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Il Pd deve essere una sintesi, me lo hanno insegnato Moro, Bachelet, Elia e Scoppola: i cattolici che vogliono bene al Paese, non scelgono sulla base dell'identità culturale ma stanno con chi ha un progetto che fa bene al Paese

Primarie PD – Abbiamo bisogno di Bersani

02-10-2009

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Abbiamo bisogno di costruire un partito forte e radicato, popolare e non leaderistico. Ne ha bisogno il paese, dove la destra ha messo radici profonde e sta cambiando i connotati della nostra democrazia; dove la crisi economica – a cui il governo non dà risposte efficaci – rischia di esasperare le disuguaglianze sociali e territoriali, gli egoismi corporativi, le paure e le insicurezze delle famiglie. In questi tre mesi di campagna congressuale ho partecipato a centinaia di incontri per presentare in tutta Italia la mozione Bersani. E’ falsa l’immagine, che molti avversari ci vogliono cucire addosso, di un partito chiuso in se stesso, alle prese con scontate divisioni interne. Ho visto invece una bella discussione sui problemi del paese e un confronto vero, a volte aspro ma sempre salutare. Per me è un segnale, il più importante, che il Pd, malgrado gli errori e le sconfitte di questi due anni, è un progetto vitale che appassiona ancora e sul quale in tanti continuano a scommettere. Ma è un progetto da rilanciare.

A due anni dalle primarie del 2007 è arrivato il momento di definire il profilo e la funzione del Pd e completare davvero il processo costituente, cambiando passo. Altro che ritorno al passato! Sto con Bersani perché, come abbiamo scritto nella nostra mozione, bisogna ritrovare l’ispirazione originaria del Pd, non solo il nome dell’Ulivo, spesso usato come un logo pubblicitario, ma la sostanza di quella feconda innovazione che ha liberato e mescolato nuove energie e nuovi pensieri nella politica e nella società italiana.

Nel solco di quella intuizione il Pd deve diventare sul serio un partito plurale e laico, rispettoso delle differenze e capace di fare sintesi tra le diverse posizioni. Un partito aperto e davvero democratico, che fa leva sui militanti ma ascolta gli elettori e li fa contare. Un partito che rafforza il bipolarismo e la democrazia dell’alternanza.

Molti mi chiedono come mai ulivista e prodiana, cattolica democratica ho  scelto fin dall’inizio di sostenere un ex ds quando nella competizione c’è anche un ex popolare. La mia risposta è sempre la stessa: scommetto sulla contaminazione delle culture e nel Pd ci si sta da democratici e non da cattolici. I miei maestri, da  Aldo Moro a Vittorio Bachelet, da Leopoldo Elia a Pietro Scoppola, mi hanno insegnato che i cattolici che vogliono bene al paese non scelgono sulla base dell’identità culturale  ma stanno con chi ha un progetto che fa bene al paese.

Nella mozione Bersani questo progetto c’è. E c’è l’ambizione originaria del Pd, quella di restituire credibilità politica alla nostra capacità di governare il paese. Non ci basta l’opposizione ferma e intransigente, culturale e morale, al berlusconismo. L’opposizione non è la ragion d’essere del Pd. Siamo nati per essere una grande forza di governo e il compito prioritario è quello di mettere in campo un programma per l’Italia che affronti le sfide del nostro tempo: una iniqua distribuzione della ricchezza e la scarsa mobilità sociale che penalizza soprattutto i giovani e le donne. Il mercato del lavoro, la scuola e il sistema formativo, la cultura e i media, la piccola e la grande impresa, le politiche ambientali: tutto in Italia è bloccato e occorre liberare le energie migliori. E’ fallito il modello neoliberista che ha esasperato la precarietà dei rapporti di lavoro e il fai da te, la ricerca del profitto per il profitto. C’è bisogno di rilanciare le politiche pubbliche per la salute e l’istruzione e rafforzare il sistema del welfare, puntare ad uno sviluppo economico che fa leva sulla dignità del lavoro, la qualità dell’ambiente e delle risorse umane che premi il merito e l’innovazione. C’è bisogno di riaffermare il valore della legalità e il rispetto delle regole contro una destra che riduce gli spazi di libertà, minaccia l’autonomia e l’indipendenza della magistratura, mortifica il ruolo del parlamento. C’è bisogno di costruire un modello di convivenza multietnica e multiculturale, per affrontare in modo giusto il fenomeno dell’immigrazione, puntando all’integrazione e contrastando le paure e le pulsioni xenofobe alimentate dalla Lega.

Con un programma per l’Italia occorre anche ricostruire il campo di un nuovo centrosinistra alternativo alla destra. Il Pd deve pensare se stesso come partito unitario e al tempo stesso come fattore di unità del centrosinistra, come il motore e il timone di una seria alleanza riformatrice.

