Come se niente fosse ha superato Margaret Mazzantini, Daria Bignardi e Piero Angela e ha vinto a Padova il premio del libraio 2009. Ha curato la mostra di Giotto e il Trecento a Roma. Con i suoi occhi ha superato il visibile andando oltre, penetrando nella misteriosa mente di Giotto, ma anche di chi e non sappiamo chi, accanto a Giotto, ha dipinto il ciclo pittorico più rivoluzionario, storica rottura dopo l’immobilismo creativo del Medioevo bizantino e monumentale, penetrando nella realtà dei singoli: la Cappella degli Scrovegni di Padova (38 scene umane e divine, celesti e terrene, paradisiache e infernali). Non è stato disposto ad accettare ciò che si è scritto e riscritto negli anni e quindi si è posto le prime domande, dando anche le prime risposte e mettendo in crisi, per primo, la fonte teologica di questo straordinario dipinto: non è come si è sempre creduto san Tommaso, bensì sant’Agostino, parola di questo , credetemi, docente bellissimo, il noto grecista Giuliano Pisani, già assessore alla cultura del Comune di Padova e autore di “I volti segreti di Giotto” (Rizzoli), euro 21,50.
Ci svela Pisani in questo libro che si legge come un giallo il motivo per cui Giotto per rappresentare le quattro virtù teologali e le tre virtù cardinali anziché rispettare l’ordine tradizionale di ascendenza tomistica scelse una successione che sovverte l’ordine di entrambi i gruppi. Il mistero si risolve, afferma, ammettendo che non fu il contemporaneo san Tommaso a ispirare Giotto, ma quel sant’Agostino che otto secoli prima, in un passo delle sue “Confessioni”, aveva assegnato un ordine analogo a quello in cui esse si mostrano nella leggendaria cappella.
Ma perché Giotto che affrescò la cappella in soli due anni (1303 – 1305) offrendo al mondo la più straordinaria gamma di colori di tutta la pittura italiana proprio a queste ultime non diede alcun colore? Non mi interessa, risponde Pisani, poiché la passione di decifratore di enigmi iconografici prevale nettamente sull’interesse per i valori formali.
Io direi – mi dice – che la mia lettura, tra l’altro, mette in luce il rapporto Dante-Giotto sottolineando come la Cappella, proprio come la Divina Commedia, sia un’allegoria del cammino della salvezza dell’uomo attraverso le virtù cardinali e teologali.
Un esempio tra i tanti dell’acume interpretativo di Pisani è la sua analisi dell’ultima coppia delle allegorie: la contrapposizione disperazione/speranza dove la desperatio è rappresentata dal suicidio di una donna per impiccagione, che richiama il suicidio di Giuda, chiaro riferimento al tradimento verso Dio: chi tradisce perde per sempre la salvezza eterna.
La mancanza di speranza è come il suicidio dell’anima – dice Pisani – e sottolinea come il mito greco abbia anticipato la visione cristiana con il sacrificio di Prometeo per la salvezza degli uomini. Tertulliano nel suo Apologeticum affermò che il vero Prometeo è Cristo giacché trionfando sulla morte diede all’uomo il premio della vita eterna.
Ardue interpretazioni per noi poveri profani. Interpretazioni “antipatiche” per gli esperti del ramo. Troppo difficile? Macché: leggere per credere. Nel frattempo rechiamoci a Padova dove invece di alzare istintivamente lo sguardo verso l’alto, volgeremo l’attenzione verso le fasce inferiore della cappella e, tornati a casa, ci impegneremo a leggere le sublimi pagine che Proust dedicò in “Du coté du chez Swann” proprio ai vizi e alla virtù della sublime opera.
Margherita Smeraldi, veneziana, famiglia sefardita originaria di Salonicco, il nonno è stato il più importante presidente dei cantieri di Trieste e Monfalcone e il bisnonno materno il fondatore e proprietario de "Il Gazzettino". Ha lavorato per molti anni in un'agenzia giornalistica romana per approdare, felice, tra le braccia intelligenti di Domani/Arcoiris