La Lettera

Per ripulire la democrazia inquinata i ragazzi hanno bisogno di un giornale libero

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È abbastanza frequente che editori della carta stampata chiudano i loro giornali. Anche a me è capitato quando dirigevo “L’Avvenire d’Italia”, e oggi si annuncia una vera e propria epidemia a causa della decisione del governo di togliere i fondi all’editoria giornalistica. Ma che chiuda Domani di Arcoiris Tv, che è un giornale on line, è una notizia …

La Lettera

Domani chiude, addio

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L’ironia di Jacques Prévert, poeta del surrealismo, versi e canzoni nei bistrot di Parigi, accompagna la decadenza della casa reale: Luigi Primo, Luigi Secondo, Luigi Terzo… Luigi XVI al quale la rivoluzione taglia la testa: “Che dinastia è mai questa se i sovrani non sanno contare fino a 17”. Un po’ la storia di Domani: non riesce a contare fino …

Libri e arte » Teatro »

Teatro bene comune per il palcoscenico di dopodomani

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Teatro Municipal - Foto di Elton Melo

“Non si può bluffare se c’è una civiltà teatrale, ed il teatro è una grande forza civile, il teatro toglie la vigliaccheria del vivere, toglie la paura del diverso, dell’altro, dell’ignoto, della vita, della morte”. Parole di Leo …

Inchieste » Quali riforme? »

Il governo Berlusconi non è riuscito a cancellare l’articolo 18, ci riuscirà la ministra Fornero?

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Il governo Monti ha perso il primo round con Susanna Camusso che fa la guardia alla civiltà del lavoro, fondamento dell’Europa Unita. Sono 10 anni che è morto Marco Biagi, giuslavorista ucciso dalle Br. Si sentiva minacciato, chiedeva la scorta: lo Scajola allora ministro ha commentato la sua morte, “era un rompicoglioni”. Rinasce l’odio di quei giorni? Risponde Cesare Melloni, …

Inchieste » La mia Scuola »

Nessuno conosce la realtà delle università italiane come gli studenti: esami che sono farse o addirittura truffe, professori impreparati, ragazzi ignoranti. Perché tanto la laurea è solo una questione di pazienza più che di merito. A noi non resta che la testimonianza e la denuncia di un sistema malato. E le grandi università d'Europa, America, Cina e Giappone ridono di noi

Università italiane declassate nel mondo, noi studenti sappiamo perché

08-09-2011

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Mosaici all'università - Foto di StefanoLa tristezza italiana. Che il nostro Paese non attraversi un bel momento è fuori da ogni dubbio; ma se a ricordarcelo sono i “coinquilini” del mondo occidentale, mandar giù il boccone diventa ancora più difficile. Le altre nazioni ci ridono dietro per la politica, ci eliminano dalle coppe, ci danno scadenze economiche. E adesso ci dicono anche che non abbiamo futuro. Come se non lo sapessimo.

World university rankings è la classifica mondiale degli atenei stilata dalla londinese Quacquarelli Symonds, società di ricerca specializzata in temi educativi. È un elenco criticabile, per l’uso di criteri quali “reputazione” o per il tener conto elusivamente delle pubblicazioni in lingua inglese, ma è comunque una classifica impietosa, che guarda all’Italia in maniera rassegnata più che delusa, che ancora una volta la illumina di cattivissima luce.

Tra le 200 migliori università al mondo, solo Bologna, infatti, porta in alto il tricolore; ma “in alto” è un eufemismo, dato il suo 183° posto e le 7 posizioni perdute rispetto un anno fa. Poi, in una discesa inesorabile, troviamo La Sapienza di Roma (210°) e le università di Padova (263°) e di Milano (275°) surclassate da atenei inglesi ed americani. In nessun caso tocchiamo l’eccellenza, nemmeno col 48° posto del Politecnico di Milano tra gli atenei tecnologici. Più su proprio non si riesce ad andare.

Quasi 3000 università censite, e questo è il meglio che il Paese di Dante, Michelangelo e Galileo – ma oggi anche di tante pupe e pochi secchioni – è riuscito a produrre. Così la fuga dei cervelli non è un problema ma una speranza, perché chi un cervello ce l’ha prova a scappare per non morire di precariato. La Gelmini, salda al timone di una nave che cola a picco, non si allarma: «I dati positivi per due università, Bologna e Milano ci motivano ancora di più nell’attuazione rapida della riforma universitaria». Perché ogni occasione è buona per tirare acqua al proprio mulino. I fondi mancano e mancheranno, ma il problema non è solo economico, perché il denaro poco può incidere su una mentalità in cancrena. Meritocrazia: questa sconosciuta.

