A Catania sant’Agata è una festa importante. È una santa storica (è esistita davvero, fra i primi cristiani), una santa sovversiva (ce l’aveva col prefetto e centurioni) e dunque una santa popolare. È una santa tradita. Non solo – come sempre a Catania – dai mafiosi, che ci hanno messo sopra le zampe impossessandosi della gestione della festa, dei soldi che ci girano e di tutti gli aspetti materiali (c’è un processo in corso: www.cataniapossibile.it). Ma anche dalle persone perbene, dalle autorità e dai politici arcivescovo in testa.
Tutti costoro, cioè la grande maggioranza della Catania garantita, non solo hanno lasciato ridurre in schiavitù dai mafiosi quella che nominalmente sarebbe la loro icona; ma tre anni fa, nel febbraio 2007, l’hanno usata cinicamente (“la festa deve continuare!”) per normalizzare la piazza nei giorni dell’assassinio dell’ispettore Raciti.
Filippo Raciti, ucciso da fascisti e mafiosi (che lì sono alleati) il 2 febbraio 2007 perché si ribellava al patto di buon vicinato con fascisti e mafiosi, non ha avuto giustizia e forse, nella città di Catania, ufficialmente non l’avrà mai (a gente perbene, in questa città, anche senza giustizia dorme bene).
Ha avuto invece – ma forse è ancora di più – solidarietà e amicizia vera. I giovani della città, la minoranza dei buoni (ma a volte non solo minoranza), nei giorni di Raciti si sono ribellati. Sono scesi in piazza, hanno fatto assemblee, hanno detto alto e forte che loro con la Catania ipocrita non ci stanno.
Non è stata una protesta effimera, un fuoco di paglia. Da quei giorni di lotta sono nate crescita umana e organizzazione; e molti di quei giovani hanno continuato a lottare anche dopo (noialtri di Ucuntu, per esempio, in un certo senso siamo venuti fuori proprio da lì). Un ruolo forte l’ha avuto, in quei giorni di costruzione e nei mesi dopo, la sede di Casablanca (di Graziella Proto) che in quell’occasione è stata non solo la redazione di un giornale ma anche un centro di organizzazione, secondo la buona tradizione de I Siciliani; di lì la fase nuova, profondamente centrata sui quartieri, e i soggetti nuovi: Cordai, Periferica, Addiopizzo, Ucuntu, e altri ancora. La trasmissione della fiaccola, il passaggio di generazione e la continuazione di tutto.
Adesso ci sarebbe da parlare di cose molto più moderne e tecnologiche (le fabbriche, internet che si organizza, le cose nuove), ma non è male, una volta ogni tanto, ricordare da dove siamo partiti. I giorni di Raciti non sono ancora finiti. Sant’Agata, festa “folkloristica” e arcaizzante, in realtà è un momento di “scandalo”, nel senso forte (e evangelico) della parola.
E queste cose ci chiamano, ci indicano a modo loro dove andare.
Nato a Milazzo, dove comincia negli anni '70 con il giornalismo "impegnato" in piccoli giornali locali e le prime radio libere, assieme a Pippo Fava ha fondato nel 1982 e poi sostenuto il mensile I siciliani, edito a Catania, che ha avuto il merito di denunciare le attività illecite di Cosa Nostra in Sicilia. Cavalieri, massoneria, mafia e politica i temi principali di un giornalismo che si proponeva rigoroso nelle inchieste e nel mestiere di comunicare e portare alla luce ciò che la mafia per anni aveva fatto al buio. Giuseppe Fava, a un anno dalla nascita del giornale, viene ucciso dalla mafia.
Orioles è il punto di riferimento più forte nella redazione del dopo Fava, impegnato a contrastare in ogni modo il fenomeno della mafia; guida un gruppo che si contraddistinguerà negli anni per l'unità e per la qualità delle inchieste svolte. Egli è stato inoltre tra i fondatori del settimanale Avvenimenti e caporedattore dello stesso fino al 1994. Dalla riapertura, nel 1993, fino al 1995 ha diretto I siciliani.
Dal 1999, svolge la sua attività giornalistica scrivendo e diffondendo l'e-zine gratuita La Catena di San Libero.
Nel maggio 2006 esce la sua ultima fatica: Casablanca, mensile (che ha fondato e dirige) col quale continua a denunciare mafie e corruzioni. Nel corso del 2008, la redazione di Casablanca annuncia l'imminente chiusura per mancanza di fondi e, nonostante i numerosi appelli lanciati a livello nazionale, è costretta a sospendere le pubblicazioni. Parte dei giornalisti impegnati in Casablanca, insieme alle personalità più attive della società civile, ha poi ripreso forma e dato seguito ai precedenti contenuti nel magazine online 'U cuntu[1], disponibile anche in un formato pdf liberamente scaricabile.
Fonte: Wikipedia