Uomini & Donne. Una delle modalità di relazione più antiche della terra nella storia dell’umanità. Ma anche, in modo quasi automatico e “pavloviano”, per molti telespettatori italiani, “la” trasmissione per antonomasia di Maria De Filippi, in onda su Canale 5 dall’ormai lontano 1996 per cinque giorni alla settimana. Il cui impressionante successo (testimoniato anche dal numero infinito di edizioni, e dalle imitazioni) è una manifestazione da antologia di quella che possiamo chiamare l’“egemonia sottoculturale”, ovvero il micidiale combinato disposto di gossip, tv trash per l’appunto, sport, divertimento, infotainment – la fusione di informazione ed entertainment, che induce a porsi molte domande sull’attendibilità delle news che ci vengono dispensate sotto forma di giornalismo “oggettivo” (basti pensare a cosa è diventato, per non fare che un esempio, l’ex ammiraglia dell’informazione pubblica, il Tg1 minzoliniano) –, consumismo privo di freni inibitori, mercificazione del corpo femminile (che al maschio italiano medio, Homo voyeur, piace tanto, e che anche il programma della De Filippi distribuisce a piene mani sotto forma di procaci “corteggiatrici”; non ci sono soltanto le veline…), e… politica. La composita e articolatissima strategia di egemonia sottoculturale, che risponde a interessi di potere e rappresenta una declinazione italiota (un po’ “brianzola” e un po’ “all’amatriciana”) della “rivoluzione conservatrice” e del radicalismo neocon impostosi negli anni Ottanta, si avvale, naturalmente, di strategie di mercato, e cioè segmenta il mercato, individua dei target, svolge una funzione commerciale indirizzata primariamente nei confronti di un certo pubblico e all’insegna di finalità specifiche. Ecco, allora, che questa sublimazione postmodernamente trash di un rituale etologico di accoppiamento si rivolge, come chiaro, innanzitutto alle tribù giovanili. In primis ai ragazzi e alle ragazze di quelle che, un tempo, si sarebbero chiamate le periferie, ma non solo, visto che il loro stile di vita ha finito per dilatarsi moltissimo al di là delle connotazioni sociologiche originarie
Già, perché l’Italia defilippesca non è più quella di Pasolini (i cui ragazzi di vita sono scomparsi), mentre, agevolati e sospinti fortemente dai programmi di “Maria”, avanzavano potenti i fenomeni di “tamarizzazione” e “coattizzazione” della nazione. Trasmissioni che, come evidente, svolgono un massiccio (e devastante) ruolo di orientamento dei giovani nella direzione dell’apparire come valore in sé e per sé e della bellezza fisica fondamento di qualsiasi relazione “umana” (o “subumana”…), sessuale come commerciale. Apparire per avere, dunque, parafrasando qualcuno (l’essere è una questione accessoria, non più considerata granché); l’apparire fine a se stesso che costituisce, giustappunto, uno dei pilastri dell’egemonia sottoculturale.
L’Italia tamarrizzata (con una notevole arrendevolezza e un certo autocompiacimento) di “Uomini e donne” ha un capostipite, primus inter pares della specie dei tronisti, il capobranco, l’antenato, l’Uomo di Cro-Magnon (a dire il vero, di San Martino Valle Caudina), il Costantino Vitagliano noto semplicemente come “Costantino”, cresciuto, guarda caso, anch’egli in una banlieue, sia pur milanese anziché romana (e oggetto di una “memorabile” biografia scritta da Alfonso Signorini). Lo potremmo considerare alla stregua del genius saeculi o dell’hegeliano Spirito del nostro tempo, in bicipiti e tatuaggi, assurto a fenomeno mediatico con l’impatto di una bomba nucleare, e protagonista nel 2004 di una liaison con una delle sue corteggiatrici, Alessandra Pierelli che costituisce un caso di scuola di messa in atto di sinergie mediatiche e “matrimoniali” (venne rilanciata da tutti gli spazi di gossip, e seguita costantemente, “in presa diretta” e con report settimanali, dal contenitore Buona domenica di Maurizio Costanzo, consorte della De Filippi). L’Uomo (anche se i confini delle identità sessuali risultano, in questi ambienti, molto scivolosi, e non certo nell’accezione transgender di bell hooks o di Rosi Braidotti) per eccellenza dell’ideologia gossipopolare calata sulle nostre teste, membro di una sorta di triade ideale che lo unisce al suo talent scout Lele Mora (a cui era aduso massaggiare i piedi in un’atmosfera da Basso impero alla quale il senso di decenza ci impedisce di affiancare aggettivi) e a Fabrizio Corona (a sua volta amante del Mora, come ha dichiarato alle telecamere), ovvero la coppia d’assalto dell’orrida pagina dell’affaire fotoricatti (e di molto altro). Gli “Uomini” di questa tremenda neoItalia, peggiore di una distopia o dei racconti più pessimistici di Stefano Benni. Dove, per trovare le “Donne”, non abbiamo che l’imbarazzo della scelta, da Daniela Santanché (aspirante Sarah Palin italiana, idolo dell’ultradestra) alle tante politiche berluschine che occupano seggi parlamentari oppure poltrone o strapuntini all’interno di qualche amministrazione locale di centrodestra. O tempora, o mores…
Massimiliano Panarari è nato a Reggio Emilia il 14/12/1971. Collaboratore del Gruppo L'Espresso, svolge attività libero-professionale di consulente di comunicazione pubblica e politica. Collaboratore presso la cattedra di Teorie e tecnica della comunicazione pubblica dell'università Iulm di Milano e docente Maspi. Consulente per la saggistica di Fazi editore; è stato responsabile della comunicazione e delle relazioni esterne di Ervet – Emilia-Romagna Valorizzazione Economica Territorio SpA (l'Agenzia di sviluppo territoriale emiliano-romagnola).