I conflitti interni alla ‘ndrangheta hanno tutte lo stesso movente: business, dominio e vendetta. E’ sempre la miseria alimentata dalla sete di potere e di ricchezza a far nascere una ferocia in cui diventa lecito eliminare un concorrente perché intralcia il proprio percorso verso la supremazia, lo strumento per dialogare è il piombo, il vocabolario è la violenza.
Possiamo ricordare principalmente due guerre che hanno coinvolto la quasi totalità della malavita calabrese.
La prima grande guerra scoppia nel 1974 a seguito delle differenti vedute tra vecchi esponenti dell’onorata società e nuovi boss emergenti circa la valutazione della gestione del traffico della droga e dei sequestri di persona, attività considerate disonorevoli dai vecchi padrini ma ambite dai giovani per il facile, veloce e immenso guadagno che permettono. Il primo a opporsi al nuovo costume fu Antonio Macrì, capo dei capi, “mammasantissima” di Siderno e a peggiorare il già precario equilibrio intervenne don Mommo Piromalli, potente boss di Gioia Tauro, convinto della necessità di dover entrare in contatto con istituzioni colluse e massoneria deviata. Questa teoria dei Mommo venne appoggiata da Paolo De Stefano, ambizioso boss del quartiere Archi di Reggio Calabria. Venne dunque organizzato da Antonio Macrì e Domenico Tripodo, leader della gestione degli appalti a Reggio, un gruppo di fuoco per compiere l’omicidio di Giovanni De Stefano che causò anche il ferimento di Giorgio De Stefano. E’ l’inizio del conflitto che terminerà solo con l’omicidio dei due vecchi boss Macrì e Tripodo e l’ascesa al potere del clan Piromalli, De Stefano e Nirta.
La seconda guerra di ‘ndrangheta ebbe inizio a Reggio Calabria nel 1985, durò sette anni e provocò più di seicento morti. La guerriglia iniziò con un autobomba piazzata dai De Stefano per uccidere il rivale Antonino Imerti. L’attentato andò a vuoto ma Imerti per ritorsione ordinò l’esecuzione di Paolo De Stefano, il boss di Archi di Reggio. In questa occasione il business alla base della violenza si è chiamato “ponte sullo stretto”, questo il movente che spinge la malavita calabrese a dividersi tra la consorteria capitanata dai De Stefano con cui si alleano i Libri, i Tegano, i Latella, i Barreca, i Paviglianiti e gli Zito; e quella degli Imerti con cui si schierano i Condello, i Saraceno, i Fontana, i Serrarono, i Rosmini e i Lo Giudice. Al conflitto presero parte anche le famiglie lombarde dei Paviglianiti e i Di Giovine. A Reggio in quel periodo regnò il caos e il disorientamento totale, alcuni imprenditori si ritrovarono nella situazione di dover pagare il pizzo due volte e alcuni politici vennero uccisi per essersi accordati con il clan rivale. A peggiorare la già turbolenta situazione arrivò il cosiddetto “Decreto Reggio”, una pioggia di finanziamenti statali volti alla realizzazione di opere pubbliche, un bottino troppo ghiotto perché qualche famiglia rinunciasse a volerci mettere le mani, ne seguì una pioggia di sangue in cui presero vita gli intrecci tra ‘ndrangheta, politica e massoneria.
In questo scenario prende corpo il barbaro omicidio del giudice Antonio Scopelliti dopo del quale però viene imposto il cessate il fuoco a causa della risonanza mediatica a cui si è esposta la ‘ndrangheta, una ribalta alla quale si preferisce rinunciare per tornare nell’ombra del silenzio omertoso nel quale continuare più facilmente a intessere gli affari illeciti.
La pace di Reggio portò alla costituzione della commissione, una delegazione delle ‘ndrine più importanti il cui compito era riportare l’equilibrio all’interno alla malavita. La commissione sembra sia riuscita a placare le guerre complessive della regione lasciando però spazio a piccole ma sanguinarie faide.
La faida di San Luca. San Luca è il paese natale della ‘ndrangheta, è la mammasantissima per antonomasia.
