Alessandro Perissinotto, L’orchestra del Titanic, Rizzoli 2008
La speranza era che fosse un libro-ponte tra le ferie e la realtà: avvincente come si addice a un giallo, piacevole ma non superficiale, intelligente ma non cervellotico. La paura era che fosse sin troppo “impegnativo”, visto che in una nota iniziale l’autore precisa di aver preso spunto da fatti realmente accaduti: la depressione post-feriem – con quella voglia ancora insoddisfatta di mare e nuotate, mentre la sconsiderata abbronzatura trascolora in un incarnato vagamente cirrotico – si cura con pazienza, magari cercando di evitare un impatto troppo brusco con i problemi della vita quotidiana.
Purtroppo, dissipato alla terza pagina il timore di un coinvolgimento eccessivo, proseguendo nella lettura crollano ad una ad una anche tutte le speranze.
In breve, la storia.
La giovane Aurora va in ferie con il neofidanzato in un villaggio-vacanze a Djerba, ma mentre lui cazza la randa al corso di vela, lei approfondisce la conoscenza (in senso biblico) con Jonathan, un animatore del villaggio che poi, senza motivo apparente, accoltella a morte. Questa, almeno, la ricostruzione della polizia tunisina, visto che la ragazza è stata trovata sporca di sangue e in stato confusionale nella propria stanza – chiusa dall’interno – con il cadavere.
Quale sarà il movente dell’omicidio? E soprattutto, come si può riportare a casa la povera Aurora, piantonata in ospedale dove giace sempre in stato confusionale? A dipanare l’intricata matassa viene chiamata la psicologa Anna Pavesi, single di ritorno con un divorzio alle spalle, la quale accoglie l’accorata richiesta della madre di Aurora e senza indugio parte alla ventura. Già che c’è, si porta appresso anche il fidanzato, aspirante single di ritorno, ancora un po’ troppo agganciato alla futura ex moglie: hai visto mai che, tra un’indagine e un colloquio psicoterapeutico, magari ci scappa anche il tempo di consolidare il rapporto, fare un bagnetto e abbronzarsi un po’. In effetti, quello della tintarella sembra un bel problema, per la signora, visto che impiega ben due pagine e mezzo per scegliere un bikini, con tanto di ripensamenti e dubbi sull’opportunità di concedersene uno molto sgambato.
Fatta la valigia (e siamo a pag. 54), si parte. E da questo momento il lettore è travolto da una valanga di banalità, una cascata di luoghi comuni, un fuoco di fila di cliché triti e ritriti: non si scappa alla tirata contro i villaggi-vacanze, divertimentifici a orario continuato, vetrine perennemente natalizie, bolle di sfrontata opulenza; né ci si può sottrarre alla descrizione del loro frequentatore tipo, in genere un buzzurro con immancabile accento romanesco approdato lì solo per avventarsi sui tavoli del buffet.
Ma la ciliegina sulla torta è il finale mozzafiato: dando prova di tutta la sua sagacia (e dopo aver scoperto la rava e la fava grazie a un paio di ricerche in Internet), la dottoressa Pavesi smaschera il vero colpevole sottoponendolo a stringente interrogatorio. Il passo suona testualmente così:
«Jonathan lo hai ucciso tu, vero?»
«Sì.»
Grazie ai caratteri con dimensione da sussidiario delle elementari, ne è uscito un libro di 313 pagine. Ma, chissà perché, il pensiero corre a quelle serie televisive che affollano i palinsesti estivi, nate per far passare il tempo, per ingannarlo. A volte, per ammazzarlo.
Federica Albini, laurea in filosofia. Ha insegnato negli istituti statali. Nel 1994 lascia il mondo della scuola per avventurarsi nell’editoria. È redattrice in uno studio editoriale. Vive a Piacenza, lavora a Milano.