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Belle parole per evitare il caos: «accelerare la transizione» vuol dire lasciare le cose come stanno per mesi e mesi. Incrociando le dita nessuno riesce ad immaginare cosa succederà nei paesi attorno

Noam CHOMSKY – Egitto: Obama ha paura e non cambia niente

07-02-2011

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Devo dire prima di tutto che gli avvenimenti sono imprevisti e spettacolari. Un piccolo tunisino senza nome che per disperazione si dà fuoco nella sua provincia sperduta ha travolto il mondo arabo nell’ indignazione che nessuno riesce a controllare. Il coraggio, la determinazione e l’impegno di milioni di persone sfinite da regimi che umiliano la dignità, rimettono in discussione le politiche dei governi occidentali. Succeda ciò che succeda Mediterraneo e mondo arabo non saranno più gli stessi. La corte mafiosa di Mubarak è finita nelle vetrine delle nostre città. Sta provando ad organizzare «bande amiche» (squadre della morte si diceva in America Latina) scatenate nell’appoggio al regime, ma l’esercizio è un tampone inutile perché lo spettacolo che i media del mondo raccontano è una vergogna insopportabile. E le parole d’ordine cambiano ogni ora: contenere, ma non calpestare, sparare, uccidere per non perdere l’appoggio in miliardi di dollari dell’Occidente. Difficile dire come andrà a finire. Gli Stati Uniti seguono la prassi abituale. Quando le dittature protette sono alle corde, provano e tenerle in piedi con una solidarietà segreta che puntella l’ordine disegnato dalle corporazioni di Washington ripetendo l’ipocrisia di dichiarazioni che suscitano sorrisi: «siamo sempre stati dalla parte della gente e se la gente protesta ha diritto a protestare». Routine che si ripete soprattutto se l’esercito egiziano nelle mani di suggeritori e finanziatori lontani obbedisce agli ordini e ai contrordini di chi paga gli stipendi: prendere le distanze ma non scaricare il protagonista sorretto per anni appartiene ad una transizione insopportabile. Manovre prevedibili: mantenere lo stesso ordine cambiando i nomi. Mubarak deve andarsene ma l’addio sarà lento e senza traumi per non destabilizzare la stabilità fallita.

Obama non sta dicendo nulla. Assieme ai nuovi ministri Mubarak obbedisce in un certo modo per non perdere la faccia. Il suo destino è segnato, ma chi viene indicato dopo di lui continuerà come prima. Il potere degli Usa sull’ Egitto resta sconvolgente. Dopo Israele è il paese che riceve più aiuti militari, economici e diplomatici. Basterebbe un segno di Washigton per ristabilire giustizia e libertà. Ricordo che nel suo discorso al Cairo il presidente degli Stati Uniti non molto tempo fa ha detto che «Mubarak è una brava persona ed un alleato fedele. Continueremo ad appoggiarlo perché è nostro amico». Mubarak è uno dei dittatori più brutali del mondo. Non so dopo ciò che sta succedendo chi potrà prendere sul serio le parole di Obama quando annuncia l’impegno di difendere i diritti umani, parole di ieri, parole di oggi. Le armi e gli elicotteri, gli aerei e le divise che soffocano piazza Tahir sono armi, elicotteri e divise americane. Francia e Italia proteggevano Tunisi, gli Stati Uniti sono i colpevoli di ciò che succede in Egitto, responsabili assieme a Israele e Arabia Saudita della tragedia che incombe sulle popolazioni arabe.

Qualcuno paragona gli avvenimenti di questi giorni a ciò che è successo nell’Europa dell’Est. Ma il paragone è improprio. Nessuno è in grado di prevedere come andrà a finire questa protesta di massa. Problemi di anni e anni che vengono al pettine. Povertà sconvolgenti, analfabetismo, comunità sgretolate sopravissute alla paura; ricchezze raccolte nelle mani di pochi dalle dottrine neoliberiste sulle quali si è costruita «la stabilità». Paralisi difficile da superare con le buone parole. Non solo Tunisi ed Egitto, ogni paese attorno soffre della stessa malattia. La Giordania declamata come Svizzera del Medio Oriente si trova più o meno nella stessa situazione. Il re ha cambiato un primo ministro impopolare con un ex generale moderatamente popolare, insomma, meno odiato. Come in Egitto dietro le forme tutto resta come prima. Mi è stato chiesto se la colpa dello sgretolamento è attribuibile alle rivelazioni Wikileaks. Non sono vere rivelazioni; solo conferma di ciò che sapevamo o immaginavamo osservando la realtà. Adesso, aspettiamo.

[L’analisi che pubblichiamo è apparsa su “Democracy Now”, New York]

Noam Chomsky (Filadelfia, 1928) è un linguista, filosofo e teorico della comunicazione. Professore emerito di linguistica al MIT (Massachusetts Institute of Technology), è il fondatore della grammatica generativo-trasformazionale. La costante e acuta critica della politica estera Usa e la lucida analisi del ruolo dei media nelle democrazie lo hanno reso uno degli intellettuali più famosi del mondo.
 

Commenti

  1. Giuliano Bugani

    Stupenda lettera di Chomsky. Ma si può invitare questo filosofo a Bologna? Chi bisogna contattare?

    Grazie. Giuliano Bugani.

  2. Davvero, Chomsky ha uno schema in mente: Stati Uniti, chiunque ne sia il presidente, complottano con i regimi più sporchi, i poveri “sudditi” destinati continuamente alla sconfitta. Il fatto di non vedere vie intermedie, passi pur parziali, difficoltà reali è disumano: pare che uno stia dalla parte degli oppressi, invece sta solo dalla parte di se stesso, dell’intellettuale “di sinistra” che può permettersi uno scetticismo che gli porta fama e prestigio. Io, che sono decisamente di sinistra, non stimo affatto Chomsky: per questo giudizio e per molte sue posizioni precedenti. E oggi diffido molto di persone come lui che fanno tendenza applicando uno schemino esplicativo a fatti e a tempi diversi. Con questo, tutto può andare a rotoli. Però solo un privilegiato come lui può permettersi di non apprezzare i mutamenti difficili, aspri, che si verificano nel mondo.

  3. Cristina Stevanoni

    Chomsky è un linguista d’eccezione, lo studioso grandissimo dell’origine dei nostri sensi, del nostro senso. Il linguaggio è l’uomo (e la donna). Le sue analisi politiche sono degne della sua grandezza di scienziato. Gli Stati uniti d’America sono rigidamente avvinti alla loro dottrina: lo scienziato, l’analista politico non fa che osservare le rigide applicazioni di tale dottrina, e descriverle. Le tragedie socio-politiche ed economiche del mondo in cui viviamo dipendono anche dall’ordine che gli USA impongono ai paesi da loro controllati. Si tratta di evidenze storiche documentate, quanto meno a partire dalla seconda metà dell’Ottocento.

  4. Pina Piccolo

    Concordo pienamente con l’analisi di Chomsky, sia sul ruolo degli USA sia sul fatto che la situazione sia “aperta”, nel senso di imprevedibilità degli sbocchi. Per questo credo che sia molto importante che anche in Europa si solidarizzi con i milioni di persone che si stanno sollevando e reclamano il diritto all’autodeterminazione. Anche i governi europei sono complici di questa situazione e credo che il silenzio o assumere una posizione del tipo ” guardiamo e stiamo ad aspettare”, condizionato dal timore di successi islamisti sia indice di complicità con ciò che esiste.

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