Chissà perché non avvalersi di organi preposti, come le forze di polizia. È una domanda che si incontra spesso chiacchierando con gli investigatori privati. E la risposta che altrettanto spesso arriva è quasi sempre la stessa, riassumibile in una parola: discrezionalità. Discreto Ferruccio, detective di lungo corso con sede a Firenze, lo è sempre stato. Non ha un sito Internet e, massima concessione alla tecnologia che si fa per le comunicazioni formali, è un indirizzo di posta elettronica di quelli che se ne trovano a migliaia, con il “pezzo” che viene dopo la “chiocciola” di un qualunque provider nazionale.
Lavorando, fin dall’inizio, però Ferruccio della tecnologia ha fatto pieno uso. Da lui sono passati, nel corso dei decenni, sbirri, qualche barba finta ma soprattutto badilate di colleghi per sapere quali fossero gli ultimi ritrovati per registrare in modo discreto. Così, a metà degli anni Ottanta – ricorda Ferruccio – ecco che gli si presenta un americano. Uno dei tanti che popolano la città di Lorenzo il Magnifico, attratti da una “fama che è più nella loro testa che reale”, dice lo stesso investigatore.
I fatti si sono svolti in questo modo. Ecco che arriva il cliente in questione. Fa il consulente per un’azienda che progetta valvole petrolifere. Lo fa da casa e poi viaggia tanto per andare a discutere disegni, aggiustamenti, passaggi in produzione. E che c’entra Ferruccio? Inizia a c’entrare quando l’americano si convince che un concorrente gli ha rubato un progetto.
Dopo una riunione di lavoro dall’altra parte del Mediterraneo, quella che oggi brucia di fremiti di rinnovamento ma anche di repressioni, quella dove si fanno gli affari migliori per quanto riguarda l’oro nero. In poche parole, l’americano doveva concludere un grosso contratto, ma alla firma si ritrova disarcionato da qualcuno a cui non viene dato un nome, ma che ha avuto la sua stessa idea, in fatto di sistemi di avvitamento.
Ferruccio non riesce a essere più tecnico in fatto di valvole e neanche fa nulla per nascondere che di questo argomento gli frega alcunché. Però deve capire se è vero che l’americano è stato scippato del suo progetto oppure se, per una coincidenza micidiale (affaristicamente parlando, s’intende), ha avuto la stessa idea di un concorrente meno esoso, quando si tratta di staccare parcelle.
“Il punto da cui partivo”, racconta Ferruccio, “era un incontro che l’americano aveva avuto all’aeroporto di Fiumicino in attesa di partire per non ricordo più dove. Fatto sta che incrocia in sala d’aspetto un tizio che aveva già visto a un convegno di settore. I due si mettono a parlare, il volo Pan Am continua a rimorchiare un ritardo via via crescente e la coppia di colleghi si trasferisce nel bar dello scalo dove ci dà un po’ dentro con i biccherini. Fatto sta che galeotta fu un’urgenza fisiologica”.
“Mi guarda lei la borsa?” chiede l’americano al tizio incrociato. Il quale, ovviamente, si premura di accontarlo, non perderà d’occhio la valigetta. E fin qua non succede nient’altro. Non troppo tempo dopo i passeggeri del volo vengono chiamati e arrivederci, grazie e alla prossima.
Ferruccio parte dall’identità di questo personaggio e seguendo le sue mosse risale a un incontro con un intermediario siciliano, di Messina. Il sospetto che, mentre l’americano rispondeva alla natura nella toilette dell’aeroporto, in qualche modo il suo interlocutore abbia copiato i progetti custoditi nella borsa e poi se li sia rivenduto. I problemi per capire se fosse vero erano molteplici: l’aveva fatto davvero? Come? A chi aveva venduto?
Scartabella un po’ sulle conoscenze dell’intermediario siciliano e Ferruccio scopre che i due hanno una conoscenza in comune: un giornalista milanese che collabora con riviste di settore. Allora gli fa squillare il telefono e gli propone a sua volta un ingaggio: deve fingere un’intervista, metterlo a suo agio e poi fargli cantare tutto il cantabile. Il giornalista accetta di buon grado, visto che si intascherà un milione di lire dell’epoca tondo tondo, con cui vedersi ricompensato il suo disturbo e la spesa della cena a cui deve invitare l’intermediario. Che, vistosi proporre il rendez vous con la stampa specialistica, accetta di buon grado l’incontro.
Prima di partire, il giornalista si fa corazzare con un microfono di quelli che ai tempi, quasi trent’anni fa, si vendevano solo negli States: un sistema di registrazione miniaturizzato che indice un micronastro e che ha due ore d’autonomia. “Roba da film”, ridacchia Ferruccio. E vai a sapere se è proprio vero che quell’aggeggino ce l’avevano in pochi, ai tempi. La sera dell’incontro, fissato in un esclusivo ristorante tipico di Messina, il detective rimane tutta la sera attaccato al telefono, in attesa di comunicazioni dalla Sicilia. Passano le ore e niente, nessuna nuova. Il che lo innervosisce, dato che non riesce a capire perché il giornalista non si fa sentire.
Il trillo del telefono arriverà solo all’una di notte. “C’è voluto un po’”, dice l’uomo-esca di Ferruccio, “all’inizio non voleva saperne di sbottonarsi sull’affarone appena concluso. Ma poi, al quarto bicchiere di rosso, s’è lasciato andare e ha iniziato a raccontare tutto. Ha parlato del tizio che il tuo cliente ha incontrato, di fotografie che gli ha mostrato e di progetti nuovi che sono arrivati nel giro di qualche giorno. Sì, si è venduto la roba del tuo americano”.
“Ma sei sicuro che il registratore ha fatto il suo dovere? Che c’è tutto inciso?”
“E che ne so? Mi hai dato il registratore, non le cuffie per ascoltare. E poi il mio lavoro l’ho fatto. Domani arrivo a Firenze, ti lascio il tuo nastro, tu lo ascolti e se c’è tutto mi paghi. Dopodiché ci si risente al prossimo servizio che ti serve”.
Così è andata. L’americano ha avuto la sua prova dello spionaggio industriale e della vendita clandestina del suo progetto. Ha contattato l’azienda acquirente riuscendo a dimostrare la non cristallinità dell’affare appena concluso e ha mandato all’aria la precedente transazione. Vuoi mai che ne seguisse qualche rogna legale.
“E tu, Ferruccio, quanto ci hai guadagnato da questo lavoro? Sai, parlando di petrolio, valvole e impianti, magari ti sei portato a casa un cachet interessante…”
“A te lo dico? No, no, sto zitto sulla cifra. Ma ti dico solo una cosa: quando ho consegnato il nastro, sono andato due settimane in vacanza di Costa Azzurra. Fino a quel momento non me l’ero mai potuto permettere”.
Giaime Garzia, politologo di formazione, è un giornalista e un critico letterario. Ha collaborato con varie testate nazionali.