Con questa poesia di Roberto Roversi inauguriamo una nuova “inchiesta”: LE PAROLE RUBATE. Ci sono infatti parole che, nel corso del tempo e senza che ce ne rendessimo conto, ci sono state scippate. Basti pensare a recenti invenzioni come “Popolo della Libertà”. Riappropriarsi delle parole significa innanzitutto ripronunciarle. Riprendere il filo che conduce alle origini del loro autentico significato: la cultura, i valori e il vissuto (passato e presente) di un popolo. Partiamo proprio da qui. Alla ricerca delle parole del futuro.
***
Popolo. Dico: popolo
Il popolo c’è, quindi ognuno di noi può gridarlo, o dirlo a voce bassa, però con
convinzione, perché Popolo sono loro, sono quelli, sono questi, siamo noi, è lui, è lei,
sei tu, sono io.
Se il Popolo c’è io c’ero.
Soli, contiamo poco, uniti valiamo mille.
Anzi, non mille ma mille volte più.
Uniti, il calore del sole è il nostro calore.
Uno per uno, sciatti e sospettosi, contiamo e valiamo come quella foglia rinsecchita
attaccata a un ramo che il primo soffio di vento farà cadere nella polvere.
Stupenda amicizia propone il popolo fra sé e non ha ombre. Egli marcia e poi si
irradia e dà o propone speranza. Senza meraviglia, esso, il popolo, può ergersi come
una montagna e come una montagna coprirsi di neve, vale a dire di onesto furore;
ergersi, ripeto, come una pianura e contendere il privilegio della natura, che è quello
di non spegnersi mai. Soffia via la paura, il popolo; anche solo cantando una canzone;
e cantando indica una strada da percorrere anche se fra sassi rotolati da secoli. Il
popolo tiene nelle sue mani, anzi li stringe forte forte, tutti coloro (e sono uomini e
sono donne e sono giovani e sono vecchi e vecchierelle) che sembra non abbiano un
nome, che sembrano legati ai più duri lavori e che non siano mai considerati quali
protagonisti della storia, e che anche come ombre sembra che scompaiano dopo aver
largito tutto il sudore del mondo. Il popolo soffre e muore ma è subito in piedi,
accompagnando le albe che non perdono mai la luce. Perché il popolo illumina la
vita, dato che non si quieta mai e si protende sempre al seguito del suo coraggio e
della sua volontà, che sono sublimi.
Roberto Roversi
Roberto Roversi (Bologna, 1923) è uno dei maggiori poeti italiani. Il suo nome è legato a movimenti importanti della nostra cultura. Negli anni Cinquanta è tra gli animatori della rivista “Officina”. Nel Sessanta pubblica da Einaudi “Dopo Campoformio”, versi che hanno accompagnato la generazione che si preparava al ’68. Subito dopo “Descrizione in atto”, uno dei poemi più affascinanti del Novecento, proposto in ciclostilato in polemica con l’industria culturale. Da allora ha sempre rifiutato di affidare le sue opere a grandi editori: continua a distribuirle in fogli ciclostilati dei quali si occupa personalmente. Ha scritto anche testi di canzoni, alcuni per Lucio Dalla (Il coyote, Nuvolari, Anidride solforosa), considerati capolavori della canzone d'autore contemporanea.