La Lettera

Per ripulire la democrazia inquinata i ragazzi hanno bisogno di un giornale libero

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È abbastanza frequente che editori della carta stampata chiudano i loro giornali. Anche a me è capitato quando dirigevo “L’Avvenire d’Italia”, e oggi si annuncia una vera e propria epidemia a causa della decisione del governo di togliere i fondi all’editoria giornalistica. Ma che chiuda Domani di Arcoiris Tv, che è un giornale on line, è una notizia …

La Lettera

Domani chiude, addio

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L’ironia di Jacques Prévert, poeta del surrealismo, versi e canzoni nei bistrot di Parigi, accompagna la decadenza della casa reale: Luigi Primo, Luigi Secondo, Luigi Terzo… Luigi XVI al quale la rivoluzione taglia la testa: “Che dinastia è mai questa se i sovrani non sanno contare fino a 17”. Un po’ la storia di Domani: non riesce a contare fino …

Libri e arte » Teatro »

Teatro bene comune per il palcoscenico di dopodomani

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Teatro Municipal - Foto di Elton Melo

“Non si può bluffare se c’è una civiltà teatrale, ed il teatro è una grande forza civile, il teatro toglie la vigliaccheria del vivere, toglie la paura del diverso, dell’altro, dell’ignoto, della vita, della morte”. Parole di Leo …

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Il governo Berlusconi non è riuscito a cancellare l’articolo 18, ci riuscirà la ministra Fornero?

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Il governo Monti ha perso il primo round con Susanna Camusso che fa la guardia alla civiltà del lavoro, fondamento dell’Europa Unita. Sono 10 anni che è morto Marco Biagi, giuslavorista ucciso dalle Br. Si sentiva minacciato, chiedeva la scorta: lo Scajola allora ministro ha commentato la sua morte, “era un rompicoglioni”. Rinasce l’odio di quei giorni? Risponde Cesare Melloni, …

Società » Italia »

Il racconto dell’avvocatessa della Missione Terres des Hommes in visita all’isola-rifugio di chi scappa: abbandono e disperazione dei ragazzi messi sottochiave per difenderli dal "pericolo" degli adulti

Diario da Lampedusa. “Io, ragazzo tunisino, nell’inferno dei lager d’accoglienza”

07-04-2011

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Sbarco - Foto di Smeerch

Lampedusa – Report dei primi giorni d’aprile quando nell’isola pare vi fossero  oltre 3.000 migranti, di cui 350 minori e tra questi almeno 200 non identificati; 150 minori risultano poi dispersi ovvero non presenti all’appello; 120 si trovano nell’ex base militare Loran, circondata da filo spinato e da carabinieri decisamente poco amichevoli. Rispetto alla visita sull’isola da noi effettuata due settimane fa, i minori hanno un letto, composto da una rete e da un materasso sporco in gomma piuma. I letti sono attaccati gli uni agli altri senza spazio in mezzo. I bagni sono esterni. Cinque moduli composti ciascuno da tre wc e una doccia.

Non ci è possibile parlare da soli con i ragazzi, siamo seguiti e sorvegliati a vista da carabinieri e personale dell’ente gestore, la Lampedusa Accoglienza, che non ci lascia mai. Ci riferiscono che ci sono adulti nella base: 6 donne somale ed 1 adulto nigeriano. E che prima erano presenti anche diversi bambini in tenera età poi portati via. Chiediamo dove, alzano le spalle e dicono che non sanno rispondere.

Intanto, mentre noi effetuiamo la visita ufficiale del Centro i ragazzi parlano con Karim il nostro interprete e si lamentano: hanno freddo, hanno addosso sempre gli stessi vestiti che gli hanno dato i lamedusani o la caritas appena sbarcati e li hanno addosso anche da venti giorni. Non mangiano adeguatamente: il cibo è immangiabile: sempre pasta al sugo da quando sono  arrivati sull’isola (alcuni anche dal 13 marzo) due volte al giorno, fredda e semi cruda. A volte la rifiutano a volte la vomitano subito. Si lamentano anche della sporcizia. Hanno poche docce e l’acqua calda si esaurisce subito. E poi non riescono a chiamare casa: è stata consegnata loro solo una scheda di cinque euro ed finita subito.