Per questo bisogna cambiare il percorso avviato con la “nuova stagione” del Lingotto che pretendeva di mettere tra parentesi i quindici anni dell’Ulivo.

In un congresso si sceglie un segretario e una strategia ed è inevitabile tirare le somme di ciò che è stato fatto e fare un bilancio di questi ultimi due anni.

E’ stato disperso il patrimonio di oltre tre milioni di elettori delle primarie senza valorizzare gli iscritti col risultato di non avere né un partito solido né un partito liquido, con una debole democrazia interna senza luoghi di elaborazione e condivisione comuni, con una classe dirigente cooptata con le logiche di corrente. Abbiamo pagato a caro prezzo una interpretazione della “vocazione maggioritaria” che si è risolta in una “vocazione minoritaria”. La pretesa di “correre da soli” – che proprio soli non era – ha spianato la strada agli avversari di Prodi, il governo è caduto, abbiamo perso le elezioni politiche e poi le europee perdendo quattro milioni di voti in pochi mesi.

Abbiamo avuto un’opposizione altalenante e non ci siamo distinti con l’energia necessaria.

Questi errori vanno corretti. Non può farlo Franceschini che di Veltroni ha condiviso ogni scelte. Vogliamo costruire il futuro e per questo dobbiamo cambiare strada.

Rosy BindiPolitica italiana, attuale presidente del Partito Democratico e vicepresidente della Camera dei deputati.
 

Commenti

  1. Mariella Congiu

    Cara Rosy, concordo con te sull’esigenza di avere un partito che sia guida per tutto il centrosinistra. Da soli non si va da nessuna parte. Quindi alle primarie voterò Bersani, spero solo che non le voglia veramente eliminare, sarebbe un peccato. Mariella

  2. ELIO ROSTAGNO

    Come la Bindi sono certo che Bersani sia il candidato più adatto alla guida del PD. Ciò che da ministro realizzò e/o cercò di realizzare, tra tutte il tentativo di ripristinare la mobilità sociale attraverso la lotta contro le rendite di posizione, lo considero tra le migliori attività del centrosinistra. Da ulivista della prima ora, sono particolarmente felice che Bersani abbia citato proprio l’Ulivo come esempio da riprendere. Certo sulle modalità mi rimane il rammarico che non si siano formati dei gruppi promotori di proposte per poi scegliere i candidati più idonei a rappresentarle, invece che partire dai nomi. Inoltre mi piacerebbe che D’Alema venisse riportato al ruolo di “uno tra i sostenitori” e non venisse identificato come “grande manovratore”, perché non ho alcun interesse per l’eterna lotta tra lui e Veltroni. Detto questo, tantissime sono le cose che mi convincono della proposta di Bersani. Innanzitutto mi convince il suo no deciso all’ipotesi di un partito identitario perché, come sostiene anche Rosi Bindi, i temi etici vanno affrontati senza integralismi e con un profilo plurale, e perciò laico, che rispetta e valorizza le diversità e le fa dialogare. Mi convince la sua idea che la laicità è importante, ma non può essere l’unica proposta. Mi convincono le sue prese di posizione riguardo alla vocazione maggioritaria del PD, che non deve ambire a essere il centro gravitazionale del centrosinistra ma promotore di proposte condivisibili da altre forze politiche, che le alleanze devono essere più ampie e basate su programmi, che le primarie interne vanno bene per la leadership del partito ma per il candidato premier bisogna confrontarsi con gli elettori di tutta la coalizione. Mi convince la sua idea che la discussione e la competizione debbano incentrarsi su progetti, proposte e strategie e non su nomi o poltrone. Mi convince specialmente il fatto che il PD, prima di ogni altra cosa, debba fare chiarezza sulla sua identità, perché non è inseguendo gli umori della piazza che si può costruire un progetto serio di guida del Paese. Infine condivido l’idea che il partito debba essere vero, fatto di iscritti e sostenitori, perché i partiti “leggeri”, “liquidi” o quant’altro non favoriscono una discussione costruttiva ma solo l’affermazione di leader telegenici, senza una vera partecipazione democratica. Sono profondamente convinto che Bersani possa riportarci a volare.

  3. ELISABETTA MASCIARELLI

    Ogni partito è formato da un insieme di conoscenze, risorse e persone che formano un organismo in divenire all\’interno del quale il cambiamento non è un evento, ma un processo continuo.
    Occorre nel movimento che il cambiamento genera trovare un equilibrio, creare rapporti e canali di comunicazione, team progettuali per non dilapidare il capitale sociale che è soprattutto costituito dalle persone e dal loro impegno e non cedere alle lusinghe del nuovismo che possono portarci a valorizzare l\’ultimo arrivato in quanto tale piuttosto che il militante che si impegna da anni e ci ha portato dove siamo.
    Occorre avere molto rispetto della fatica fatta dai militanti col loro lavoro ed attenzione anche ai contributi che possono arrivare dalle persone più semplici: in una parola occorrono occhi ed orecchie grandi.

