Ho conosciuto Bridget, rappresentante del MOSP, Movimento per la Sopravvivenza del Popolo degli Ogoni, una delle quaranta etnie (quaranta lingue, tutte diversissime le une dalle altre) che vivono nel vasto territorio della Nigeria, Africa occidentale, se a qualcuno, come capita, sfuggisse quella geografia. Forse ci sfugge anche quanto martoriate siano quelle popolazioni e quella terra, dove da ormai molti anni operano le multinazionali del petrolio, e dove sembra stiano succedendo cose inaudite, in particolare sul delta del fiume Niger.
Se ne è parlato solo da quando un gruppo terroristico, il MEND (Movimento per l’Emancipazione del Delta del Niger) – ma per alcuni bisognerebbe parlare di guerriglieri, o addirittura partigiani – ha preso l’abitudine di sequestrare i lavoratori dell’Agip, assolutamente non per estorcere denaro, ma semplicemente per chiedere che vengano riconosciuti i diritti delle popolazioni a vivere nelle loro terre,dove invece è proprio diventato letteralmente impossibile vivere, poiché l’aria è irrespirabile e l’acqua e la terra sono fortemente inquinate dalle perdite di petrolio.
Bridget è stata invitata da un’associazione libera fondata da studenti universitari (si chiama CAOS, ma è anche questa una sigla, perché è piuttosto ben organizzata) con sede nella loro stessa facoltà di Scienze Politiche, a Firenze. Gli studenti si erano accuratamente preparati sull’argomento e lei ne è stata molto contenta, perché il suo racconto non era per niente lontano da quello che gli studenti avevano capito. Sembra infatti che l’informazione abbia dato spesso notizie distorte, anche quando le fonti non sono solo quelle ufficiali dei governi locali, che hanno tutto l’interesse a mantenere lo status quo, ma non certamente a vantaggio delle popolazioni. Certamente le voci del dissenso sono con evidenza perseguitate, anche ora che lo Stato federale, dopo una serie di terribili dittature, si dovrebbe basare sulla libertà e sul diritto… Ma tant’è, qualche problema lo abbiamo anche noi, figurarsi una giovane e fragile democrazia nata in un paese reduce da sfruttamenti coloniali, ed in cui le lotte tra etnie, incoraggiate da chi ha saputo far proprio il principio del “divide et impera”, hanno spesso “giustificato” la repressione violenta… Figurarsi se si mettono in discussione le multinazionali del petrolio, fonte di ricchezza solo per chi sa come farsi sfruttare nel modo più facile ed economico. Quale sarebbe questo modo? Per esempio non fare nulla per evitare i danni ambientali, come impiantare i tubi sotto terra anziché in superficie, o non riparando le falle delle condutture ormai logore, e far bruciare il petrolio (anziché trasformarlo in energia per l’elettrificazione che non c’è ancora, ma costerebbe) sulle acque acquitrinose del Niger, sprigionando così vapori funesti. Mentre l’acqua stessa del fiume è quella che la gente, sempre più povera, continua a bere, avvelenando un po’ alla volta sé e i propri figli. Ma il danno all’ambiente è tale che anche i prodotti della terra ne risentono perché il petrolio è ormai penetrato nel terreno raggiungendo i villaggi… Per non parlare del pesce, fonte di nutrimento fondamentale, gonfio di tutto il veleno assorbito. Così si muore ogni giorno sul Delta del Niger.
Bridget ha ricordato anche Ken Saro-Wiwa, fondatore del MOSP, scrittore nigeriano ucciso impiccato dal potere dittatoriale, sostenitore della lotta pacifica attraverso la parola e la discussione, e messo per sempre a tacere perché considerato troppo scomodo e pericoloso. Ma la Corte Suprema Americana ha sottoposto a processo la Shell che recentemente è stata condannata a pagare ai familiari 15 milioni di dollari perché ritenuta responsabile di quanto accaduto, curioso, no?
Bridget vive ormai da tempo in Italia,dove si è sposata, dopo aver perso, nelle repressioni violente, anche la madre. Sono morte migliaia di persone tra gli Ogoni, che erano circa un milione. Molti nigeriani sostengono la protesta pacifica, ma dopo la morte di Saro-Wiwa altri hanno pensato che bisognava trovare un’altra forma, più dura e convincente. Bridget, appartenendo al movimento non violento, non li difende ma ne comprende il senso, e precisa che comunque l’obiettivo è lo stesso ”Bill of Right” richiesto dal MOSP, ovvero l ‘autodeterminazione del popolo degli Ogoni e la fine della distruzione dell’ecosistema del Delta, causato dalle perdite di petrolio degli stabilimenti presenti nell’area. Paradossalmente, oltre ai sequestri dei dipendenti delle multinazionali (trattati comunque sempre molto bene, per loro stessa ammissione), quelli del MEND, hanno lo strano metodo di sabotare gli impianti, il che provoca la fuoriuscita di altro petrolio e produce così ulteriori danni. Bridget però afferma che l’informazione non riesce a sapere quanto questa notizia sia “controllata” dalla propaganda del governo e delle imprese che potrebbero “usare” la situazione. Il governo dell’attualmente malato presidente Yar ‘Adua sembra voler trattare ma i militari continuano ad avere molta autonomia e le rappresaglie nei confronti degli abitanti dei villaggi, accusati di sostenere la guerriglia – sono all’ordine del giorno.
Intanto le organizzazioni internazionali sembrano assurdamente non poter far nulla, e la denuncia della tragedia degli abitanti del Delta Niger sembra faticare ad affermarsi decisamente nel mondo dell’informazione e tra l’opinione pubblica del mondo industrializzato, dove la benzina e il gasolio sono indispensabili e guai a rompere un equilibrio… Anche se forse basterebbe far rispettare qualche legge o ricordarsi dei regolamenti del Protocollo di Kyoto.
L’Agip e l’Eni sono le aziende italiane direttamente coinvolte nella vicenda. Il Governo Italiano l’anno scorso ha offerto al governo nigeriano due unità navali per pattugliare il Delta del Niger. L’Italia del resto ha sempre venduto armi alla Nigeria e ad altri Stati africani dove infiammano le guerre civili tra Stati e guerriglieri, o dove si fomentano gli scontri tra etnie …Bridget dice che altrimenti non esisterebbero.
Ci meravigliamo che poi dall’Africa, più che mai dalla Nigeria, giungano da noi tante persone disperate? Se ci chiedessero asilo politico perché nel loro paese rischiano l’estinzione, non dovremmo forse sentire qualche piccola o grande responsabilità anche noi? E, soprattutto, con quale coraggio hanno potuto essere proposti, da alcuni nostri politici d’assalto, i cosiddetti “respingimenti”?
Giusy Frisina insegna filosofia in un liceo classico di Firenze