Dopo le modifiche al decreto “salva Italia”, non cambia sostanzialmente la natura della manovra. Si prepara la grande recessione che inizierà, anche tecnicamente, il prossimo anno e che renderà del tutto inutile i sacrifici imposti.
Cornuti e mazziati.
Alberto Bisin spiega con brutale chiarezza come stanno le cose: “il fatto è che nonostante il suo nome,il decreto non salva proprio nulla. L’esecutivo non ha trasmesso l’idea che la manovra di questi giorni è un’operazione di breve, brevissimo periodo”.
Dunque siamo solo all’inizio.
Ciò che lascia alquanto sconcertati tuttavia è l’assenza di un dibattito pubblico su quell’Europa alla quale si fa continuo riferimento nel giustificare la qualità delle scelte del governo Monti.
A partire da quella sulla riforma “strutturale” delle pensioni, che altri avevano già strutturato da tempo e che viene accelerata con un colpo di scure al solo scopo di far cassa.
C’è chi ha detto che i pensionati sono stati chiamati a far le veci dei bersaglieri che Cavour inviò in Crimea.
Carne da cannone al tavolo della trattativa.
Conferma in pieno questa tesi anche il responsabile economico del PD, Fassina che avverte: “ questa manovra non ha ragioni economiche, ma squisitamente politiche”.
Che vuol dire?
Beh con lo scalpo dei pensionati Monti può andare in Europa per “riorientare la linea economica definita dalla Germania”.
Una volta accettata questa interpretazione resta da vedere quali risultati si otterranno.
Per il momento, nel recente vertice, a me sembra non se ne siano ottenuti di rilevanti.
Diverso è il giudizio di commentatori di chiara fama come Barbara Spinelli che offre al lettore un lungo elenco dei risultati ottenuti a Bruxelles per finire con quello più significativo che consisterebbe in una Bce di fatto già prestatore di ultima istanza.
A me sembra una forzatura dato che la Bce decide (e si tratta di vedere in che misura) di assicurare liquidità alle banche, non certo di intervenire a sostegno degli Stati e dei loro debiti sovrani. Anche perché le è impedito dai trattati.
Ma, al di là del giudizio sull’accordo intergovernativo che dovrà esser integrato nei trattati, tramite un vero e proprio percorso di guerra, sarebbe utile che dall’Italia e dai partiti, venisse un contributo alla discussione su ciò che appare con ogni evidenza lo stallo drammatico della costruzione europea.
Vengono al pettine in un colpo solo tutti i nodi irrisolti.
La scorciatoia di Maastricht ha fallito nel suo intento. La moneta unica avrebbe dovuto trainare la costruzione politica dell’Europa assieme al cosiddetto (in gergo europeo) “approfondimento” dell’acquis comunitario.
Purtroppo è avvenuto l’esatto contrario. E la speculazione finanziaria, (si dice il 2% dei grandi operatori mondiali) se n’è accorta da tempo e mette nel mirino un paese dopo l’altro.
L’ossessione delle politiche di bilancio volte all’inflazione zero hanno impedito crescita e sviluppo tanto sul piano economico che su quello politico. Su questa debolezza, questa sì davvero strutturale, fanno leva i capitali speculativi, veloci e rapaci.
Lo scambio fatto ha suo tempo, per europeizzare la Germania ai fini di scongiurare l’ipotesi di una germanizzazione dell’Europa se ha funzionato per la prima non ha dato risultati per la seconda.
Qui è l’oggetto attuale del contendere che non potrà esser risolto sulla via tracciata a Bruxelles nella continua e velleitaria rincorsa all’azione tempestiva dei mercati.
La sensazione, almeno la mia, è che tutta una lunga epoca sia giunta al termine.
La politica dei piccoli passi nell’implementazione di politiche comunitarie propedeutiche alla costruzione politica dell’Europa, non funziona più da tempo ed è comunque di molto rallentata dall’allargamento.
Difficile “approfondire” mentre si “allarga”.
Non a caso l’Europa funziona già, a diverse velocità: Euro, Schengen, politiche sociali,difesa, immigrazione.
Anche per questo s’era cercata la via, con Lisbona, di un vero e proprio salto di scala con una Costituzione per l’Europa, che non s’è ottenuta.
Fallito, sostanzialmente quel tentativo, non è ancora scongiurata la secessione da parte dei paesi “virtuosi”: Germania, Francia, Paesi Bassi, Austria, Finlandia e Lussemburgo.
Un’altra velocità.
Questa volta devastante.
In ogni caso l’Italia, con la sua tradizione europeista, non può limitarsi ad andare al traino cercando di limitare i danni.
Sarebbe utile stimolare un confronto serrato anche tenendo conto che mentre noi “facciamo i compiti a casa” come ci ha imposto la Merkel, proprio dalla Germania s’avanzano approcci diversi, da quello dell’SPD che guarda alla crescita, a quello innovativo di Fischer.
Su quest’ultimo non mi sentirei di sorvolare tranquillamente benché rischi di cambiare i connotati all’intera esperienza comunitaria.
Fischer sembra tagliare il nodo gordiano quando afferma che il futuro del processo comunitario ha bisogno subito di una rilegittimazione democratica senza attendere l’araba fenice degli Stati Uniti d’Europa.
E la legittimità “bisogna prenderla dov’è, cioè nei governi e nei parlamenti nazionali”
Da qui l’idea di trasformare il Consiglio europeo in governo europeo e di creare una seconda camera europea, (presumo accanto all’attuale parlamento) formata sulla base dei parlamenti nazionali.
E’ chiaro che questa visione mette in mora la Commissione che attualmente funziona come esecutivo europeo ma che, a onor del vero, è, ed appare, un organismo essenzialmente tecnocratico assai poco legittimato da popoli e paesi, nonostante le timide modifiche introdotte a Lisbona.
Chi, come me, ha sempre pensato in termini federalisti, di fronte al realismo di quest’approccio, deve necessariamente riflettere dato che il tempo per salvare e rilanciare la costruzione europea è ormai assai poco.
In un’altra Lisbona, quella del 2000, s’avanzò una nuova strategia volta (cito a memoria): a fare dell’Europa l’area economica più competitiva al mondo con la creazione di nuovi e migliori posti di lavoro nell’ambito di un sviluppo socialmente e ambientalmente sostenibile.
E’ trascorso un decennio e tutta l’Europa sembra avviarsi sul piano inclinato della recessione o comunque di una sostanziale stagnazione in balìa delle scorribande del capitale finanziario.
Anche da questo triste bilancio ne viene la necessità di confrontarsi con nuove idee e visioni rompendo il recinto di una discussione conservativa che rischia di divenire sempre più anacronistica. Comunque spiazzata irrimediabilmente dal galoppare degli eventi.
Ha ragione Fischer?
Onestamente non lo so.
So però che rimanere ancorati al passato alludendo ad un futuro utopico non risolve il problema e avvicina, per la forza delle cose, una definitiva sconfitta storica del progetto europeo.
Ma in Italia nessuno se ne cura.
Mauro Zani è stato segretario provinciale del PCI e del PDS di Bologna dal 1988 al 1991. Deputato dal 1994 al 2004, poi eletto al Parlamento europeo. Non ha mai aderito al Partito Democratico: nel 2007, all'ultimo congresso dei Ds, fu tra i promotori della mozione n.3 insieme a Gavino Angius e Gianfranco Pasquino. Il suo blog è http://maurozani.wordpress.com