    Un basilare principio dello sviluppo e della ricerca delle organizzazioni è la mobilità, intesa come attitudine mentale, psicologica ed emotiva ad essere disponibili a varie opzioni, attenti alle opportunità nascenti dalla realtà in evoluzione, fiduciosi anche quando non si ha l\’occasione o la possibilità di misurare le variabili
    in maniera totale o controllarle del tutto.
    Bisogna lasciare un piccolo spazio anche alle sorprese se si è un po\’ ottimisti, e chi fa politica non può non esserlo.

    Alla mobilità sono complemetari l\’autonomia, una responsabilizzazione diffusa ed un forte senso di appartenenza al progetto ed al \"brand\", valorizzando le persone che si rendono indipendenti, responsabili e sanno privilegiare la collettività rispetto al proprio personale punto di vista o interesse.

    Atteggiamenti necessari e funzionali a quanto detto si trovano nello slogan:\" sì all\’efficienza, lasciando posto alle donne ed agli uomini che sono i protagonisti dell\’efficacia\".

    Pertanto un partito nuovo deve mirare ad un radicamento e ad una puntuale gestione organizzativa che non deve paralizzare, però, l\’iniziativa politica o l\’emergere di talenti.

    Eclettismo, curiosità, velocità e flessibilità, insieme all\’apertura mentale, sono presupposti del successo di un\’azione politica, ma non funzionano se non vengono coniugati con una struttura di piccole unità dinamiche, rapide nell\’adattarsi alle mutate realtà ed intercambiabili negli individui.
    Competenza, capacità e motivazione alla progettualità sono gli ingredienti che permettono di generare un flusso di informazione e un pensiero nuovo e spaziale.

    Un io ed un noi che partecipa alla vita del PARTITO senza imporsi come modello, ma propone uno stile che finalmente possa portare ciascuno ad essere apprezzato e ad apprezzare, permette di ottenere stima ed \"affectio societatis\".

    Duttilità ed elasticità, l\’arte di adattarsi e di acquisire le necessarie conoscenze di fronte al nuovo che erompe si possono coniugare solo con relazioni corrette e trasparenti in cui si possa apprezzare il significato della singola prestazione, si possa diffondere un clima di fiducia, comprensione e simpatia e cogliere il valore della struttra nella sua interezza.

    Quindi nella casa di vetro vince il meccanismo circolare: conoscere – fare – saper fare – far sapere.

    Non vince il meccanismo dell\’autoreferenzialità, dell\’autosufficienza, delle \"famiglie\", della mancanza di una vera selezione di una nuova classe dirigente.
    Non vince dare spazio all\’ultimo arrivato in quanto tale che ha fatto ben poco per portare il partito al punto in cui si trova o magari non credeva neppure nella sua nascita, ma incarna la nouvelle vague del dirigente di turno.
    Non vince affidare la responsabilità di realtà locali a chi è in cerca di una stabilizzazione professionale e vuole coltivare prospettive che in tal senso lo avvantaggino.
    Non vince far vedere alla gente che i meccanismi dentro il partito nuovo sono gli stessi del vecchio, anzi peggio perchè i più giovani hanno portato con sé soprattutto i difetti del passato senza preoccuparsi di averne almeno la preparazione.
    Non vince replicare il passato perchè ad ogni replicazione in ogni caso si perde un po\’ d\’informazione e di definizione, come quando si fanno fotocopie da fotocopie successive e il contenuto alla fine diventa illeggibile. A maggior ragione quando delle esperienze politiche hanno esaurito la loro forza, e hanno mostrato di essere al capolinea per la sempre più scarsa partecipazione di militanti ed il ridotto consenso dell\’elettorato, ed a maggior ragione quando si è deciso di far nascere un partito nuovo con criteri e caratteristiche più rispondenti alle esigenze della società ed ai suoi bisogni.

    Il rinnovo del segretario ci impone di trovare la figura che meglio incarni questa risposta e non che sia il più ortodosso secondo regole dei vecchi partiti fondatori. Contestualmente ci impone di farla finita con meccanismi di gestione del potere interno al partito che stancano tutti coloro che si avvicinano per dare una mano e
    scappano quando si accorgono che le logiche sono le stesse, gli organismi e la dirigenza non sono scalabili e non c\’è una vera selezione per incarichi futuri, ma c\’è solo spazio per la simpatia del capo di turno che non può essere misurata nelle sue capacità ne\’ contrastata democraticamente perchè ormai non si vota più nulla nei partiti bensì gli incarichi vengono affidati e non hanno neppure una sede per verificare come sono stati gestiti.

    Abbiamo fatto una scelta coraggiosa nel fondare il partito democratico, ora dobbiamo dimostrare di esserne all\’altezza anche se probabilmente quello che abbiamo iniziato a costruire ha nelle radici tanta forza che va al di là dei propositi di una parte dei fondatori.

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