Il volto sorridente di Oliviero Diliberto campeggia dalle pagine del Manifesto sopra lo slogan “uniamo i comunisti e la sinistra”, e subito la mente va alle reiterate scissioni, alle epurazioni di compagni “fuori linea” che, ad onta della velleità di unire, si succedono periodiche nel mini-partito che conserva l’aggettivazione originaria.
Ascolto le suggestive “narrazioni” di Nichi Vendola e mi sembra di navigare verso un radioso futuro per la sinistra del secondo millennio, poi osservo dal vero Sinistra Ecologia e Libertà ed è tutt’altra storia: fine delle suggestioni per il presente, opaco ed anonimo, di un movimento che ancora sembra vivere nell’esclusiva attesa, quasi messianica, dell’ascesa del suo leader.
Per non parlare di Rifondazione Comunista: quel che fu il partito della prima grande scissione dopo la fine del PCI, speranza dei comunisti incrollabili e dei movimenti duri e puri, il partito del Bertinotti-pensiero, naufragato alla deriva dopo il suo drammatico errore di far cadere il primo governo Prodi, mai più recuperato nè in termini elettorali nè dal punto di vista politico e culturale, si aggira nell’orizzonte politico sembra senza una meta.
I Verdi neanche a dirlo, scissi in molecole, periodicamente con l’avvicinarsi delle elezioni, lanciano costituenti non ricostituenti: verdi ma non di sinistra, aborriscono il rapporto organico con i “rossi”, tranne quando serve a conservare uno scranno in consiglio regionale o un assessorato che, diciamo la verità, non si nega quasi mai a nessuno, soprattutto se non dà fastidio.
Il pellegrinaggio, quasi una via crucis, nella sinistra italiana è come affrontare un calvario di sigle, gruppi, partitini e semi partiti che si guardano in cagnesco, che continuano nella diaspora senza intravedere alcun ripensamento della propria grama esistenza e di quanto sarebbe necessario, comunque semplicemente logico, che persone che hanno dal punto di vista generale idee e valori molto simili, cercassero di restare uniti e di sviluppare un progetto comune; invece niente di tutto questo, più si diventa marginali più sembra esasperarsi l’isolazionismo, l’autoreferenzialità, l’individualismo in tutte le sue forme.
Ho visitato la mostra “Per Enrico” sul PCI a Bologna, promossa dalla Fondazione 2000, emanazione del PD che è il partito nato dall’abiura del comunismo, e ritrovo quel bellissimo simbolo, rosso e giallo su fondo blu (“vota comunista”) che abbiamo amato più di ogni altro, quel simbolo che abbiamo attaccato sui muri dappertutto nelle campagne elettorali, quel simbolo da quale promanava affidabilità, forza, serietà, unicità.
Tornare al passato non è possibile e non è preferibile, il tempo è trascorso ed il mondo è cambiato profondamente, ma ci chiediamo ancora come è stato possibile che da quel grande partito che fu il PCI siano state prodotte tante realtà deboli e frammentate o comunque prive di un qualsiasi riferimento reale a quell’esperienza straordinaria.
Nella prefazione all’opuscolo della mostra che contiene due documenti importanti di Berlinguer – le sue conclusioni al convegno degli intellettuali dell’Eliseo del “77 (in cui lanciò incompreso, con trent’anni d’anticipo, la parola d’ordine dell’austerità) e la “carta della pace e dello sviluppo” – Pierluigi Bersani si sforza di tracciare un identikit del grande dirigente, inquadrandolo in una dimensione non ideologica e non classista surreale, esaltando la “questione morale” dal punto di vista di un idealismo etico (che non c’entra niente), in contrapposizione surrettizia all’antipolitica oggi dominante, impropriamente piegandone il pensiero in modo utilitaristico alle polemiche dell’oggi.
Vorrei dire che maliziosamente il segretario del PD, finge di dimenticare che Berlinguer non rinnegò mai il socialismo come complesso di idee e valori anche se certamente in una concezione del tutto antidogmatica, e tralascia Bersani di considerare che l’aggiornamento necessario per adeguarsi ad ogni trasformazione reale dei rapporti sociali ed economici è tutt’altro che l’abbandono dai propri ancoraggi fondamentali, ciò che invece, purtroppo, è storicamente accaduto in Italia.
Il PD è alla continua disperata ricerca di costruire una trama della sua nuova identità che legittimi l’improvvida rimozione delle sue radici storiche, senza fare i conti con esse se non attraverso la pratica dell’oblio e della mistificazione della verità, nella continua pretesa di rappresentare attraverso la retorica memorialistica, l’iconografia berlingueriana tanto cara ai suoi elettori, non sarebbe venuta l’ora di un ripensamento autocritico?
Insomma da tutte queste inadeguatezze e frammentarietà emerge chiaramente l’assenza in Italia di un partito della sinistra propriamente detta, un partito autenticamente di sinistra, organizzato, europeo, radicato tra i giovani e nel mondo del lavoro, un partito che tragga la sua linfa vitale dai grandi movimenti di resistenza democratica in atto, coinvolgente, partecipativo, in sintonia con quanto si muove nella società in tumultuosa trasformazione.
Un partito non oligarchico, non burocratico, veramente “democratico” nel metodo, un partito nuovo che interpreti e rappresenti i sogni e i bisogni del nostro tempo, un partito che non c’è.
Si avvicina il redde rationem e forse il Caimano questa volta è veramente alle corde, forse non passerà “a’ nuttata”, oppure ancora una volta sarà riuscito a saltare l’asticella dei trecentoquindici, ma per quanto tempo ancora?
La fine del ciclo berlusconiano è vicina ma al di là del breve termine, con un governo tecnico-istituzionale per affrontare l’emergenza o con le elezioni anticipate, in ogni caso la questione centrale è e sarà come uscire dalla crisi: con l’applicazione draconiana delle ricette della BCE e della Banca Mondiale o con un programma di coalizione in cui le forze del lavoro possano avere voce in capitolo?
In questo interrogativo c’è la risposta all’esigenza non rinviabile di un soggetto politico autonomo della sinistra italiana, che certo non si ricostruisce in un mese ma per il quale occorrerebbe aprire il cantiere.
Sergio Caserta è nato a Napoli. Studi in materia giuridica ed economica, dirigente di organizzazioni ed imprese cooperative, attualmente vive a Bologna e si occupa di marketing e comunicazione d'azienda. Formatosi nel PCI di Berlinguer, coordina l'Associazione per il Rinnovamento della Sinistra (www.arsinistra.net). Nel 2005 fu tra i promotori della rete "Unirsi" (www.unirsi.it). Già consigliere provinciale di Sinistra Democratica, oggi aderisce a Sinistra Ecologia e Libertà