In un paese in cui furbizia e intelligenza vanno a braccetto e in cui i vizi si trasformano in virtù, l’espressione “far qualcosa all’italiana” è diventata d’uso comune. Si può fare qualsiasi cosa, ci si può macchiare di qualunque crimine, si può anche far finta di niente e dimenticare, in ogni caso basta convocare una televisione per le dichiarazioni e le richieste di perdono.
Tutti ci ricordiamo il fatto di cronaca dell’uomo che entrò in una scuola materna e sequestrò una classe di bambini perché voleva parlare col sindaco. Col sindaco non parlò ma rilasciò un’intervista. Si esiste se si è riconoscibili e per essere riconoscibili bisogna apparire sullo schermo.
Sta girando per i teatri italiani uno spettacolo di Teatro Minimo, compagnia di Andria, vicino a Bari, formatasi nel 2001, intitolato “Sequestro all’italiana” che è prima di tutto un bel testo finalista all’ultimo Premio Riccione, scritto da Michele Santeramo e interpretato dagli attori Michele Sinisi, che ne firma anche la regia, e da Vittorio Continelli. Una pièce solo apparentemente leggera e dal sapore amaro che racconta di un sequestro, all’italiana, in cui i due protagonisti maschili decidono di tenere in ostaggio una classe in un aula scolastica. In realtà è tutta una farsa.
Fra reale e surreale, fra realtà e finzione, lo spettacolo, interessante per la costruzione dei dialoghi, per il ritmo ben serrato così come per il tipo di narrazione, ispirandosi a un fatto realmente accaduto, altro non è che il ritratto di un’epoca disturbata dal suono continuo dei telefonini, dal bisogno quasi patologico di esibirsi, è il tentativo di mettere in scena tipi umani da cui scaturisce questa attualità determinata da vizi antichi. Lo sguardo dal particolare si sposta a descrivere un comportamento, un bisogno, una necessità, riscontrabili ovunque.
Ancora una volta la compagnia Teatro Minimo, insieme all’attenzione per la lingua e per la scrittura, fotografa la condizione umana attraverso un senso di appartenenza anche geografica.
Se come afferma Turri, il paesaggio è la risultante della relazione tra il territorio e i suoi abitanti e questo paesaggio, così definito, lascia nel territorio i segni di chi lo abita, Teatro Minimo, ha scelto di indagare il territorio per indagare noi stessi. Il paesaggio in questione è quello pugliese, è la Murgia, terra rossa di masserie abbandonate, muretti a secco, olivi secolari.
Questo è avvenuto in “Murgia”, in cui il paesaggio pugliese è diventato il risultato di un’identità che ha plasmato questo territorio, come in “Konfine”, storia di un viaggio dall’Albania all’Italia, o ne “Il cattivo”, racconto di storie di immigrati clandestini.
Merita una riflessione Teatro Minimo perché, nello scenario del teatro italiano, rappresenta una forza seria e onesta che avanza dal Sud, che viene dal piccolo, dai paesi, dalle province e che in modo popolare vuole portare il teatro in tutti i luoghi effettuando un lavoro sul territorio spesso preceduto da laboratori. Insomma, un invito a non mettere il cappello alla porta, a non sentirsi schiavi delle proprie possibilità e non farsi travolgere da stanchezza e delusione che pericolosamente accecano lo sguardo sulle cose.
“Dovremmo fare i pusher ma di teatro, creare dipendenza verso di esso” – afferma Michele Sinisi – “Oggi chiese e teatri tendono ad essere vuoti. Due riti collettivi: il sacro e il profano. Forse che colui che vuole guidare spiritualmente qualcuno, dà fastidio?”
È nata a Parma il 15 dicembre 1971, città nella quale tutt'ora vive. Lavora da ormai numerosi anni in ambito culturale, occupandosi prevalentemente di comunicazione e organizzazione presso istituzioni e festival teatrali nazionali.