La Lettera

Per ripulire la democrazia inquinata i ragazzi hanno bisogno di un giornale libero

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È abbastanza frequente che editori della carta stampata chiudano i loro giornali. Anche a me è capitato quando dirigevo “L’Avvenire d’Italia”, e oggi si annuncia una vera e propria epidemia a causa della decisione del governo di togliere i fondi all’editoria giornalistica. Ma che chiuda Domani di Arcoiris Tv, che è un giornale on line, è una notizia …

La Lettera

Domani chiude, addio

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L’ironia di Jacques Prévert, poeta del surrealismo, versi e canzoni nei bistrot di Parigi, accompagna la decadenza della casa reale: Luigi Primo, Luigi Secondo, Luigi Terzo… Luigi XVI al quale la rivoluzione taglia la testa: “Che dinastia è mai questa se i sovrani non sanno contare fino a 17”. Un po’ la storia di Domani: non riesce a contare fino …

Libri e arte » Teatro »

Teatro bene comune per il palcoscenico di dopodomani

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Teatro Municipal - Foto di Elton Melo

“Non si può bluffare se c’è una civiltà teatrale, ed il teatro è una grande forza civile, il teatro toglie la vigliaccheria del vivere, toglie la paura del diverso, dell’altro, dell’ignoto, della vita, della morte”. Parole di Leo …

Inchieste » Quali riforme? »

Il governo Berlusconi non è riuscito a cancellare l’articolo 18, ci riuscirà la ministra Fornero?

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Il governo Monti ha perso il primo round con Susanna Camusso che fa la guardia alla civiltà del lavoro, fondamento dell’Europa Unita. Sono 10 anni che è morto Marco Biagi, giuslavorista ucciso dalle Br. Si sentiva minacciato, chiedeva la scorta: lo Scajola allora ministro ha commentato la sua morte, “era un rompicoglioni”. Rinasce l’odio di quei giorni? Risponde Cesare Melloni, …

Piccoli editori » Forum Editrice Universitaria Udinese »

Esce con la postfazione di Mario Rigoni Stern questo libro ambientato nel 1944 in Friuli dove arrivarono i "cosacchi" e ogni villaggio ebbe il suo re

Carnia, racconti di ragazzi in guerra

20-01-2011

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Racconti di ragazzi in guerraNome di battesimo, all’anagrafe e sul registro di classe, Ezio. Screm di cognome. Ma noi lo chiamavamo ‘Chila’. Il soprannome gli si era attaccato addosso così bene che al nome si era davvero sovrapposto fino a cancellarlo. La superiorità di Chila non era solo nella sua arte di cabarettista che, facendogli il verso e rendendolo ancora più paradossale, ci mostrava Appelius in mutande, ma era quello della televisione sulla radio. La televisione non esisteva ancora, la inventò Chila. A parte alcune questioni tecniche, che sarebbero state risolte più tardi.

Paradossale? Mica tanto. Tutti si ricordano il commento dei cinesi quando andò in orbita il primo Sputnik: «I russi non hanno fatto altro che migliorare una nostra invenzione vecchia di almeno duemila anni: i fuochi d’artificio». Sotto la scuola c’era una chiesetta: lui si sedeva sul colmo a cavallo del tetto e cominciava la ‘trasmissione’. Pur avendo inventato la televisione non aveva inventato il ‘gobbo’, ma non ne aveva bisogno: non leggeva, componeva. Partiva riproducendo, con la sola voce, ottoni e tamburi di una banda militare, poi la sigla dell’EIAR (la radio del regime), quindi dava il sommario delle notizie. Noi tutti attorno che ci scompisciavamo. Le notizie, cambiando voce, le faceva dare direttamente da Appelius: prima l’invocazione a Dio che volgesse i suoi occhi sugli inglesi, nel modo in cui si è detto e magari facesse quello che l”Asse’ non riusciva a fare, quindi le novità della giornata che di fatto erano un minuzioso notiziario di guerra, cioè di: «Vittorie strepitose su tutti i fronti [elenco], salvo qualche piccola ritirata [elenco], tattica, ben s’intende, di più o meno duecento chilometri, per ritemprare le energie e riprendere l’offensiva con maggior vigore».

Un classico: «Nuovo bombardamento decisivo dell”Asse’ su Malta, i nostri eroici aviatori hanno distrutto definitivamente (ancora una volta) tutti i sistemi di difesa e di offesa dell’isola portaerei del perfido nemico inglese nel Mediterraneo-Mare-Nostrum! Dunque: VINCEREMO!! Dio è con noi e contro gli inglesi, e ancora una volta stramaledica quell’orrendo popolo dalle facce grifagne, e stramaledica anche i pluto-giudeo-massoni cugini germani dei mercanti di Londra, cioè la superbia, lo strozzinaggio e la prepotenza di lingua inglese dei finanzieri di Nuova York, per non dire i friulani e anche i terroni.