L’inizio della faida di San Luca è datata 1991. Durante gli anni le alleanze tra clan sono molto cambiate; mentre ora si contrappongono le famiglie Pelle-Vottari e Nirta-Strangio prima del 1995 la famiglia Strangio era rivale dei Nirta. Dopo l’omicidio del boss Giuseppe Nirta, datato 1995, fu celebrato il matrimonio tra Giovanni Nirta e Maria Strangio che sancì l’armistizio tra le due contendenti. Tra il 1995 e il 2006 si è assistito ad una lunga pausa nelle ostilità conclusasi tragicamente nella così detta strage di Duinsburg. Era rimasta infatti insoluta la rivalità anche con i clan Pelle–Vottari a capo del quale si trovava Antonio Pelle detto “u Gambazza”. Il 31 luglio 2006 viene messo in atto da parte dei Nirta-Strangio un attentato ai danni di Francesco Pelle, detto “Cicciu u pakistan”. A Natale del 2006 si verifica un altro agguato: il tentato omicidio di Giovanni Nirta in cui perde la vita la moglie, Maria Strangio. Si riaprono così ufficialmente le ostilità. Nell’agosto 2008 le rivelazioni di un boss della ‘ndrangheta che vive in Germania confermano che i sei omicidi di Duisburg non erano una vendetta ma la concretizzazione di una necessità strategica; l’agguato era stato ordinato dai vertici di San Luca per arrestare l’ascesa di Marco Marmo, l’omicida della moglie del boss Giovanni Nirta.
La faida di Siderno. Siderno è la patria di Antonio Macri, il boss dei due mondi ucciso nel 1975 lasciando il suo impero nelle mani di due famiglie locali: i Costa e i Commiso. La cupidigia dei Costa li portò però a decidere di operare in maniera autonoma nel settore della droga, decisione non accettata dai Commiso che reagirono sparando e uccidendo due fratelli del boss dei Costa.
Per evitare che la situazione degenerasse la commissione formata dalle famiglie di Reggio Calabria ordinò l’immediato cessate il fuoco, ma i Costa non ubbidirono e si decise perciò di punirli. I Piromalli commisero una mattanza che zittì i Costa relegandoli in un angolo da dove solo ultimamente stanno cercando di rialzarsi. La faida di Siderno tra il 1987 e il 1991 è costata la vita a 59 persone.
La faida di Locri. Il 23 giungo 1967 a Locri avvenne una strage nella piazza del mercato in cui rimase ucciso anche Domenico Cordì, boss dell’omonima ‘ndrina accusato di aver sottratto 1700 delle 2000 casse di sigarette destinate al padrino sidernese Antonio Macrì. E’ l’inizio di una sanguinosa guerra per affermare la supremazia sul territorio e sui sui traffici illeciti. Vengono uccisi Giuseppe e Domenico Marafioti, parenti del boss Bruno Marafioti alleato ai Cataldo, altra potente ‘ndrina locrese. La faida va sciamando nel 1975 per un indebolimento delle due fazioni contendenti. I Cataldo dunque si schierano coi De Stefano e con i Mancuso. L’ultimo atto della faida locrese è datato 1993 quando, in pieno centro, venne lanciata una bomba a mano che colpì l’auto su cui viaggiava il capo-bastone Cataldo e sua moglie ma dalla quale i due uscirono illesi.
La faida di Africo. Negli anni ’70 ad Africo c’era una sola locale egemone composta da quattro famiglie: gli Scriva, i Palamara, i Mollica e i Morabito. La causa della faida interna al sodalizio che sembrava saldo fu il sequestro della farmacista Concetta Infantino, crimine effettuato dai Palamara nel 1983. I Palamara tennero in custodia la donna in un terreno di proprietà dei Mollica e questo irritò molto il clan. I morti ammazzati che ne seguirono furono più di cinquanta. La faida si concluse nel 1990 per volere di Giuseppe Morabito, “U tiradrittu”, che assunse il comando della locale di Africo.
La faida di Cosenza. Nel 1977 in provincia di Cosenza scoppiò la guerra tra i Sena-Pino, i Basile-Calvano, i Cirillo contrapposti ai Perna-Pranno-Vitelli e i Serpa. La guerra durò circa dieci anni e morirono 27 persone. Questa faida si caratterizza per l’efferatezza degli omicidi come nel caso dei fratelli Bartolomeo che dopo essere stati rapiti dai rivali vengono sciolti nell’acido e per l’assoluta mancanza di regole che porta a freddare i bimbi per punire i padri.
Tornando ai giorni nostri si sta sviluppando una nuova scia di sangue a Papanice tra il gruppo legato a Pantaleone Russelli e quello legato a Luca Megna. Il 22 marzo 2008 è stato ucciso il piccolo Luca Megna, figlio del boss, mentre sono rimasti feriti la moglie e l’altra bambina di cinque anni. Nel giro di cinque giorni si sono registrati tre morti e tre feriti.
Susanna A. Pejrano Ambivero (Milano, 06 Agosto 1971) ha una formazione medico scientifica, spesso impegnata in battaglie sociali e culturali soprattutto nell ambito del contrasto alla mentalità mafiosa. Vive nel profondo nord, a Cologno Monzese (MI), località tristemente nota per fatti di cronaca legati a 'ndrangheta e camorra.