Ma la cosa che li tormenta di più e non sapere cosa sarà di loro: nessuno gli dice nulla.L’unica parola che viene ripetuta loro all’infinito è: “aspetta”. Ma non sanno cosa aspettare: dove li porteranno; in Tunisia, in Sicilia o nell’altra Italia? Alcuni di loro dicono di avere parenti in Francia o in Italia. Hanno tutti storie uniche e simili: un viaggio di paura e speranza, stipati in barche lunghe pochi metri (nove metri per 74 persone ci dice un ragazzo), con il coltello in tasca o la bomboletta al peperoncino per difendersi dai più grandi, perch quando il mare crea problemi e bisogna alleggerire il carico, loro, che sono i più piccoli son quelli che rischiano di più.

Alcuni sono orfani. Alcuni bimbi sono davvero piccini, avranno dieci o undici anni. Non riesco a non abbracciarne uno che mi siede accanto. Si chiama Khalil e ha dieci anni. E’ bellisimo. Gli chiedo dove sono i suoi genitori , se sono vivi, se sono partiti con lui. Lui mi dice che sono vivi ma sono in Tunisia. Gli altri lo prendono crudelmente in giro: dicono che i genitori si sono voluti liberare di lui. Si offende, gli si velano gli occhi neri di lacrime e scappa via.
Tutti hanno dovuto lavorare per guadarsi il viaggio: le tariffe variano da 500 a 1100 euro. Chi conduce la barca paga un po’ meno o viaggia gratis. Chissà chi ha pagato il viaggio di Khalil.

Hanno paura, sono stanchi e confusi. Alcuni si toccono la testa e dicono che stanno perdendo la ragione. Passano le giornate a far niente. Dormono e appena le guardie si distraggono scappano dal centro scavalcando un’alta rete. perché l’assurdo è questo: gli è vietato uscire dal centro ma possono scappare rischiando di rompersi ossa o ferirsi nella grata. Nessuno li rincorre e nessuno gli vieta di scappare. Fanno tutti finta di non vederli.

E così vagano sull’isola per ingannare il tempo, per cercare del cibo commestibile distribuito dall’accoglienza (quella vera) dei singoli lampedusani e del prete. Oppure tentano di telefonare a casa. E poi vanno al porto per vedere se arrivano le navi che dovrebbero portarli via da questa prigione a cielo aperto. E se sentono notizie di possibili partenze si mescolano agli adulti, si fingono più grandi per poter imbarcarsi con loro. Poi proviamo a visitare la casa della fraternità: un edificio della curia normalmente utilizzato per convegni oggi adibito a dormitorio. Qui ci dormano duecento persone: molti bambini, ma anche adulti. E’impossibile avere notizie certe sui numeri. Chiediamo ai carabinieri di entrare in visita, abbiamo l’autorizzazione del prefetto ma solo per ntrare nella base Loran: Il carabiniere inflessiile ci nega l’accesso. Gli chiediamo alcuni dati: quanti sono i minori, di quale nazionalità, se ci sono richienti asilo. Non sa rispondere a nulla. Solo quando gli parliamo dei sopravvisuti all’ultimo naufragio in cui è sono morte undici persone ed un neonato ci dice che di queste notizie non ci sono prove (anche se sono confermate dalla capitaneria e sono state pubblicate su tutti i giornali) perché secondo lui spesso gli stranieri mentono per suscitare pietà.

Andiamo via.  Proveremo ad entrare il giorno dopo.

Lampedusa 2 Aprile 2011

Nella casa della fraternità ci sono circa duecento persone tra adulti e bimbi. Ci fanno vedere delle specie di tende costruite con cartoni e plastica. Hanno dormito lì dentro stanotte i minori perché hanno paura dei “grandi”: Molti di loro di notte vengono rapinati di tutto il niente che hanno: pochi spiccioli, i più fortunati un cellulare e una scheda telefonica. Hanno freddo. Di notte l’isola è fredda e l’umidità di bagna i vestiti. Ma non hanno scelta. Per questo i bimbi non dovrebbero mai dormire in condizioni di promiscuità con gli adulti, per tutelarni l’incolumità. Ma anche questa legge di buon senso ancor prima che giuridica viene disapplicata a Lampedusa.