Ma, non esageriamo con i dettagli, restiamo alle notizie: la nostra gloriosa aviazione, ha inferto il duro colpo, di cui vi ho appena detto, senza subire nessuna perdita. Per chi ne dubitasse possiamo comunicare, ho detto comunicare, con certezza che dalla base sono sono partiti in otto idrovolanti e son tornati in nove… esultiamo dunque perché anche oggi la già sconquassata dentiera della superba e perfida Albione, piovra inumana e tentacolare, ha avuto la sua razione… oggi è, diciamolo con tripudio e forza, una grande, splendente e vittoriosa giornata per l’umanità tutta, vittima insanguinata e illividita della superbia inglese, della furfanteria inglese, dello sfruttamento inglese, non per ripeterci, ma oggi è, ribadiamolo con tripudio e forza, una grande e splendente giornata di vittoria sulla superbia inglese, la furfanteria inglese, l’intrigo inglese, lo sfruttamento inglese, lo strozzinaggio economico inglese, il bagarinaggio commerciale inglese, la perfida politica inglese, i tradimenti diplomatici inglesi, la piratesca tradizione inglese di barare…».

Andava avanti così per delle mezze ore, anche perché c’erano i nostri commenti e lazzi e, alle volte, di certi pezzi, doveva fare il bis. In parte era ‘cronaca’ di fatti e detti ascoltati, in parte invenzione pura. Ma la sua creatività non era libera, se si metteva a imitare altre voci, fosse pure Mussolini, o personaggi minori, tutti in un solo grido reclamavamo: «Appelius! Appelius!». Se il maestro ci chiamava, non bastava una volta, facevamo finta di non sentire. Figurarsi lo scatenarsi dopo le botte cosacche a Animanera, eravamo in una botte di ferro: i cosacchi non capivano o capivano quel tanto da dedurre che eravamo fanatici dell”Asse’ e l’autorità locale, per noi, era come se fosse stata di nuovo sospesa.

Ma sorprendentemente Animanera che prima, duro e severo, ci spintonava e faceva sospendere illico le trasmissioni, si fermava invece ad ascoltare il nostro Appelius. Forse, lo dico ora col senno di poi, era come se si fosse accorto, che la sapeva più lunga e più chiara Chila. Lui a forza di dirci che avremmo vinto, aveva finito per credere che avremmo vinto davvero, e intanto si ritrovava nero di legnate sommini strategli da alleati sacrileghi e disperati. In termini aggiornati: «Vittima del fuoco amico». Forse le botte sulla testa avevano messo in moto qualcosa anche dentro la testa o lo avevano completamente rintronato. In ogni caso faceva impressione, vederlo lì in piedi ad ascoltare, anche se ci toglieva un po’ di gusto. Ma Chila andava avanti imperterrito, anzi si era messo a calcare di più alcuni tasti e, alle volte, finiva la trasmissione intonando la canzonetta su Animanera a cui ci associavamo tutti nel boato di uno sguaiatissimo, non sgangherato, e divertito coro. Retrocedendo di stagione: da noi in inverno fa freddo. Un freddo che s’installa e dura a lungo. Un discorso sulle ‘gabbie termiche’, anche fatto oggi, non sarebbe un paradosso. Allora il Comune non aveva i soldi per comperare nulla, figurarsi la legna per le scuole. A peggiorare il quadro: la legna nelle case era diventata risorsa rara. Veniva conservata al chiuso nelle stalle o nelle soffitte e consumata con parsimonia. Per gli adulti andare nel bosco era diventato pericoloso: si rischiava una scarica di mitra o di finire internati in Germania.

Come se non lo riguardasse il nostro maestro ci ricordava ogni sera che dovevamo portare da casa, la mattina dopo, «Almeno un legnetto a testa: di faggio mi raccomando». Mica banale. Il faggio dà tre volte più calore dell’abete. Ma noi, per non farci sgridare a casa, le rubavamo da qualche catasta, la più vicina alla scuola, entrando nelle stalle come furetti. L’unico a non aver bisogno di sgraffignare era Chila, figlio di falegname, gli bastava raccogliere qualche pezzo di tavolone attorno alla sega circolare di suo padre. Magari i ritagli di una cassa da morto, appena terminata. Per quell’articolo il lavoro non mancava. E le armi? Tutti avevamo il nostro piccolo o grande arsenale. Procurarsele, ne giravano tante, era proprio un gioco da ragazzi… Mica solo elmetti e baionette, anche pistole, fucili, bombe a mano. Le nascondevamo nei posti più impensati e ci giocavamo e andavamo a pescare (facendo esplodere le bombe a mano nelle pozze del fiume, così le trote venivano a galla morte, pancia all’aria: vista la penuria di tutto a casa non venivamo sgridati), Tutto questo lo facevamo già da prima della ‘Zona libera’, figurarsi dopo.

