A Bologna, il bellissimo e combattivo corteo di venerdì a sostegno dello sciopero generale ha rappresentato tutte le più importanti vertenze contrattuali che attualmente scuotono il mondo del lavoro ed ha anche mostrato l’estensione e la gravità della crisi economica e sociale che colpisce il tessuto produttivo della provincia e della regione, un tempo tra le più floride e dinamiche in Italia e in Europa.
Tutti i settori economici sono colpiti dalla crisi, in primo luogo quello industriale, basta richiamare per tutte la drammatica vicenda della Verlicchi, prestigiosa fabbrica di telai motociclistici, portata al fallimento da una proprietà incapace e forse anche truffaldina, sotto inchiesta per aver frodato fisco e lavoratori; a segnare la gravità della situazione, insospettabilmente, esplode la crisi della Mandarina Duck, altro importante marchio di fama internazionale del settore della pelletteria.
In questi ultimi due anni cassa integrazione e mobilità sono cresciute a dismisura e la disoccupazione è esplosa con la chiusura di centinaia di aziende, mentre i contratti di lavoro a tempo indeterminato sono diventati un miraggio, sostituiti da tutte le possibili forme di contratti cosiddetti “flessibili” ovvero precari e a termine.
Per non parlare della crisi del lavoro nel pubblico impiego, colpiti dai dissennati tagli di Tremonti e della Gelmini: i docenti universitari e degli enti di ricerca sono senza prospettive come i bibliotecari e i dipendenti dei musei, gli insegnanti di sostegno delle scuole elementari e medie, i lavoratori dei nidi, perfino ì collaboratori scolastici e gli infermieri, (lavori per i quali un tempo non si trovava manodopera), hanno perso il loro posto o sono a forte rischio di non veder rinnovati i loro contratti a termine.
Bologna non ha ancora una piena consapevolezza della vastità e della profondità di questa crisi, vive come in uno stato di sospensione: lo si deduce, intanto, dai discorsi e dagli articoli di stampa della lunga e tormentata campagna elettorale, nei quali pure si parla di queste vicende quando emergono eclatanti, ma mancano informazioni importanti sui caratteri di fondo della crisi, non si fanno inchieste sulle conseguenze economiche per larghi strati di cittadini e famiglie; e manca, soprattutto, una discussione seria su cosa fare per uscire dalla situazione e sostenere il reddito delle persone colpite.
Nelle poche occasioni di confonto pubblico tra i candidati a sindaco, difficilmente è emersa una discussione sui temi economici, quasi che l’argomento non meriti importanza e quando c’è stato come nel caso del denso questionario e dell’assemblea promossa dalla rete Unirsi, partecipata da un folto pubblico, la stampa si è ben guardata dal darne conto, perchè l’informazione locale è molto più attenata al gossip ed alle polemiche personali (sul calcio, ad esempio) che alle questioni sociali, i cittadini vengono trattati come bambini da tenere sedati con le favole.
Le condizioni di vita reale delle persone, la crisi del modello economico, la necessità del cambiamentto di priorità non rientrano nel novero degli argomenti da discutere e da affrontare. Oramai ci sono due realtà non comunicanti: una che vive e lotta quotidianamente per affrontare le enormi difficoltà di una condizione di disagio, e un’altra di chi non ha questi problemi, di chi ha lo stipendio assicurato o pensa di averlo, degli intellettuali, dei cosiddetti politologi e, soprattutto, di molti professionisti della politica che sorvolano sulla realtà, che non si accorgono che intorno a loro la situazione è molto diversa da quella cui sono abituati, vivendo nei palazzi di vetro fumé delle istituzioni.
Riporto, a mo’ d’esempio una vicenda che mi è capitato di conoscere, di lavoratori duramente colpiti dalla crisi: lei e lui dipendenti della stessa azienda che chiude, entrambi perdono lo stipendio e devono essere aiutati dalla famiglia per far fronte al mutuo, alle bollette, a tutto ma, cosa ancor più grave, perdono per pochi mesi, l’affidamento di un figlio adottivo a lungo desiderato, perché ovviamente il tribunale non può più affidare un bambino a una famiglia senza reddito!
Un dolore straziante vissuto nella solitudine: ma quanti sono in condizioni simili? Quante famiglie sono entrate nella condizione di povertà o stanno consumando i propri risparmi per sopravvivere?
Non si può pensare di affrontare questa crisi come se fosse ordinaria amministrazione, o confidando nella ripresa spontanea dei consumi e della produzione sotto la “mano invisibile” del mercato direbbe Smith.
Essa ha cause profonde nell’esaurirsi del modello economico nel quale siamo vissuti finora, anche a Bologna; è necessario affrontare nodi fondamentali: la qualità della produzione, la ricerca di nuovi stili più sobri di consumi e di vita; puntare decisamente sull’ambiente, sul risparmio energetico, sulla cultura, sui beni storici; trasformare la città proiettandola in una dimensione nuova, attraverso la mobilitazione di risorse intellettuali creative; ma occorre anche stabilire principi di solidarietà sociale obbligatori, chi ha di più sostenga chi ha di meno, il superamento della crisi non può avvenire in modo gratuito per tutti, occorre spostare il profitto dalla rendita al reddito da lavoro dipendente e sostenere lacostruzione di un nuovo welfare.
E qui il tema diventa politico, le crisi non sono di destra o di sinistra ma le soluzioni sì, quindi occorre trovare le risorse per fronteggiare l’emergenza e il disagio sociale, per sostenere una riconversione produttiva, per cambiare priorità nelle politiche economiche. Ma per far questo occorre una classe dirigente adeguata, all’altezza della sfida.
La sinistra nel suo insieme può e deve affrontare la sfida; ma potrà farlo solo se, rinnovandosi, getterà alle ortiche la cultura e i modelli politici degli ultimi quindici anni; nessun liberismo soft o friendly può determinare il cambiamento indispensabile, e nemmeno, ovviamente, lo può un ritorno allo statalismo sciupone; occorre un nuovo spirito pubblico che sappia coniugare riforma pubblica con efficacia e libertà individuale e collettiva, un New Deal all’insegna della riscoperta del valore dell’eguaglianza dei cittadini nei diritti e nel benessere, contro il darwinismo sociale che ha dominato, incarnato dalla maschera farsesca e tragica di Berlusconi.
Dev’essere come quando, dopo un lungo e freddo inverno, la primavera illumina, con la luce del nuovo sole e la freschezza dei venti di brezza, la natura che si risveglia e riprende il cammino.
Sergio Caserta è nato a Napoli. Studi in materia giuridica ed economica, dirigente di organizzazioni ed imprese cooperative, attualmente vive a Bologna e si occupa di marketing e comunicazione d'azienda. Formatosi nel PCI di Berlinguer, coordina l'Associazione per il Rinnovamento della Sinistra (www.arsinistra.net). Nel 2005 fu tra i promotori della rete "Unirsi" (www.unirsi.it). Già consigliere provinciale di Sinistra Democratica, oggi aderisce a Sinistra Ecologia e Libertà