Ci parliamo attraverso le grate perché la polizia non ci fa entrare e non li lascia uscire. Possono, così come gli altri minori rinchiusi nell’ex base militare Loran, solo scappare scavalcando una grata a loro rischio e pericolo, mentre gli agenti fingono di non vederli. Hanno sonno, paura e freddo. E, come tutti i migranti sull’isola ci chiedono cosa ne sarà di loro. Lascia sgomenti il fatto che sembra che nessuno abbia infomato i migranti, neppure i minori dei loro diritti e delle procedure legali che li riguardano. Neanche loro sono stati identificati ed è difficile pensare che uno Stato si prenda cura di bambini invisibili.
Hanno anche fame perché sono le 11.30 del mattino ed ancora nessuno è passato a distribuire la colazione ovvero un po’ di latte freddo ed una merendina. E poi sono sporchi. Ci sono pochi servizi e solo acqua fredda per lavarsi. Uno di loro è magrissimo, sgrana gli occhi e quando tento di fare delle foto ai loro giacigli mi avverte con gli occhi che gli agenti si stanno avvicinando. Siamo già complici.

Li salutiamo, senza promesse e con poche speranze.

Andiamo al Molo commerciale dove vivono e dormono centinaia di tunisini in attesa della nave che dovrebbe portarli via da ques’isola bellissima e odiosa. Vediamo del fumo nero. Qualcuno per protesta ha incendiato una roulotte. Gli altri ragazzi lo fermano subito e lo consegnano alla polizia. Sono stanchi e nervosi Sono settimane ormai che aspettano al freddo questa nave che non parte mai. Ci fanno vedere le tessere che ha dato loro la Lampedusa Accoglienza, l’ente gestore dell’ex Cie (centro identificazione ed espulsione) che ha il compito di gestire l’emergenza sbarchi ovvero di  distribuire qualche coperte, cibo immangiabile e un po’ d’acqua alle migliaia di migranti sbarcati sull’sola. Il tutto alla modica cifra di 33 euro a migrante al giorno. Un appalto milionario. Nelle tessere viene indicata la data dello sbarco, i pasti di cui ha usufruito ed il nome dello straniero (senza che venga fatta nessuna vera identificazione).

Alcuni dei migranti sono qui da venti giorni. Sono esasperati dall’attesa e stremati dal freddo, dalla fame e dal sonno e dalla sporcizia. Dormono all’aperto. Hanno gli stessi vestiti addosso da quando sono arrivati. Ci sono pochissimi servizi igienici, ormai inagibili. E l’odore sulla “collina della vergogna” appena sopra il molo è quello di una latrina a cielo aperto. Lampedusa Accoglienza, penso tra me… Sono settimane che aspettano di conoscere il loro destino e le loro destinazioni. Hanno paura di tornare in Tunisia perché, ci dicono, “lì problemi, lì gran casino”. E tra me  e me penso: non è che qua… E poi in Tunisia vige il reato di emigrazione clandestina e loro sanno che se dovessero essere rimpatriati oltre il peso di una sconfitta rischierebbero anche mesi di carcere. Vorrrebbero andare in Francia ma si accontenterebbero di andare via da quest’isola. Ripetono come in un’escalation di desideri: Sicilia, Italia, Francia.

Ma il mare è ancora un po’ agitato e soprattutto c’è troppo vento e il porto è troppo piccolo. Troppo rischioso tentare di fare entrare la nave. Dovranno aspettare ancora. Provo a spiegarglielo. Mi rispondono: “vedessi com’era la barchetta che ci ha portato qui e com’erano alte le onde. Le vostre navi sono enormi e potenti e avete paura di un po’ di vento. Se ce le ridate le nostre barche ce ne andiamo via da soli”. Già, fosse così facile. Vaglielo a spiegare che ormai sono impigliati nelle nostre leggi illogiche e razziste e nell’a nostra politica scellerata, amministrata da ministri incompetenti e xenofobi che gestiscono un’urgenza umanitaria a colpi di “föra da i ball…”.

