A Roma Riccardo Muti ha già conquistato tutti. Un direttore schivo nel privato ma talmente coinvolgente in scena che non si può non apprezzare per il lavoro che instancabilmente svolge con l’orchestra, i cantanti, il coro. Gran parte della sua storia personale ce l’ha raccontata il nostro direttore, Maurizio Chierici, in un piacevole pezzo apparso ad agosto su queste colonne. E a questo articolo, quasi un racconto epico, c’è ben poco da aggiungere: l’uomo, il carattere, la vicenda umana, la passione per la musica sempre sostenuta da una famiglia attenta e presente, l’incessante impegno: tutto è tratteggiato e tutto emerge dalle svelte pennellate del Professor Chierici. A chi ama la musica, la lirica e Verdi in particolare, non resta che assistere dal vivo ad una rappresentazione diretta da Muti.
Già dalle scorse stagioni Riccardo Muti si è affacciato al Costanzi di Roma, tra l’altro, con ‘Moise’, ‘Ifigenia in Aulide’, ‘Otello’, ‘Nabucco, ma è da questa stagione che – divenendo ‘direttore onorario a vita’ – ha conferito una nuova fisionomia al Teatro dell’Opera di Roma, ponendo in cartellone rappresentazioni a volte ‘difficili’ o anche solamente ‘poco rappresentate’. Non è certo il caso del ‘Macbeth’ che ha aperto la stagione lirica di Roma: un’opera molto vista e molto amata dal pubblico. Un’opera che, pur con i cambiamenti fatti da Verdi anni dopo, ha bei momenti di stampo risorgimentale, specie nel coro del IV atto ‘Patria oppressa’.
Ma soprattutto si muove dall’indagine psicologica dell’uomo pre-cristiano che per assurgere al soglio deve uccidere il precedente sovrano, azione che lo riempie di tormenti, di rimorsi, di dubbi, facendolo divenire per ciò stesso ‘homo novus’. Un’opera decisamente complessa, dunque, in cui da una parte si ha l’impeto guerresco del soldato al servizio del sovrano; e dall’altra parte si hanno i momenti di incertezza, di intimità, di paura, di rammarico e di interrogativi a cui non si danno mai risposte. Portare tutto questo in musica e rifarcelo vivere nell’attualità è operazione strenua e faticosa ed è questo che si è prefisso il Maestro Muti con un buon esito finale.
Come scriveva nel 1872 l’autorevole critico della ‘Perseveranza’, Filippo Filippi parlando del direttore d’orchestra Giovanni G. Rossi in un'”Aida” parmense: “Il maestro Rossi è invero un eccellente direttore, vigile, animato da un foco straordinario, che qualche volta avrebbe bisogno di freno: ma fra i due eccessi, della freddezza e dell’anima, la scelta non è dubbia”, così potrebbe anche ora calzare il paragone: Muti ha fuoco e anima, sangue e nerbo. Ha ereditato tutto ciò dalla razza latina che Verdi lodava e difendeva e dalla sua comprensione di quel momento storico vissuto da Verdi e da Verdi propagato che ha nome Risorgimento.
Quando qualcuno gli ha chiesto cosa ne pensasse del ‘Va’ pensiero’ come possibile Inno italiano, Muti ha risposto che noi l’Inno già ce l’avevamo, ed era giustamente quello di Goffredo Mameli. Perché, ha argomentato, il ‘Va’ pensiero’ è un lamento, una prece, una speranza, mentre un Inno ha in sé qualcosa di battagliero, di impetuoso, di eroico e ‘Fratelli d’Italia’ racchiude in sé queste caratteristiche. Ecco, l’amore per il Risorgimento, per questo periodo storico che ci ha affrancati e resi uniti, concede a Muti questa visione spassionata e critica. Muti spesso cerca nei lavori di Verdi questo momento e questi impeti che tanto piacquero agli spettatori tra il 1840 e il 1850.
Poi anche Verdi cambiò linguaggio e, conclusa l’epoca baldanzosa della giovinezza e dell’irredentismo, si affacciò alla maturità e alla visione introspettiva (da qui anche la revisione del ‘Macbeth’). Dovremmo cercare di non dimenticarlo mai cosa fu Verdi per l’Italia e per gli italiani del Risorgimento: una sorta di icona, un simbolo che li vivificava e dava loro forza, una di quelle immagini di alto profilo morale di cui si ha bisogno per andare avanti. Un paladino del popolo dunque, Verdi, che al popolo piaceva così com’era: forte, vibrante, dirompente. E così ce lo propone il Maestro Riccardo Muti.
Caterina Renna è nata e vive a Roma. Giornalista e scrittrice ha sempre pubblicato per le pagine culturali (critica letteraria, teatrale e musicale) de 'Il Tempo' e dell'ormai scomparsa rivista 'La dolce vita'. Dopo una tesi di laurea in critica letteraria sul giallista romano, Augusto De Angelis morto in seguito alle percosse inflittegli dai fascisti, si è appassionata a questo genere 'minore' ed ha scritto un romanzo poliziesco ambientato nella capitale (ora pubblicato online da Feltrinelli) dal titolo 'Cronaca di Roma VI pagina', nonché vari racconti pubblicati da Giulio Perrone Editore. Ha ricevuto una speciale menzione per un suo racconto nell'VIII edizione del Premio Nazionale Narrativa Poliziesca 'Orme Gialle' di Pontedera. Si accinge a completare una serie di racconti dal titolo 'Razzismi' molto in tema con gli avvenimenti odierni.