Roma. Gli aquilani sono già scesi dagli autobus e, dopo il ritrovo a Piazza Venezia, si forma il corteo in direzione di Montecitorio. Ma l’imbocco su Via del Corso viene bloccato: impossibile passare, iniziano i primi scontri. Arrivo dall’altro lato della città qualcuno è preoccupato e cominciano a chiamarmi sul telefono “Dove sei? Qui ci sono risse stai attenta”. Sono all’altezza di Piazza Colonna e continuo a andare avanti pochi passi e di fronte la sede del Monte dei Paschi arrivano in assetto antisommossa i furgoni blindati della Polizia di Stato. “Cosa succede?” domando al più alto in giacca e cravatta, “c’è una manifestazione – mi risponde il capo – la mandiamo qui di lato”. “Perché?”. “Per agevolare il traffico, per fargli fare questa manifestazione abbiamo già bloccato il traffico dell’intera città”.
Mi lascia attonita, non sapevo che via del Corso condensasse il traffico di tutta Roma. Vado verso giù ad accogliere i miei amici e inizia il corteo: è un corteo pacifico ci sono striscioni che chiedono verità, è un corteo istituzionale ci sono i gonfaloni dei comuni colpiti dal sisma del 6 aprile 2009, la città dell’Aquila e la Provincia anche. Ci sono giovani e anziani, mamme, papà, bimbi con i passeggini perfino, ci sono giovani tanti giovani, quindicenni, ventenni, trentenni… Ci sono tutti coloro che nonostante le enormi difficoltà hanno scelto di restare a vivere in un territorio martoriato, spogliato, esausto, un territorio che non ha più nulla da dare se non l’amore di una madre che ti ha fatto crescere. Tra striscioni, slogan e volti gioiosi mi fermo a riprendere il corteo e accanto a me sento il commento di una passante “Questi a L’Aquila sono abituati a stare a 2 gradi oggi muoiono tutti dal caldo”, mi è di fianco, mi giro e le basta lo sguardo che trafigge anche la lente oscurata degli occhiali.
Torno su dove il corteo è stato bloccato e ancora ci sono scontri, questa volta dalle manganellate due ragazzi escono gravemente colpiti: sul muro del Monte dei Paschi di Siena uno dei feriti lascia il segno imprimendo sul travertino le sue mani grondanti sangue. Ricordo la pubblicità del Monte dei Paschi (gruppo bancario di Siena, ndr) che aveva come slogan “Una storia italiana” in cui “il cielo è sempre più blu”…
È cosi che, nonostante la voglia di vivere, L’Aquila viene bloccata ancora una volta. Il corteo pacifico è ostracizzato e obbligato a defluire verso Piazza Montecitorio, passando per i violetti di Roma, unica via d’uscita la Piazza ma anche il luogo dove contemporaneamente si svolge un’altra manifestazione quella degli invalidi: è cosi che credono che più di 5000 persone sarebbero messe a tacere non potendo manifestare contro chi è più debole di loro, finirebbero col disperdersi tra i vicoli, abbandonerebbero la lotta. Non è possibile cedere a un simile e meschino ricatto. Partono le telefonate prima alla Camera poi al Senato e arriva l’onorevole Di Pietro che ottiene di far aprire il blocco. Gli aquilani hanno vinto così il corteo riprende e arriva di fronte a Palazzo Chigi con le sue bandiere neroverdi, i suoi cittadini, il suo grido di giustizia, verità e libertà: L’Aquila urla all’Italia intera, urla contro ogni condizione sfavorevole alla libertà degli individui anche quella assurda dell’imbavagliamento all’informazione. E l’Italia finalmente si sdegna. Tutti gli amici chiamano da ogni dove del Paese: Firenze, Genova, Torino, Cagliari, Venezia, Napoli. “Vi stiamo vedendo! Non mollate! Siamo con voi!”. L’Aquila è lo specchio e la cassa di amplificazione del sistema Italia tutto, delle sue meschinità, della mediocrità imperante gli animi dei suoi governanti. E gli aquilani non ci stanno più, perché non hanno più nulla da perdere se non la loro dignità: perché continuare a vivere in un Paese dove tutto cambia per restare uguale non ha alcun senso, non lo ha mai avuto.