E poi le loro barche non sono più utilizabili. Sono state tutte ammassate in un piazzale che dovrebbe ospitare le giostre per i bimbi. I serbatoi ancora pieni di gasolio sversano liquidi ovunque: Il naso e le scarpe restano impregnate della puzza di benzina. Potrebbe bastare una scintilla per incendiare tutto. Per questo qualche giorno l’esercito presidia  il piazzale ormai soprannominato il cimitero delle barche. Brutta fine per un Luna Park. Sul molo torna una calma precaria. I ragazzi si rassegnano ad aspettare ancora. Alcuni hanno organizzato uno sciopero della fame. Digiunare è facile vista la qualità del cibo. Fa schifo, ci ripetono, e poi ci fa dormire. Le strade dell’isola sono ricoperte di maccheroni al sugo buttatti a terra Non fanno gli schizzinosi, hanno molta fame, ma quel cibo è così vecchio che puzza. I migranti si lamentano e porgono i piatti agli agenti.

Ed è un poliziotto che dopo aver annusato un piatto invita tutti a buttare via il cibo e non mangiarlo. Teme si possano avvelenare. E così si cammina sui maccheroni. Nonostante la loro esasperazione i migranti sono con noi educatissimi. Ogni vola che incrociano i nostri sguardi salutano. Io vengo sempre fatta passare avanti e un po’ protetta perché donna. Per qualsiasi cosa ci ringraziano e ci chiedono di ringraziare i Lampedusani. Sanno distenguere tra il nostro governo e il nostro popolo. Conoscono bene e ripetono una parola di italiano: “animali”, chiedo perché, mi rispondono che è il nome che gli affibiano gli agenti quando li mettono in fila.

Ci chiedono come funzionano le leggi italiane. Se hanno diritto ad un permesso di soggiorno o se finiranno rinchiusi da qualche parte. Se portanno raggiungere i loro parenti in Italia o in Francia. Impossibile rispondere con certezza: le nostre abnorni leggi in materia di immigrazione contrastano con direttive europee e convenzioni internazionali e non è dato sapere che via sceglierà il nostro confuso governo se la tollernaza zero o l’accoglienza legale o la strategia tutta italiana della testa nella sabbia: spostare i migranti fuori dall’isola, far finta di rinchiuderli e lasciarli evadere e vagare senza diritti e senza permesso ovunque vogliano, pronti a fare gli schiavi in nero nelle nostre campagne e fare ingrassare il piccolo o grande mafioso locale.

Nel pomeriggio entriamo di nuovo all’ex base Loran a trovare i minori non accompagnati. Questa  nostra seconda visita spiazza i gestori del Centro. In fretta e furia tentano di dare una ripulita. Alcuni ci intrattengono mentre altri armano i ragazzini di mazze e palette e li fanno ripulire. Ma lo sporco resta ben visibile ed odorabile. I ragazzini sono contenti di rivederci e si raccolgono subito intorno a noi. Parlano con l’interprete. Ci chiedono anche loro delle nostre leggi. Voglio sapere   se verranno di nuovo rinchiusi, hanno paura che saranno  gli ultimi a lasciare l’isola anche perché non sono stati identificati. Li rassicuriamo: se è per questo neanche la maggior parte degli adulti è stata sottoposta ad esami fotodattiloscopici.

Tutti fantasmi. Eppure i fantasmi bambini avrebbero dovuto essere i primi a lasciare e l’isola e essere portati in un luogo “protetto” e non gli ultimi. Ci chiedono, in base alle nostre leggi, che sorte seguiranno i minori, se verranno collocati in altri centri con polizia e filo spinato o in case di accoglienza o famiglie. I più grandi sono anche anche preoccupati di sapere cosa accadrà loro quando  compiranno diciotto anni. Vogliono sapere se verranno espulsi e come verrà stabilita la loro età. Hanno sentito dire che potrebbero essere sottoposti alla radiografia del polso e ci chiedono di parlargli di questa procedura. Hanno sete di risposte anche più di quanto abbiano fame di cibo.

Nelle stanze, avvolti da coperte, altri ragazzini dormono. Nel cortile incontriamo anche 6 adulti tra cui una donna, sono loro i sopravissuti dell’ultimo naufragio. E’dunque evidente che le notizie che ci avevano fornito gli operatori il giorno prima sulle presenze degli adulti erano errate. In realtà ogni nostra domanda su numero tipologia e destinazione dei migranti “ospiti” resta totalmetne priva di risposta certa o almeno affidabile.  Incontraimo due donne tunisine sedute attorno ad un tavolino di plastica che parlano con i bimbi più piccoli di dieci o undici anni. C’è anche Khalil. Oggi sorride e mi saluta timido. Le donne non sono le loro mamme ma almeno non sono uomini e non sono in divisa e condivodono coi bimbi la sorte e la lingua. Visito i servizi igienici: sporchi ed inguardabili. Condizioni igieniche inaccettabili soprattutto perché ad utilizzarli sono i minori.

