Masaniello è tornato? Alle orecchie dei napoletani, di quel 50% che è andato a votare, questo stereotipo risulta irritante. È stato eletto sindaco un outsider, un giovane ex magistrato che ha dimostrato di saper combattere e di non aver paura quando ha esercitato a sua delicata professione; per aver osato troppo è stato castigato, ha lasciato la magistratura, è entrato in politica con l’unico partito che gli ha dato una mano quando gli crollava addosso il suo progetto di vita in magistratura. È stato eletto deputato europeo ed ha lavorato né troppo in silenzio né facendo molto rumore. Da ragazzo studioso, si è formato su quegli scanni.
È napoletano ed è giovane, due qualità che legittimano la sua candidatura a sindaco di Napoli quando i grandi partiti sguazzavano negli inciuci e il PD metteva in scena le primarie più grottesche viste fino ad ora, in cui una manifestazione di democrazia dal basso si trasformava in una farsa di bassissima lega. L’audace candidatura sostenuta dell’Italia dei Valori ha disturbato il principale partito di opposizione che lo ha tenuto in non cale e ha tirato fuori un candidato poco o per niente noto nella città nella quale non aveva neanche la residenza. Anche al Sel di Vendola è mancato il coraggio di fare quanto aveva fatto altrove, e si è accodato alla sorda strategia del PD, perdendo una bella occasione.
Mentre i partiti facevano i loro giochetti, chiusi nelle loro sedi, la città era portata allo stremo non solo dai lunghi anni di governo del PD e dei suoi alleati ma soprattutto dalla pratica di commistione di interessi, di intrecci di alleanze spurie, dalla non volontà di affrontare a viso aperto gli antichi mali di questa città o dall’impossibilità di farlo. Per colmo di ironia, tutte le colpe ricadevano su noi cittadini, incapaci di badare alle nostre immondizie, privi di senso civico, pericolosamente inclini alla malavita, abusivisti congeniti. E adesso che i cittadini (una buona parte di essi), con l’arma democratica della scheda, hanno ragionato di testa loro, ecco che il commento è che abbiamo eletto un nuovo Masaniello (con il lugubre presagio della sua fine violenta), oppure un San Gennaro (con la spiacevole liquefazione del sangue), o addirittura “un guaglioncello che fa le battute come il Berlusconi di un tempo”, come ho sentito dire da un giornalista a “Prima Pagina”.
Insomma, in tempi di fine delle ideologie, quando la partitocrazia e i partiti stesso sono messi in crisi in tutto il mondo (sono già dieci anni e più che in America Latina le piazze hanno gridato “Que se vayan todos”), in tempi di indignazione e di accampamenti nelle piazze europee in protesta contro gli apparati di destra e sinistra incapaci di dare speranza ormai a più di due generazioni di giovani, l’elezione di De Magistris a Napoli – prima ancora che abbia mosso un dito- viene ridotta a “macchietta napoletana”.
Il perdente, l’industriale Gianni Lettieri, ha usato una frase che dovrebbe diventare l’imperativo categorico di chi da oggi ha la responsabilità di questa infelice città. Lettieri ha fatto gli auguri di buon lavoro al rivale usando parole educate e ha ricordato: “La città ha bisogno”. Questa città ha un bisogno urgente di prendere slancio, di attingere alle sue tante risorse, di ritrovare speranza ed entusiasmo per ridisegnare la sua quotidianità. A chi si interroga, con malizia, sul significato di una frase ripetuta spesso da De Magistris: “Abbiamo liberato Napoli”, vorrei spiegare che la città è stata liberata non dalla camorra o dalla sinistra, dal malaffare o dall’ignavia, ma dal groviglio in cui tutte le classi dirigenti, tutte le caste locali, regionali e nazionali l’hanno tenuta prigioniera.
La città -quella parte maggioritaria della città che ha continuato a votare a sinistra, approfittando dell’occasione offerta dall’outsider dell’Italia dei Valori- si è liberata dalla convinzione di non poter fare breccia nel muro di interessi privati che hanno mantenuto la città in una palude davvero mefitica che ha rischiato di inquinare perfino la salute dei cittadini, mentale e fisica. La città ha votato a sinistra dopo anni di una sinistra deviata e bugiarda. E ne sono orgogliosi. Con De Magistris si torna a sperare e a credere che partecipare si può.
Alessandra Riccio ha insegnato letterature spagnole e ispanoamericane all’Università degli Studi di Napoli –L’Orientale. E’ autrice di saggi di critica letteraria su autori come Cortázar, Victoria Ocampo, Carpentier, Lezama Lima, María Zambrano. Ha tradotto numerosi autori fra i quali Ernesto Guevara, Senel Paz, Lisandro Otero.E' stata corrispondente a Cuba per l'Unità dal 1989 al 1992. Collabora a numerosi giornali e riviste italiani e stranieri e dirige insieme a Gianni Minà la rivista “Latinoamerica”. E’ tra le fondatrici della Società Italiana delle Letterate.