Un tempo essere dottore, essere laureato, era una carica di prestigio, riconosciuta per meriti e sacrifici. Oggi si laureano tutti, tutti. Se sei ricco la laurea non sarà mai un problema, ma solo una questione di tempo. E non mi riferisco a storie di corruzione o di raccomandazioni, parlo del semplice fatto che tra università private e pubbliche, corsi a pagamento, tutor e lezioni private, a forza di tentativi, di materie imparate a memoria e di compiti scopiazzati, di cambi di ateneo, prima o poi alla laurea ci si arriva. Trentenne alla triennale, e poi a sistemarlo ci pensa papà.

Se sei povero la situazione è più complicata, come per tutti gli altri aspetti della vita. Eppure la via dei tentativi funziona anche qui: fuoricorso e ripetente cercando di non strafare, o si corre il rischio di non raggiungere quella miseria di cfu necessari per ottenere la borsa di studio per reddito. Un contributo allo studio sacrosanto, certo; di manica larga, ma sacrosanto. Occorre essere fannulloni oltre ogni limite per non laurearsi. Occorrerebbero più genitori che capendo la pigrizia del figlio lo indirizzassero ad essere lavoratore piuttosto che mantenuto.

Perché, dal punto di vista lavorativo, quando sono tutti laureati è come se non lo fosse nessuno. Il voto di laurea conta poco, le lodi ancor meno; soltanto i nomi delle università fanno da spartiacque: gli atenei statali non hanno prestigio, quelli privati e rinomati danno visibilità e quindi più possibilità di accesso all’inesplorato mondo del lavoro post-laurea.

In Italia non si boccia, né all’università, né ancor prima ai licei – con il degrado e l’ignoranza che nascono nella scuola pubblica e, prendendo la rincorsa, si abbattono poi contro gli atenei – o si boccia in attesa del prossimo, vincente tentativo. Come se lo studente che ammette la propria incapacità e sceglie di andare dignitosamente a tentare di trovarsi un lavoro fosse motivo di vergogna. Nessuna cultura del sacrificio, nessun timore di non farcela, perché tanto ce la fanno tutti; e i professori ne sono l’esempio.

Accanto ad insegnanti memorabili, a grandi uomini, di cultura e di scienza ancor prima che professori, sopravvivono e proliferano mediocri millantatori, pseudo intellettuali. È la potente casta dei “poltronisti”, di professori di comunicazione che non sanno cosa sia il garante delle comunicazioni, di filosofi di provincia che confondono con disinvoltura i classici greci, di insegnanti di lingua che balbettano sotto le richieste di un turista, di professori per cui la letteratura esiste solo tra Trento e la Sicilia, nessun Kafka, Sartre, Hemingway, Neruda, Pessoa. A nulla contano i questionari di valutazione dell’insegnamento, o il fatto che a causa di doppi e tripli incarichi questi professori non siano mai disponibili, tanto al posto loro ci sono assistenti/servi quarantenni.

Per insegnanti così le nostre università rappresentano l’habitat ideale, capitati non si sa come con i gomiti appoggiati su cattedre che non meritano; strategicamente piazzati da presidi, presidenti e rettori che all’università hanno messo le radici come rampicanti, ma sarebbe meglio dire “arrampicatori”. Gli smaliziati studenti di oggi, quelli capaci di copiare dal videofonino o di conoscere in anticipo i temi della maturità, a fiuto distinguono gli insegnanti competenti dai loro colleghi conoscitori soltanto dei testi che hanno pubblicato – perché il programma verte unicamente sulle loro pubblicazioni, con evidenti riscontri economici ed editoriali per le loro tasche – e sanno bene per quale esame occorre studiare e per quale invece basterà una lettura e qualche appunto. E avanti così, tra scorciatoie e trucchetti, la gran parte degli studenti come la gran parte dei loro insegnanti.

(È lo sfogo di uno studente, la testimonianza indignata del malumore crescente. Tutto ciò già si sa, ma che non si riesce a cambiare)

Fabio ManentiFabio Manenti, siciliano di Ragusa. Dottore in Lettere e studente di giornalismo e cultura editoriale presso l'Università di Parma.
 

Commenti

  1. flo

    Grazie fabio per questo articolo.. che dire, solo che ha dato voce a quello che viviamo tutti i giorni nelle nostre università. Purtroppo non tutti quando si iscrivono all’università hanno la consapevolezza del mondo in cui stanno per entrare, ma una volta dentro si tende ad adeguarsi al sistema (di questi “arrampicatori”)!! Per me è difficile, difficilissimo sopravvivere a questo.. sento che sto facendo degli sforzi che non mi daranno che incompetenza e non mi prepareranno assolutamente al mondo del lavoro e al mondo in genere… non so qual’è la cosa giusta io avrei molte idee sul (come migliorare almeno nel mio ambito) il mio corso di studi, ma parlare con i presidi e presidenti di facoltà è come parlare ad un muro!! Credo che in tutto ciò però bisogna tenere duro e cercare di lottare il più possibile contro questi sistemi dall’interno, soprattutto contro quei meccanismi che ci allontanano da quell’utopica meritocrazia, unica speranza di salvezza!!

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