occasione per il suo definitivo riscatto politico. Alle elezioni regionali del 2001 Giammarinaro si candida nel Biancofiore, creato da Totò Cuffaro per portare all’Ars il maresciallo dei Carabinieri Antonio Borzacchelli. In teoria non può muoversi da casa – quattro anni di sorveglianza speciale (con obbligo di dimora nella sua città – regno di Salemi), non potrà andare a trovare gli elettori, saranno loro che andranno a trovarlo. Famose le adunate all’Enny Bar di Alcamo, dove, amici e sostenitori si riunivano per poi andare a trovare “l’amico di Salemi”. Qualche mese fa, l’inchiesta Salus Iiqua ha portato al sequestro di oltre 35 milioni di euro in beni, tutti riconducibili a Giammarinaro, squarciando il velo non solo dell’amministrazione della sanità trapanese, ma anche delle dinamiche politiche nella provincia citata ancora oggi, come lo zoccolo duro della mafia.
“Il sindaco è lui, può fare quello che vuole, non è vero che ci sono io dietro, dopo quello che mi è successo ho scelto di stare fuori, ho solo aiutato un po’ di amici”. Il seguito prova che aveva torto avrebbe cantato Fabrizio De Andrè. Ma nel maggio del 2008 le parole di Giuseppe Giammarinaro venivano registrate con scarso interesse dai cronisti accorsi da tutta Italia a Salemi, minuscolo insediamento medievale della provincia di Trapani. Per la piccola cittadina era infatti un giorno di festa: finalmente tornava ad essere segnata sulle mappe geografiche.
Dopo Garibaldi, che la scelse come prima capitale d’Italia, e dopo i Salvo, che ne fecero un simbolo dei connubi tra mafia e politica, a Salemi, era la volta del critico d’arte più famoso della penisola: Vittorio Sgarbi, appena eletto sindaco della città belicina. Per gli occhi sognanti dei salemitani, gli assessori superstars che Sgarbi aveva chiamato ad amministrare in grande la piccola cittadina trapanese era una gran festa. Mai si era vista a Salemi una giunta così: il fotografo Oliviero Toscani, con le sue camiciole variopinte, il critico Philippe Daverio, che osservava incuriosito il popolo da dietro gli occhialetti di corno, l’artista futurista Cecchini, celebre per aver arrossato la Fontana di Trevi, e il principe palermitano Tortorici di Montaperto, molto snob e troppo principe, per avvicinarsi alla folla.
Uno stuolo di fotografi e giornalisti delle maggiori testate nazionali, inviati sul posto per immortalare lo storico avvenimento completavano il quadro. Sullo sfondo, lontano dai flash e dai volti noti alla stampa nazionale, c’era come sempre lui: l’intramontabile don Pino Giammarinaro, che stretto dietro ad una cerchia di bodyguards – in realtà fedelissimi sodali provenienti da tutta la provincia – ghignava sornione dentro al suo blazer blu. D’acqua sotto i ponti per don Pino ne era passata, ma ancora una volta la sua ultima invenzione aveva sbancato il botteghino. Era, infatti, lui ad aver architettato la magica mossa di proporre Sgarbi come sindaco della piccola Salemi. Nonostante, le piccate smentite.
L’idea gli era stata lanciata da Giuseppe Pizza, segretario della nuova Dc, e a don Pino erano subito brillati gli occhi. In Sgarbi, infatti, quest’omino sfuggito ai media nazionali, aveva visto l’occasione per il suo definitivo riscatto politico. A raccontarcelo sono le carte dell’inchiesta Salus Iniqua, che poco più di un mese fa hanno euro in beni, tutti riconducibili a Giammarinaro, squarciando il velo non solo dell’amministrazione della sanità trapanese, ma anche delle dinamiche politiche nella provincia che viene citata ancora oggi come lo zoccolo duro della mafia. Don Pino da Salemi Nonostante fosse sfuggito all’occhio dei giornalisti inviati da Roma e da Milano, quell’omino sornione in blazer blu, non era passato inosservato ai cronisti locali. Giuseppe Giammarinaro, infatti, ha una storia degna di uno sceneggiatore di kolossal. La sua epopea sembrava essersi esaurita già otto anni prima dell’elezioni di Vittorio Sgarbi a sindaco di Salemi. Correva l’anno duemila e l’allora sostituto procuratore della Dda di Palermo Antonio Ingroia diceva che “questo processo rappresenta emblematicamente la distanza della verità processuale dalla realtà delle cose”. Era la requisitoria finale del procedimento a carico di Giammarinaro Giuseppe, nato a Salemi il 6 gennaio 1946 (segno zodiacale capricorno), accusato di essere contiguo a Cosa Nostra.
Giuseppe Pipitone è nato ad Alcamo, in Sicilia, a metà strada tra Palermo e Trapani, nel 1987. Ha iniziato a occuparmi di giornalismo ancora minorenne con "L'Isola", un battagliero quindicinale d'inchiesta "artigianale", che è sopravvissuto a edicolanti timorosi, loschi figuri (che acquistavano in blocco tutta le copie disponibili) e cause per diffamazione di politicanti senza scrupoli. Dal 2011 è redattore de "I Quaderni de L'Ora", mensile d'inchiesta palermitano nato sulle orme dello storico quotidiano antimafia del pomeriggio. Collabora anche con La Voce delle Voci, Casablanca e con altri giornali cartacei e online, occupandosi prevalentemente di cronaca e cultura. Ha collaborato al libro inchiesta "Wojtyla Segreto" di Ferruccio Pinotti e Giacomo Galeazzi, edito da Chiarelettere. È appassionato di musica e in particolare delle band dell'underground italiano, che in questo momento vive un momento di raro splendore.