Quel male ha fermato Hugo Chavez a Cuba: operato e rioperato annuncia in Tv di avere un cancro, ma fa anche sapere che non si rassegnerà: continuerà la sua lotta per “irrobustire la democrazia socialista in Venezuela”. Si è curato all’ si è curato all’Avana ed è tornato. Magro come dieci anni fa quando ha preso il potere. Passo svento da parà, ma i dubbi restano: sarà in grado di affrontare l’elezione presidenziale del 2012?
La camera dell’ospedale cubano dove Fidel aveva sussurrato per primo all’amico la brutta notizia, é il palcoscenico sul quale è andato in scena forse il tramonto di un’America Latina che ormai non c’è più. L’eterno convalescente e il nuovo malato; un ex presidente a vita costretto a disertare le ribalte e l’erede di un utopia sgualcita dal mondo che cambia. Chavez ha ascoltatp la sentenza immaginando quale futuro diverso si prepara per le sue ambizioni. Le malattie degli uomini forti restano avvolte in un mistero che resiste fin quando si può. Adesso tutti sanno e le cancellerie disegnano scenari dove la presenza dell’uomo che prova a disegnare il socialismo del XXI secolo affievolisce in un futuro incerto.
Quattro le ipotesi, solo ipotesi.
L’opposizione unita (per modo dire) riceve l’annuncio del suo camcro come un regalo. Aveva poche speranze di dare una spallata a Chavez nelle elezioni 2012 ed ecco che le speranze rifioriscono. Possono farcela a patto di restare uniti nel blocco colabrodo di chi vuol cambiare presidente. Ed è un problema. Perché, se torcendo il naso i leader dei partitini d’opposizione avevano accettato l’apparenza di un’armonia che non esisteva, adesso che il sogno sembra tornare a portata di mano ogni capataz immagina di farcela da solo. Si riannodano amicizie “americane” non sempre trasparenti. Ricominciano le trame più o meno segrete per ammucchiare consensi attorno alla propria ambizione. Rubacchiando di qua e di la, tutti contro tutti.
La seconda probabilità riguarda il blocco fedele al presidente ammalato. È in grado di applicare la dottrina Chavez senza Chavez? Ma i Chavez in politica sono ormai due. Il protagonista maximo e Adam, fratello con due anni meno (58), governatore di Barina lo stato federale dove abita ed è cresciuta la famiglia Chavez. E’ il fisico che è stato ministro dell’educazione, soprattutto ha passato anni e anni da ambasciatore a Cuba. Dove ha consolidato la dottrina del non mediare con opposizioni e mercati internazionali. Ma tirare diritto con l’esempio dei fratelli Castro: Fidel si ammala, Raul ne prende il posto. Nel caso, toccherebbe a lui. Non ha mai nascosto quel radicalismo che Hugo avvolge nei vapori delle diplomazie. Nell’annunciare la malattia del fratello ha ribadito di non volersi rassegnare alle meline elettorali: “Se la realtà lo richiede, anche la lotta armata non può essere trascurata nella difesa delle conquiste popolari della democrazia”. Ma adesso il presidente è tornato. Le voci spariscono, ricominciamo a sentire la sua.
Terzo scenario. Chavez é tornato più o meno guarito con i vantaggi che la terribile malattia può procurare. Gli avversari, i loro giornali e le loro Tv non possono rischiare l’insulto quotidiano degli ultimi anni: “Chavez mostro delle nevi”, “Chavez, amico dei terroristi”, eccetera. Boomerang ormai pericolosi. Gli elettori non capirebbero e la sconfitta ridiventa reale. Il Chavez convalescente che va in campagna elettorale può giocare con umiltà inconsueta la carta della solidarietà di elettori non amici ma neanche non così sprovveduti da calpestare un presidente che soffre. E il trionfo si riavvicina. Può rinvigorire simpatie ormai abbassate al 41 per cento e riguadagnare consensi se non roboanti come in passato, ma concreti e rispettosi.
La quarta ipotesi riguarda i militari: cosa faranno se la salute del presidente traballa? Chi oggi brontola pretenderà la candidatura di un leader della così detta “borghesia bolivariana”, ex vice presidente Diodado Cabello oggi responsabile delle finanze. Non solo lontani dalle posizioni di Adam Chavez, ma fanno già sapere che il Venezuela non può essere una repubblica ereditaria.
