Assad non sopporta chi cerca una soluzione pacifica nel rapporto insaguinato tra il suo potere e le richieste di una vita normale della gente e della Lega Araba. “Ma è un errore” - annuncia nella lettera natalizia Paolo Dall’Oglio - “scatenare contro i dittatori soluzioni di forza e rappresaglie internazionali. Stretto nell’angolo l’uomo forte diventa innevitabilmente feroce”
Il gesuita innamorato dell’Islam espulso dopo 30 anni dalla Siria: “fa politica” perché parla di riconciliazione e democrazia
28-11-2011
di
Stefano Femminis
Paolo Dall'Oglio, fondatore del monastero Der Mar Musa
Sono in forse gli appuntamenti italiani di Paolo Dall’Oglio, atteso a Milano alla Cattedra del dialogo e a Roma per la presentazione del suo ultimo libro (“Innamorato dell’Islam, credente in Gesù”, Jaca Book). Il gesuita ha fatto domanda di un «visto di rientro» per un viaggio nel Kurdistan iracheno che avrebbe dovuto poi proseguire in Italia, ma il visto gli è stato negato dall’Ufficio passaporti. Paolo Dall’Oglio è stato inoltre informato della «sospensione della residenza» in Siria (pur vivendo a Deir Mar Musa da tre decenni, non gli è mai stata concessa la cittadinanza: fino a ieri De Mussa simboleggiava la convivenza pacifica ed ecumenica tra musulmani e cristiani, esempio di pace per l’intero Medioriente – ndr). «C’è un desiderio dello Stato siriano – spiega telefonicamente- di controllare in modo più diretto la comunicazione fuori dal Paese di intellettuali indipendenti».
A questo punto, si teme (ed è successo domenica – ndr) che tutto ciò sia il preludio a un’espulsione di padre Dall’Oglio, considerando le sue posizioni coraggiose in difesa della prospettiva democratica del Paese a cui ha dedicato trent’anni della sua vita.
Dall’Oglio conferma questi timori: «Se sarò in Italia tra qualche settimana sarà per un miracolo oppure perché sarò stato espulso. Ma ci tengo a dire che se mi cacciano, pazienza, ciò che conta è che non scoppi la guerra civile in Siria. Nonostante la grande sofferenza per le vittime della violenza di queste settimane, resta vero che la Siria può cambiare solo gradualmente e innescando un processo di riconciliazione nazionale, nel quadro di una dinamica di pacificazione regionale e di emergenza di una vera società civile. Da questo punto di vista si auspica una grande e nuova dinamica diplomatica centrata su una prospettiva multipolare, che veda protagonisti Paesi come Brasile, Argentina, India, Venezuela: si tratta di nazioni che possono parlare con tutti, dall’Iran all’Arabia Saudita, alla stessa Siria. La questione siriana fa parte di un panorama più vasto, che riguarda anche il contenzioso nel Golfo Persico tra Iran e Paesi arabi sunniti con popolazioni sciite arabe connesse, così come la questione libanese».
In Europa – facciamo presente a padre Dall’Oglio – molti si chiedono sbrigativamente perché bombardare la Libia e non la Siria, dove si stanno compiendo violazioni dei diritti umani non meno gravi: «Ci sono due enormi differenze con il Nord Africa – spiega -: anzitutto la guerra endemica arabo-israeliana, tuttora in corso; inoltre la tensione crescente tra ambienti sciiti e ambienti sunniti, con dinamiche simili a quelle degli scontri a sfondo etnico: questi due elementi rendono il cambiamento più difficile e soprattutto sconsigliano un intervento armato, che vorrebbe dire la destabilizzazione della Siria, la rottura dell’unità nazionale, e con un effetto domino su tutta l’area, dal Libano a Israele, dall’Iraq all’Arabia Saudita».
Dunque Assad, a differenza di Gheddafi, può contare su una sorta di impunità per motivi geopolitici? «Su questo vorrei dire che trovo strategicamente sbagliata la logica della perseguibilità fisica dei dittatori. Il dittatore all’angolo diventa inevitabilmente feroce e i gruppi a lui contigui diventano resistenti a oltranza. Si può pensare certamente a una perseguibilità “economica” e morale dei dittatori, ma garantendo l’incolumità fisica loro e dei loro familiari. Già i romani del resto ci insegnavano che “nemico che fugge, ponti d’oro”. Su questo bisogna essere chiari: si tratta di scegliere tra questa via oppure la morte di decine di migliaia di persone».
Inevitabile chiedere a padre Dall’Oglio se anche le autorità ecclesiastiche si stanno attivando sia per affrontare il suo caso personale sia rispetto ai problemi più complessivi: «Sono profondamente convinto che in questo momento la diplomazia vaticana possa essere più efficace di quella occidentale, possa smuovere dinamiche positive, ad esempio stimolando i Paesi emergenti a essere più presenti in questi frangenti. Quanto al mio caso, intanto spero che questa possa essere l’occasione per essere ricevuto in udienza dal Santo Padre, cosa che in precedenza non è stata possibile. Per il resto posso solo dire che la Chiesa si sta muovendo per salvare il salvabile, ma voglio ripetere una cosa: se mi cacciano pazienza, ma bisogna assolutamente evitare una guerra civile in Siria».
Stefano Femminis è nato a Milano nel 1968, vive a Lecco insieme alla moglie Pamela e ai figli Ester e Michele. Dal 2000 lavora a Popoli, mensile internazionale dei gesuiti italiani. Ne è diventato direttore nel 2006. Ha viaggiato in America Latina, ha lavorato per dieci anni ad Aggiornamenti Sociali, il mensile di analisi e intervento sociale dei gesuiti allora diretto da padre Bartolomeo Sorge. L’intervista a padre Dall’Oglio appare su Popoli.