In Russia, nonostante i brogli governativi, il partito di Putin, Russia Unita, ha perduto oltre 15 per cento dei voti. È cresciuta la percentuale dei votanti, in particolare tra i giovani desiderosi di cambiamento. Ma il fatto più interessante è che i comunisti hanno quasi raddoppiato i loro consensi, arrivando a sfiorare il venti per cento. (ndr- E che nelle piazze di Mosca, Pietroburgo e tante altre città hanno raccolto la protesta di Gorbaciov: elezioni truccate, elezioni da rifare ). In Siberia il partito di Gennadi Zhjuganov ha addirittura battuto quello di Putin.
È un fatto, una svolta o una giravolta epocale, forse addirittura uno degli eterni ritorni della storia, ma qui, in Italia, la televisione ha dato maggiore importanza alle lacrime da coccodrillo di una ministra, impietositasi per il male che fa lei stessa, con la sua banda, alla povera gente. “Io non volevo”, dicono sempre, tra le lacrime, l’adultero, il ladro e l’assassino quando vengono colti sul fatto, o scoperti. Se il crimine o l’errore sfugge a chi lo commette, come un lapsus, la colpa è più grave, poiché costui può fare danni di nuovo, senza volere, solo per distrazione, a casaccio. Quelli che vogliono fare del male e ne rivendicano la scelta con dignità prometeica1, poi decidono di non farlo più, sono meno spregevoli e anche meno pericolosi. Questa è logica, non è morale.
Qui da noi i governanti, al servizio delle banche e dei mercati, fottono e piangono, per apparire sensibili e tanto, tanto buoni, mentre suscitano sdegno nella maggioranza delle persone che lavorano e pagano le tasse.
Intanto i mezzi di informazione danno scarso rilievo alla ripresa dei comunisti in Russia, un paese che pure ha subito la dura dittatura sovietica per diversi decenni. Non so se i giornalisti non capiscono o fingono di non capire che tale rimonta è un sintomo di malattia gravissima, probabilmente all’ultimo stadio, di un capitalismo sfrenato che sta gettando nella povertà e nella miseria milioni di persone. Basti dire che la stangata di Monti e di quella che piange, la mater lacrimosa davanti alla croce dei poveri cristi, intende lasciare schiere di pensionati per anni con mille euro lordi al mese, mentre l’inflazione correrà sopra il tre per cento. È una condanna alla miseria di decine di migliaia di vecchi. Questi avranno ragioni davvero molto serie per piangere.
Intanto le tasse sul lusso sono irrisorie, e gli happy few, i fortunati pochi, imperversano dall’alto di stipendi e pensioni da centinaia di migliaia di euro l’anno. Osano dire che i sacrifici sono necessari, indispensabili. Certo, quelli dei fortunati poco, affinché gli happy few, l’allegra band of brothers, la confraternita dei profittatori e degli usurai, continui a sguazzare nel lusso, magari mostrandosi pure accigliati, come l’impagabile e mai appagata Emma Marcegaglia. Tali diseguaglianze insultano la giustizia e la decenza, inoltre negano la democrazia, la costituzione italiana e la libertà. Intanto il presidente ha firmato il decreto salvaricchi-ammazzapoveri e chiede senso di responsabilità. Insomma la maggioranza dovrebbe soffrire e tacere.
Il comunismo dell’ex Unione Sovietica è fallito per tanti motivi, e Zhjuganov certamente non propone un ritorno al regime liberticida di Stalin o di Breznev. Comunque l’idea del socialismo non è morta, come non è morto il cristianesimo dopo il neoclassicismo quasi neopagano del Rinascimento, né dopo la cupa Riforma con le sue denunce, né in seguito alla Controriforma che bruciava vivi i Giordano Bruno nelle piazze. Il cristianesimo infatti rimane comunque la religione dell’amore per il prossimo, e il comunismo è letteralmente, etimologicamente, la negazione dell’egoismo.
Voglio riportare una poesia scritta da Bertold Brecht nel 1933:
Lode del comunismo
È ragionevole, chiunque lo capisce. È facile.
Non sei uno sfruttatore, lo puoi intendere.
Va bene per te, informatene.
Gli idioti lo chiamano idiota e, i sudici, sudicio.
È contro il sudiciume e contro l’idiozia.
Gli sfruttatori lo chiamano delitto.
Ma noi sappiamo:
è la fine dei delitti.
Non è follia ma invece
Fine della follia.
Non è il caos ma
L’ordine, invece.
È la semplicita’
Che è difficile a farsi.
Il fatto è che nel mondo capitalistico la propaganda è in mano agli sfruttatori e si rivolge a presunti idioti. Il caos ora ci minaccia: è un guazzabuglio spaventoso che vortica in un abisso dove rischiamo di precipitare, poiché i disagi, fino alla fame, al freddo, alla mancanza di abitazione, sbugiarderà le promesse dei mastini del capitale e scatenerà l’ira terribile degli impoveriti. A Bologna, per ora rubano le biciclette a man bassa, ma potrebbe seguire l’assalto ai forni. “Siamo giusto in tempo per evitare la catastrofe”, ha detto Napolitano.
Non sarà il decreto prontamente firmato dal signor Presidente a evitarla. Se non verranno apportate modifiche sostanziali, i poveri e gli impoveriti diventeranno una maggioranza tutt’altro che silenziosa: si rivolteranno con rabbia furente. Non basteranno i film natalizi, o le trasmissioni televisive tipo il grande fratello, o il salotto di Vespa, o il risolino ambiguo di Fazio, a rincretinirli e tenerli tranquilli. “Nescit plebes ieiuna timere”, la folla digiuna non sa che cosa sia avere paura, afferma Lucano (Pharsalia, III, 58); per questo Giulio Cesare e i suoi successori davano da mangiare alla plebe oziosa. Ora al contrario si vuole togliere il pane di bocca ai lavoratori.
Se i nostri governanti, invece di fottere e piangere, invece di frequentare le trasmissioni televisive per rispondere alle domande di conduttori più o meno ruffiani, leggessero e comprendessero la storia, saprebbero che questa politica, la loro politica, scatenerà la furia popolare, e le privatizzazione tanto celebrate in questo orrendo ventennio, verranno esecrate, messe in soffitta, mentre si tornerà a chiedere, con le cattive se le buone non basteranno, un minore squilibrio nelle retribuzioni, meno ingiustizia, meno menzogne, meno cosiddetta flessibilità cioè licenziabilità, meno in cultura, meno volgarità. Insomma forme di equità, e solidarietà già promesse dal cristianesimo e dal comunismo. Promesse che presto sarà tempo di mantenere. Forse è già tempo.
Giovanni Ghiselli ha insegnato a lungo materie classiche nei licei e ha tenuto corsi di didattica della letteratura greca presso la SSIS dell'Università di Bologna. Attivo anche nell'ambito dell'aggiornamento per docenti, ha curato e commentato diverse edizioni di classici, tra i quali l'Edipo Re (Napoli 1997) e l'Antigone (Napoli 2001) di Sofocle, Storiografi greci (Napoli 1999), La vita felice di Seneca (Siena 2005).