Fondatore del San Raffaele di Milano, definì l'uomo di Arcore "un regalo della divina Provvidenza per salvare l'Italia". Oggi, da rettore, promette una cattedra alla figlia Barbara. Chi è Don Verzè? Religioso facoltoso, controlla fette importanti della sanità non solo lombarda. Pluriindagato, fu intimo di Craxi. Perché l'ex sindaco-filosofo di Venezia è con lui?
Cacciari difende il suo rettore, prete berlusconiano e amico di famiglia
26-07-2010
di
Gino Spadon
I fatti sono noti. Il giorno 20 luglio, all’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano Barbara Berlusconi ha discusso la sua tesi di laurea in filosofia ottenendo la votazione di 110 e lode. Sorrisi e strette di mano da parte della Commissione; urrah festosi e lancio in aria di libri e cappelli da parte degli amici; dichiarazioni commosse del padre della neo-laureata giustamente orgoglioso della figlia sulla cui testa ha tante volte giurato a dimostrazione di quanto gli sia cara. Tutto nella norma dunque, sennonché… sennonché ecco la sbavatura.
Il rettore dell’Università, quel don Luigi Verzé che ha definito Silvio Berlusconi “un uomo mandato dalla divina Provvidenza per salvare il nostro paese”, sente il bisogno di chiedere alla neo-laureata (laurea triennale, si badi bene) se riteneva che potesse nascere una facoltà di Economia del San Raffaele basata sul pensiero dell’autore sul quale verteva la sua tesi (Amartya Sen), e se, in questo caso, se la sentiva di diventare docente di questa Università. Proposta assolutamente scandalosa agli occhi di Roberta De Monticelli, nota docente ordinaria nello stesso Ateneo, che subito reagiva con lettera di fuoco al giornale la Repubblica in cui si dissociava “apertamente e pubblicamente da quella che riteneva una violazione non solo del principio della pari dignità formale degli studenti, non solo della forma e della sostanza di un atto pubblico quale una proclamazione di laurea, non solo della dignità di un corpo docente che il rettore dovrebbe rappresentare, ma anche dei requisiti etici di una istituzione universitaria d’eccellenza quale l’Università San Raffaele giustamente aspira a essere”.
Insomma un bel pasticcio con fior di polemiche cui hanno partecipato in molti e fra questi anche Massimo Cacciari e Michele Di Francesco che, nelle loro vesti rispettive di Prorettore Vicario dell’Università Vita-Salute San Raffaele e di Preside della Facoltà di Filosofia della stessa Università, hanno firmato un documento ufficiale in difesa di don Verzé. .Il documento, bisogna dirlo subito, si rivela altamente specioso per due ragioni sostanziali. Prima di tutto perché evoca un tema che non ha niente a che fare con la polemica innescata dalla lettera della De Monticelli.
Dire, come fanno Di Francesco e Cacciari, che “la signora Barbara Berlusconi si è presentata alla sessione di laurea con una media di 108,37/110 (corrispondente al 29,55/30) e dieci lodi” e che “con un curriculum di questo tipo la sorpresa sarebbe stata se non si fosse laureata a pieni voti e non il contrario” significa andar fuori del seminato o meglio ancora menare il can per l’aia. Nessuno infatti, e tanto meno la De Monticelli, ha messo in dubbio il valore della giovane Berlusconi. Aggiungere poi che “una battuta paterna del Rettore Don Verzé, peraltro ripetuta in passate occasioni nei confronti di altri studenti, possa essere interpretata come la proposta formale nei confronti della signora Barbara Berlusconi di far parte del corpo docente del San Raffaele sfida ogni ragionevolezza e ogni criterio di buon senso” è prova di smaccata ipocrisia.
A chi si vuol far credere che ad ogni neo-laureata “triennale” con 110 e lode venga “paternamente” proposto di far parte del corpo docente? Peggio ancora il finalino del documento. Sostenere infatti che “al San Raffaele, come in ogni università italiana l’accesso alla docenza è regolato dalle leggi dello Stato che governano i concorsi universitari” è dire una verità a tutti arcinota, ma ignorata, nel caso specifico, proprio da colui che, dovendola conoscere meglio di tutti, era tenuto a evitare battute “paterne”, tanto più in presenza dell’Uomo della Provvidenza che non ci mette molto a chiamare la Gelmini.
Concludendo direi, con madame de Maintenon, che “le péché vaut encore mieux que l’hypocrisie” che, tradotto, suonerebbe pressapoco così: il peccato di don Verzé, provocato da evidente interessata piaggeria, è meno grave dell’ipocrisia di chi ha voluto tutto esaltare del “paterno” rettore, etiam peccata.
Gino Spadon vive a Venezia. Ha insegnato Letteratura francese a Ca' Foscari.