“Si diventa vecchi quando si accettano le cose senza ribellarsi”, amarezza di Dorfles nell’Italia addormentata dalle sciocchezze Tv
Ci salverà la bellezza? Ci salverà la cultura? Ma chi glielo va a dire agli operai in sciopero all’Asinara…
24-05-2010
di
Margherita Smeraldi
Ho l’innamoramento facile e in questo momento, domani chissà, sono innamorata di Piero Dorfles dopo aver scoperto casualmente di avere in comune un nonno, il mio, ingegnere navale, un padre, il suo, ingegnere navale nella stessa città Trieste e ci siamo sentiti subito Stevenson. Faro compreso. Non si nasce per caso a Trieste la città più intellettualmente inquieta d’Italia (qui visse insegnando inglese James Joyce e nella città tutto si chiama come lui dai caffè alle locande dimenticando quasi il suo figlio legittimo Italo Svevo) se da lì sono partiti oltre a zio Gillo, Leo Castelli il più grande gallerista del mondo e Leonor Fini e Bobi Bazlen e Giorgio Strelher e naturalmente l’allora ventiquattrenne Piero Dorfles, mentre Claudio Magris è rimasto testardemente attaccato ai tavolini del caffè San Marco.
Piero Dorfles è noto e non occorrerebbe nemmeno ricordarlo per l’unico programma di vera cultura della Rai “Per un pugno di libri” con un pubblico giovane e pulito e colto ben lontano dalla gioventù fasulla di certi programmi che non vogliamo nemmeno nominare e proprio per questo a rischio perenne di chiusura. Abbiamo letto con attenzione il suo ultimo libro: “Il ritorno del dinosauro” (Garzanti) in cui Dorfles sembra vigilare con il suo sguardo un po’ crudele e un po’ maligno e un po’ compassionevole il mondo che lo circonda e che ci circonda che è la televisione orrmai parte integrante della nostra vita e, senza che noi ce ne accorgessimo, ci ha fatto divenare non solo supini teleutenti, ma poveri disgraziati da plagiare bombardati da una pubblicità che ci ordina: compra e consuma.
E ci svela una cosa anche questa supinamente accettata da noi “disgraziati”: non importa nei programmi televisivi né quello che si dice né che a dirlo sia una persona speciale (l’intellettuale onesto annoia) l’importante è che la gente lo riconosca subito: per questo vediamo “opinionisti” correre da uno studio televisivo all’altro dicendo tutte le banalità che la gente vuol sentirsi dire e vediamo psichiatri che invece di essere in ospedale sono costantemente in tv e docenti universitari sparare cazzate per non parlare del male al cuore di vedere Marco Pannella da Barbara D’Urso a spiegare perché è bisessuale. Quando mai avranno il tempo di leggere un libro questi personaggi? Ah saperlo.
Dice tante cose il nostro autore: ci avverte che si diventa definitivamente vecchi quando si accettano supinamente le cose senza ribellarsi e ci illumina su un concetto che nessun critco letterario ci aveva mai detto: se agli inizi del Novecento Joyce e Kafka non avessero scritto qualcosa che andava completamente fuori dagli schemi del romanzo ottocentesco, il romanzo sarebbe definitivamente morto e se Pasolini non avesse girato Uccellacci e uccellini il nostro cinema non avrebbe mai saputo che c’era qualcosa di diverso oltre alla commedia all’italiana.
La tesi di questo libro che elogia la modernità del cellulare e del computer (il povero Dino Campana oggi non avrebbe dovuto riscrivere a mano i Canti orfici…) è che la crisi non è politica (ma dai… Piero) ma culturale. Ci fa notare che i tg vengono confezionati in modo da colpire il lato emotivo dell’utente “basta una chiassosa effervescenza, la sostanza è secondaria” ci dice citando De Mauro oppure chiedendo un parere a un “esperto” e subito dopo il parere opposto così da non prendere alcuna posizione. Crudele anche il giudizio sui direttori dei tg e dei giornali: prima pensano a che cosa diranno i membri più influenti del governo poi i capitani di industria poi gli editori. E il pubblico? Non conta nulla.
Insomma, dice Raffaele la Capria: ci salverà la bellezza; ci salverà la cultura, gli risponde Dorfles: ma chi glielo va a dire agli operai all’Asinara?
Margherita Smeraldi, veneziana, famiglia sefardita originaria di Salonicco, il nonno è stato il più importante presidente dei cantieri di Trieste e Monfalcone e il bisnonno materno il fondatore e proprietario de "Il Gazzettino". Ha lavorato per molti anni in un'agenzia giornalistica romana per approdare, felice, tra le braccia intelligenti di Domani/Arcoiris