Il grande malato aveva lasciato il Venezuela un mese fa: viaggi in Ecuador e nella Brasilia di Dilma Rousseff. Cuba, ultimo scalo prima del ritorno. Che doveva essere trionfale: bilancio di una cooperazione economica e politica rappresentata con l’ottimismo roboante di chi ha bisogno di rinvigorire l’entusiasmo attorno al governo che non attraversa giorni felici. Galleggia sul petrolio dai prezzi alle stelle, eppure rema in coda al miracolo dell’America Latina il cui prodotto lordo cresce il 6 per cento l’anno mentre il segno negativo accompagna Caracas: -1,6. Se i capitali stranieri accorrono in Brasile, Peru, Cile e Colombia, la fuga dal Venezuela continua da 30 anni. Chavez non è riuscito a frenare la diffidenza verso un paese da sempre lontano dalla razionalità dei mercati. Usulan Petri, intellettuale critico che invocava almeno un sistema fiscale degno di questo nome nel paese dove le immense proprietà sfuggono er tradizione alle casse dello stato; Petri non nascondeva la delusione per “la speranza perduta”. La corruzione ha solo cambiato colore e il disordine non si è arreso. Inflazione doppia rispetto al resto del continente e i 700 miliardi di dollari incassati negli ultimi anni, dispersi in sussidi che hanno tamponato ma non risolto povertà e disuguaglianze. Bisogna dire che anche il calendario dell’opposizione non è adeguato. “Eredi degli uomini forti tra un nuovo fascismo e l’arroganza di un liberismo affidato alla tutela degli Stati Uniti”, amarezza di Teodoro Petkoff, direttore del quotidiano TalCual, socialista democratico con un passato da guerrigliero e ministro del cristiano sociale Caldera. Per Maria Corina Machado, candidata alla presidenza dal centro destra nelle elezioni 2012, Chavez ha fatto bene a tornare nel suo palazzo presidenziale. “Non poteva governare dall’Avana. Non poteva annullare il primo convegno dei paesi latino americani e dei Carabi: comincia il 5 luglio all’isola di Margherita. Chavez almeno un salto lo farà.. Auguri di guarigione, ma il paese non sopporta l’isolamento internazionale”. Maria Corina è qualcosa di più di una bella signora che fa politica. Grande famiglia con interessi in multinazionali delle quali ha fatto parte anche Pedro Carmona, presidente degli imprenditori alla guida del golpe che nel 2002 rovescia Chavez per 36 ore. Bush l’aveva accolta alla Casa Bianca, mano nella mano. Lei turista quasi per caso, sandali e minigonna imbarazzante. Diventa portavoce della Fondazione Nazionale per la Democrazia, agenzia Usa che nutre le finanze dei gruppi di “buona volontà” nei paesi con qualche problema. Insomma, Cia.
Il Brasile guarda e tace nel timore che un eventuale vuoto lasciato da Chavez possa disarticolare l’equilibrio regionale con gli eredi di Lula mediatori tra i paesi della sinistra radicale e i paesi (costa Pacifica) allineati alle strategie della signora Clinton piuttosto che alle aperture di Obama. Fino all’altro giorno Aall’Avana si respirava aria da funerale. Senza l’amicizia solida di un presidente che vive nel mito di Fidel Castro, investimenti e programmi comuni dove andranno a finire? So spiro di sollievo davanti alle immagini che mostrano “la sua buona salute” mentre a Caracasscende dall’aereo. Washington un po’ in subbuglio. Il Congresso sta per votare “misure di ritorsione” contro il Venezuela per i trattati d’amicizia e cooperazione con l’Iran. Protesta declamata ma senza provvedimenti immediati. Perfino i repubblicani invitano alla cautela. Nessun vuol fermare i viaggi dei 190 mila barili al giorno di petrolio dei quali gli Usa hanno da sempre bisogno. E come si fa, a tagliare le gambe alle grandi aziende americane in affari in Venezuela? Tutto rinviato nell’attesa di sapere come e quando sarà completamente guarito. Roberto Giusti, columnist del L’Universal, giornale guida dell’opposizione al veleno, appartiene alla famiglia che prima di Chavez governava la Pdvsa, petroliera nazionale: “Abbiamo attraversato una grande ombra, adesso tutto sembra meno relativo. Fra qualche mese sapremo come andrà a finire”. Cinismo che non disarma davanti al dramma del protagonista odiato.