Bombardare i bambini che si chiamano Gheddafi è solo un innocente effetto collaterale
02-05-2011
di
Maurizio Chierici
Se tre bambini si chiamano Gheddafi bombardare non è peccato. Regole dell’Onu rispettate. L’importante è nascondere il nome del paese lancia razzi per non eccitare i terroristi sparsi nel mondo, rabbiosi per la fine di Bin Laden. Erano bambini aggrappati alla play station nella casa del figlio meno importante del dittatore: Saif El Arab, attaccabrighe milionario escluso dal padre dalla cupola del regime. Signor nessuno che diventa qualcuno solo quando muore. Malgrado i “non so”, vergogna di chi ha premuto il bottone, per la verità è un insignificante effetto collaterale.
Ogni ora, in ogni guerra, donne e bambini bruciano così. Bisogna dire che le alte uniformi della Nato si scusano educatamente per l’errore. Hanno chiesto perdono 178 mila volte negli uffici di Kabul. Adesso la voce si abbassa mentre guardano il mare di Napoli dove segnano i bersagli da annientare per fermare i massacri del rais. Mancano ancora i conti di quante donne, quanti ragazzi, quanti pensionati in giro per scuola e spese sono diventati numeri nella contabilità degli effetti collaterali nel fronte libico. Noi dell’odiata Italia non bombardiamo. Berlusconi e La Russa lo escludono indignati. Con precisione chirugica scaricano missili esclusivamente su bersagli militari.
Certo che abitare in una delle case Gheddafi è l’imprudenza che i poveri piloti hanno difficoltà a considerare quando gli ordini non vanno per il sottile: villa con giardino, quartiere per cortigiani della dittatura, figuriamoci se non si nasconde li. Non era lì anche se Mussa Ibrahim – Bonalumi di Tripoli – lo giura con furbizia: resuscitare dalle rovine abbrustolite diventa il miracolo dell’immortalità che rincuora la fantasia degli ultimi fedeli. Lo inseguiamo per farlo fuori; Allah lo protegge. Il dittatore sventolerà la morte degli innocenti per impietosire folle ariane distratte da chi si sposa a Londra o inginocchiate davanti alla beatitudine del Papa delle pace.
Ma c’è pace e pace. Solo Berlusconi baciava la pace di Gheddafi mentre tutti sapevamo (e sappiamo) della ferocia che ormai nasconde dietro la morte dei ragazzi. Eppure, una sera dell’aprile ’86, l’ho visto recitare la commozione nel cortile del suo palazzo distrutto per ordine di Reagan. Cronaca che ricorda la missione umanitaria di questi giorni. Rais dalla testa fasciata per la scheggia che aveva sfiorato la fronte. Raccontava di una bambina rimasta uccisa.. Raccontava della felicità perduta di una piccola senza madre, senza padre in un villaggio della Syrte. I notabili della tribù lo avevano pregato di provvedere al suo futuro. E il signore del terrorismo se l’era portata a casa per “rallegrare” l’ultima moglie. “Non ho paura che gli aerei tornino: sono quei per dirvi il mio dolore”. Non aveva paura perché le ambasciate avevano fatto sapere dei cento giornalisti che andavano a parlargli e bombardare Tv e giornali delle capitali degli affari sarebbe stata una catastrofe per l’onore della Casa Bianca. Ma gli anni passano e le abitudini cambiano. In quell’86 Gheddafi era sopravissuto grazie alla telefonata del Craxi capo di governo: lo avvertiva che la Us Navy stava per farlo fuori.
Adesso Berlusconi accorcia i tempi. Parte in prima persona sventolando la bandierina Onu: bombe che travolgono figlio e nipoti nel ventonovesimo anniversario della scomparsa di Pio La Torre, sindacalista ucciso dalla mafia. Aveva guidato l’occupazione di Sigonella per impedire l’arrivo dei missili americani: “La Sicilia non può diventare una portaerei che minaccia il Mediterraneo, altrimenti a pagare saremo sempre noi”. Chissà perché nessuno (nemmemo il Pd) ne ha ricordato la profezia: l’esodo dei disperati che scappano dalle tragedie che accendiamo.