Ecco cosa sperava il Dubai otto mesi fa
La crisi fa scoppiare tante bolle nei posti più lontani. Anche i paradisi della follia immobiliare cominciano a soffrire. Le immagini da sfogliare mostrano il Dubai com’era otto mesi fa: le luci dei grattacieli costruiti e in costruzione scalano la notte con attorno il 15 per cento di tutte le gru dell’universo. Campi da sci sotto cupole di vetro. E una parco giochi che rifà la Disneyland di Orlando, finora la più grande del mondo: ne raddoppia le dimensioni in un deserto ormai vetro e cemento. Mentre l’occidente chiude e licenzia, Dubai sembrava una macchina invincibile. Forse il petrolio degli emirati attorno, perché il petroli di Dubai è un rigagnolo senza pretese; forse i passaggi segreti di banche dove si nascondono capitali non trasparenti. Il nero delle finanze di ogni continente trovava in Dubai un rifugio senza problemi. Le banche islamiche sembravano immuni dalle sofferenze che inginocchiano gli istituti bancari racolti attorno a Wall Street. E rattristavano l’Europa: Londra, Francoforte, Parigi, Zurigo, Milano. Negli Emirati la crisi restava lontano. Ma non è andata così e le immagini da sfogliare sono le immagini di un sogno sospeso.
Crolla il valore degli appartamenti fino a ieri venduti a prezzo d’oro. Chi compra un bilocale nei superpalazzi che divorano le dune, spende la metà di un anno fa ed ha in regalo il monolocale accanto. Eppure nessuno compra. I sette Emirati hanno cancellato 250 miliardi di dollari di progetti edilizi, quasi tutti nel Dubai. L’Isola della Felicità dove il British Musum, Louvre e Gugheneim stavano clonando gigantesche filiali ha bloccato i lavori. Progetti faraonici rimandati. L’infelicità di migliaia di bengalesi, pakistani, indiani e afgani assunti con paghe di fame, lavoro nero, sindacarti proibiti; questa infelicità è diventata tragedia. Tutti a casa. Cantieri chiusi e le braccia somale ed eritree con antichi permessi di soggiorno finiscono nel parcheggio di chi aspetta e spera. Congelato il completamento del gigantesco Dubai World Trade Center. L’Air Emirate regala il soggiorno in hotel a cinque stelle a chi arriva in prima classe a Dubai. Insomma, non si arrendono, ma è difficile quando tutti tremano. Cancellati viaggi premio aziendali, meeting di settore con protagonisti di ogni continente. Da Francoforte a New York la parola è ‘ risparmio ‘. Annullate le gare internazionali di tutto e i galà del vanesio. Con l’aria che tira è difficile programmare una vacanza curiosa nell’aria condizionata. Anche se l’aria secca del deserto attenua il calore, da maggio a settembre i 35 gradi accompagnano il sole dal mattino alla sera, sere che rinfrescano: notte quasi fredda, ma di giorno si brucia.
La vocazione commerciale del Dubai ha un’anima indiana. Uomini d’affari indiani da tempo hanno trovato spazio dove di spazio ce n’era tanto raffoerzando traffici che da un secolo distinguevano Dubai dagli altri emirati. Mercato dell’oro, mercato delle perle, attrazione iniziale per piccoli mercanti che si trasforma in padiglioni mastodonti, freee shop dove ogni cosa costa il 20, 30 per cento in meno che in Europa. La vocazione del turismo e dei servizi risale a 30 anni fa e cresce a vista d’occhio. Corsa inarrestabile fino alla crisi, ma corsa sulla quale i maghi dell’economia e gli ecologisti arrabbiati continuano ad obiettare. Che senso ha concentrare tecnologie avanzate, informatica, laboratori sofisticati che l’Europa invidia, nelle sabbie di un deserto bollente ?. ” Si può ammazzare un ecosistema ? Si può ammazzare il deserto ? La Disneyland per adulti messa su in Dubai rischia di diventare micidiale per l’ambiente “. Lo scrive John Hari ssull’ Indipendenti di Londra: ” The dark side of Dubai “. Dubai è un deserto e non ha acqua. Se la procura desanilizzando il mare: un litro d’acqua costa più di un litro di wishky. Se ne consuma tanta: accanto ad ogni aiuola un immigrato con la pompa in mano. Il campo dal golf più lungo del mondo – Tiger Woods Gold Corse – beve 16 milioni di litri al giorno. Ma è un mare inquinato e l’acqua potabile sempre peggio: infezione agli occhi, stomaco in subbuglio.
Per mantenere il sapore della Dubai che non c’è più, lo stato concede ad ogni cittadino un sussidio a patto che tenga un dromedario in giardino. Decisione che ha provocato la gigantesca importazione di vasche da bagno di plastica trasformate in mangiatoie.
Nel lasciare Dubai, John Hari, si sfoga con la cassiera filippina di un bar dell’aeroporto. Gli stranieri sono l’80 per cento del milione e mezzo di residenti. ” Semi schiavi “, giudizio del giornalista. ” Dubai è la globalizzazione del mondo in una sola città. Chiedo alla ragazza filippina dietro la cassa se le piace stare qui:’ Va bene’, risponde con la cautela di un’orientale attenta a non compromettersi. Davvero ? A me non piace. Lei sospira di sollievo: ‘ Questo è il luogo più terribile. Lo odio. Alberi falsi, contratti di lavoro falsi, isole false, anche i sorrisi sono falsi. Dubai è un’illusione terribile. Immagini di intravvedere in lontananza l’acqua che ti salva la vita ma quando ti avvicini bevi solo un sorso di sabbia ‘.
Dubai.pps
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