Aveva ragione Adriana Zarri che si sentiva in consonanza con Benedetto XVI solo nella passione per i gatti. Il libro che contiene l’intervista che Peter Seewald ha fatto al Papa, senza censure o richieste preventive, mi sembra la solita operazione editoriale con le prenotazioni già registrate per la seconda e la terza edizione.
I media hanno espresso interesse. Per la verità più al preservativo che al Papa, in questo con uno spostamento di attenzione improprio, sempre a mio avviso. Anche perché si sono sottolineati sviluppi interessanti del Benedetto/pensiero che in realtà non ci sono o, per lo meno, non sono così rilevanti. Anche l’elemento più serio, l’ipotesi di dimissioni, è stata accennata in altre dichiarazioni, ma nessuno l’ha ancora messa in pratica né ha proposto innovazioni nel diritto canonico.
La sottolineatura più forte è quella poco avvertita: invece, da quando pose il latino della messa di Pio IX come variante di quella post-conciliare in volgare, è evidente che il Papa – in totale opposizione alle sue ripetute condanne – è un relativista. Lo conferma, proprio per l’uso del preservativo, il convincimento che vi siano “singoli casi” in cui ne è consentito l’uso. L’esempio che cita ha suscitato qualche perplessità linguistica perché non è chiaro se l’originale tedesco facesse riferimento a prostituzione maschile o femminile; comunque, teniamo per buona la forma più ovvia: quando una prostituta usa il preservativo, si tratta di “un primo passo verso una moralizzazione, un primo segno di responsabilità per sviluppare di nuovo la consapevolezza che non tutto è permesso e che non si può fare tutto quello che si vuole”.
Che cosa significa? Siccome resta ancora una volta scontato per lui che “non è il modo vero e proprio per vincere l’Hiv”, sembra che si resti dentro la tradizionale morale cattolica: la permissività sulla prostituzione non è nuova (l’omertà sulle debolezze maschili non ha mai messo in luce l’esigenza di richiamare l’uomo alla responsabilità sessuale), mentre il richiamo al “non tutto è permesso” fa pensare che il papa abbia in mente la possibilità generativa della trasgressione. Non gli viene assolutamente in mente che ci sono delle moglie che possono essere contagiate o dei bambini che possono nascere sieropositivi.
Tuttavia esprime anche altri concetti che segno di innovazione non sono: che la verità possa essere perseguita senza contraddizione sia dalla ragione sia dalla fede è un suo consolidato convincimento, dato che il logos è divino come la fede. Quello che non quadra è che la fede tradizionalmente insegnata dalla Chiesa va poco lontano: si fa presto a dire che la droga è un mostro alimentato dall’Occidente, ma quale antidoto l’educazione cattolica ha assicurato alle radici cristiane del medesimo Occidente?
Benedetto XVI riscontra nei media il “compiacimento a mettere alla berlina la Chiesa e, se possibile, screditarla”. Con tutto il rispetto, il discredito nasce da comportamenti clericali che vanno dai reati di pedofilia (che andrebbero trasmessi al tribunale ordinario, cosa ancora non detta esplicitamente) allo scambio interessato favori/benedizioni che fanno “contestualizzare” anche le bestemmie se dette dai potenti. L’accusa alla stampa sembra così la ricerca di un capro espiatorio diversivo.
Quanto a Pio XII, “ha fatto tutto il possibile per salvare delle persone… In sé avrebbe dovuto parlare, ma la situazione glielo impediva”. Che ragionamento è? La debolezza sarà umanamente comprensibile, ma non testimonia Cristo. È ben vero che Pietro (come tutti i Dodici) stava nascosto per paura delle retate mentre Gesù moriva e, una volta risorto, consegnava “l’annuncio” a Maria di Magdala. Ma per Benedetto XVI è sempre la (solita) storia: da Pietro venne il ministero petrino, dalle donne non venne quello “mariano” e la Chiesa creò il suo ordine gerarchico di maschi celibi. Naturale, dunque, che ancora una volta il Papa dica che dare il sacerdozio alle donne sarebbe un “regime dell’arbitrio”: “Non siamo stati noi a creare questa forma della Chiesa… non si tratta di non volere, ma di non potere”. Concludendo: “Ci atteniamo alla volontà del Signore”. Sempre rispettosamente: quale volontà secondo Scrittura?
Giancarla Codrignani, docente di letteratura classica, giornalista, politologa, femminista. Parlamentare per tre legislature