Salutiamo e ce ne andiamo.

Mentre usciamo tre ragazzini ne approffittano per scavalcare sul retro  l’alta rete metallica e scappare in strada. Ci raggiungono subito e aspettiamo insieme l’autobus che ci porterà in centro a diversi chilometri da dove ci troviamo. Il conducente non vuole che io paghi i biglietti per i ragazzini, vuole regarla lui quella piccola gita. Quando scendono i ragazzi ringraziano e lui si commuove.

Sul molo c’è di nuovo tensione. Il mare si è calmato e gli agenti predispongono l’imbarco dei tunisini sulla nave. Tutti o quasi vogliono salire a bordo. Ma potranno partire solo 500 o 600 persone. Tocca agli agenti scegliere e la scelta è del tutto casuale. I tunisini si arrabbiano. Tutti credono di avere un diritto di prelazione. Ed alcuni effettivamente ce l’hanno. Si potrebbe adottare un criterio di anzianità di permanenza sull’isola per decidere chi impìbarcare per primo: chi è da più tempo sull’isola ha diritto ad andarsene prima. Sarebbe un criterio sensato e di facile verifica perché sui tesserini rilasciati dalla Lampedusa Accoglienza è segnata la data dello sbarco e il nuemero dello sbarco. Ma la razionalità non è evidentemente un metodo  utilizzato nella gestione di questa emergenza migratoria.

Altri fanno vedere le ferite che hanno sul corpo e cercano di muovere a compassione gli agenti per salire per primi sui pullman che li porteranno alla nave. Chi viene scelto si attira le ira degli esclusi. Alcuni lanciano sassi sui pullman. Gli agenti, tutti in assetto antisommossa alzano gli scudi  si preparano  ad uno scontro che per fortuna  nessuno vuole veramente. I tunisini restano stretti tra un corridoio di  scudi e il mare.  Gli animi a poco a poco si calmano. Altri ragazzi stanno in disparte, si sono accesi un fuoco e si scaldano un po’. Rinunciano a partecipare a questa assurda lotteria. Anche perché neppure si sa bene dove porterà questa nave. I telegiornali hanno parlato di Napoli ma resta la paura di essere rimpatriati in Tunisia.

Di notte torniamo al molo perché hanno detto che breve ci sarà uno sbarco. I ragazzi rimasti a terra cercano un riparo dal freddo: alcuni si infilano come gatti nelle barche dei pescatori, altri in un camion, ma vengoro tirati via a forza da alcuni agenti un po’ troppo sbrigativi. Altri agenti al bar poco prima si lamentavano del fatto che a Malta la polizia può sparare sui migranti mentre loro, sfortunati poliziotti italiani, non hanno neppure il diritto di picchiarli un po’. Più avanti si sente della musica. In una tenda di fortuna alcuni tunisini fanno festa per gli amici che sono partiti e per loro stessi che forse partiranno l’indomani. Intanto dei ragazzi stanno col naso appiccicato ai vetri di una balera dove alcune coppie di isolani ballano il liscio.
Ridono e per un attimo si alleggeriscono l’anima.

Alessandra BalleriniAlessandra Ballerini, membro della Missione Terres des Hommes, è un avvocato civilista di origine genovese. Tra le molte attività che ha condotto ha partecipato come consulente della "Commissione Diritti Umani" del Senato ai lavori di monitoraggio dei centri di accoglienza e di detenzione per stranieri e alla stesura nel 2006 del Libro Bianco sui Cpta (Centri di Permanenza Temporanea e assistenza). Ha presentato diversi ricorsi alla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo contro le espulsioni di massa di profughi verso la Libia (paese terzo decisamente non sicuro in quanto non ha sottoscritto la Convenzione di Ginevra del 1951 sul riconoscimento dello status di rifugiato). Insieme ai colleghi del "Genoa Legal Forum" ha seguito le cause di risarcimento nell'interesse di alcuni manifestanti pacifisti feriti durante il G8 di Genova del 2001, nonché i ricorsi contro le espulsioni dei manifestanti stranieri.

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