Scendono i leader politici intervengono ai microfoni del furgoncino dei Comitati Cittadini e vengono anche contestati dal pubblico. Una manifestante urla a Bersani “Dove eravate l’anno passato quando si votò l’emendamento per le tasse nel Decreto Abruzzo? Dove era la Senatrice Turco eletta nel nostro collegio?”. – Votazione n. 2 (seduta n. 188 del 16/06/2009) – Tant’è. La sinistra s’è dissolta, e ogni atto di incoscienza politica, compiuta sia a destra che a manca, testimonia in pieno quello che ha portato infine alla totale perdita della democrazia nel nostro Paese.
Il corteo riprende direzione Palazzo Grazioli, ma un altro – l’ennesimo – blocco costringe a fermare di nuovo il corteo a un centinaio di metri dall’edificio istituzionale. Niente da fare, L’Aquila non si ferma e riprende la marcia direzione Piazza Madama, ma ancora si trovano blocchi che impediscono l’ingresso da via di Sant’Andrea della Valle e la manifestazione viene confluita dentro Piazza Navona. Un presidio blocca ogni accesso verso Palazzo Madama, ma l’Aquila arriva comunque in Senato. Una bandiera nero-verde simbolo della città viene affissa per qualche minuto sulla finestra centrale della sede del Senato.
Il sit-in a Piazza Navona vede il racconto del sindaco Cialente sugli incontri istituzionali avuti in Camera e in Senato, ma appena dopo il suo intervento arriva un’Ansa di Giovanardi: “Cialente stia a L’Aquila a lavorare invece di venire a Roma a fare il capopopolo”… Tuttavia nonostante un così alto parere continuano gli interventi dei cittadini, dei rappresentanti dei comitati, perfino una passante prende il microfono e dice: “Sono una romana, mi congratulo con gli aquilani, andate avanti e non vi fermate!” Come si dice in questi casi? Voce del popolo, voce di Dio e tanti saluti al caro Ministro Giovanardi.
Sono passate appena le 17.00 e la manifestazione sarebbe conclusa si dà l’informazione che tra un’ora gli autobus aspettano i manifestanti proprio di fronte il Palazzaccio ma il corteo riprende – in direzione ostinata e contraria – e sfila ancora per le strade di Roma. Un amico romano entusiasta dice “A Roma non s’era mai vista una manifestazione in mezzo al traffico!” e così ci si ferma sedendo di fronte la sede della Federazione nazionale della Stampa, da dove scende il presidente per portare la sua solidarietà, e quella dei colleghi, alla verità aquilana. A lui e a tutti noi una manifestante ricorda che “Se ci fosse stata la legge sulle intercettazioni oggi a l’Aquila non sapremmo nulla di chi rise sulla nostra disgrazia”.
Il corteo non vuol più lasciare Roma, riprende verso il lungo Tevere, ma senza averne prima fermato il traffico, qualche automobilista esplode “Basta! Non ci potete bloccare!” e la risposta è lecita “Sono 15 mesi che noi siamo bloccati!” Ultima tappa, dovuta, la sede della Protezione Civile e lì l’esasperazione esplode: le urla, il lamento, il pianto funebre, la tragedia di un Paese intero, le case pagate dalle cricche, gli appalti sospetti, le verità celate, le rassicurazioni del 30 marzo 2009 della Commissione Grandi Rischi, tutto tutto si riassume in un canto disperato “tre e trentadue io non ridevo”. Poi il minuto di silenzio e nel silenzio qualche urlo e nel silenzio infine solo il ricetrasmettitore della Digos, un suono stridulo, fastidioso, ma di fronte a un tale composto, orgoglioso, compatto, lucido, pulito silenzio di quel rumore si sente solo l’assoluta inutilità.
Infine il corteo si scioglie per il ritorno a casa, qualcuno ancora urla e assicura “Bertolà revenemo!”. Appena dissolti i manifestanti gli uomini in borghese danno informazioni immediate dell’accaduto: “Erano quattrocento circa, sempre i soliti …” ci conoscono, ci conoscono tutti, siamo schedati, informatizzati, custoditi tra gli scaffali dei loro polverosi uffici; ma la strada verso casa promette cielo, promette nuvole, promette aria, promette natura, promette città? Speriamo soprattutto che prometta libertà.
Berta Giacomantonio è una terremotata, una delle persone che ha perso tutto con il sisma registratosi all'Aquila il 6 aprile 2009.