Ma i partigiani non erano stati molto comprensivi. Un giorno eravamo nel bosco, quasi metà classe e sparacchiavamo contro barattoli, bottiglie, ma anche scoiattoli, corvi e gatti (li portavamo con noi chiusi dentro a un sacco e ne liberavamo uno alla volta…). Il rumore complessivo, doveva assomigliare a quello di una battaglia. Da dietro arrivano i partigiani. Quando capiscono chi sono i guerrieri si sentono di sicuro sollevati, ma poi più divertiti che arrabbiati, ci sequestrano senza troppe cerimonie tutto quel ben di dio e ai meno rapidi a scappare arriva anche qualche calcione nel sedere: «Lattonzoli, andate a casa a fare i compiti che la guerra non è un gioco». Gli arsenali vennero ricostituiti quasi subito, e riprendemmo, più silenziosi e prudenti, giochi di guerra e scambi.

Si andò avanti anche con i cosacchi, il rischio era grande, ma la varietà di quel che si trovava molto più universale. Se la guerra, come qualcuno sperava, fosse durata ancora qualche anno ci saremmo trovati ad usarle davvero quelle armi, in una sorta di quasi naturale e immanente continuità. Con Chila/Appelius ci eravamo già aiutati a scegliere da che parte stare. Ma a cosa avranno mai giocato le varie generazioni di bambini che si succedettero durante la guerra dei trenta o dei cento anni? Oltre a morire, magari di fame. A cosa giocano, in questi giorni e anni, i bambini a Sarajevo? Il nostro gioco continuò anche a guerra finita, agli inglesi fregammo addirittura un bazooka. Ma ora tutto il mondo era nostro: le grotte naturali nei boschi e l’infinito dedalo di gallerie della linea fortificata – il ‘Vallo Littorio’ – costruite, in fretta e furia, quando il regime scelse, per una manciata di mesi, di opporsi all’Anschluss dell’Austria. Nostro per poco tempo: chi continuò a studiare andò nelle città meno lontane, pochi; altri seguirono le famiglie in Australia o in Canada. Questo fu per tanti la pace: emigrare. E questo fu anche il destino di molti partigiani. Per loro un lavoro lì non saltò fuori, dovettero andare a cercarselo in Svizzera o in Francia o in Belgio. Non si sapeva di Gladio, ma c’era.

Imparato il mestiere del padre emigrò anche Chila. Per me fu come se avessero dato una mano di grigio al mondo. E i tetti? Avete mai sentito e visto una tegola di un vasto e ripido tetto di stalla che si stacca e scorre saltellando, tic-tec, tic-tec, di scaglia in scaglia, fino al filo di gronda e poi precipita sotto e finisce in mille pezzi, come scoppiata? È uno spettacolo impagabile. Purtroppo, in natura, succede raramente. Qualche volta, all’inizio della primavera. Appena sciolta la neve, una tegola, che il ghiaccio ha imprigionato in una morsa tremenda spezzandola, si stacca di colpo e, tic-tec, tic-tec, si mette in viaggio. Ma siccome è evento raro e lo spettacolo, anche se prodotto artificialmente, resta musicale e affascinante, mentre andavamo a scuola, lanciavamo dei sassi, il più in alto possibile, verso i colmi dei tetti per mettere le tegole in viaggio. Questo avveniva soprattutto a danno di una stalla appena fuori Comeglians. Nel frattempo quella stalla è crollata, anche per colpa nostra. Uso ‘anche’ perché i proprietari se ne disinteressarono, forse emigrarono. Per molti anni nessuno sostituì le tegole rotte, le travi marcirono e il tetto sprofondò. Ora posso dirlo visto che, passati tanti anni, il delitto è andato in prescrizione. Posso anche dire che Chila non vi prese mai parte.

Non a sua discolpa: abitava in fondo al paese, per andare a scuola percorreva un sentiero diverso. I ‘suoi’ tetti erano altri. Ma si può chiamare delitto il vandalismo divertito, ma neppure troppo convinto, di bambini pieni di voglia di vivere, ma che vedevano incendiare e esplodere stalle e case e trascinare ed ammazzare gente come vitelli al macello? Non è bello da vedere neppure quello, ché il vitello lo sa e da solo non ci andrebbe…

Riva San Vitale, 2 febbraio 1995
Zurigo, 16 maggio 1995

Carnia / Kosakenland / Kazackaja Zemlja
Storiutas di fruts in guera / Racconti di ragazzi in guerra
di Leonardo Zanier
Postfazione di Mario Rigoni Stern
136 pagine – ISBN 978-88-8420-635-0
Forum Editrice Universitaria Udinese

Leonardo Zanier, scrittore, aveva nove anni quando nella sua nativa Carnia arrivarono i "cosacchi". Era l'anno 1944.

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