La Lettera

Per ripulire la democrazia inquinata i ragazzi hanno bisogno di un giornale libero

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È abbastanza frequente che editori della carta stampata chiudano i loro giornali. Anche a me è capitato quando dirigevo “L’Avvenire d’Italia”, e oggi si annuncia una vera e propria epidemia a causa della decisione del governo di togliere i fondi all’editoria giornalistica. Ma che chiuda Domani di Arcoiris Tv, che è un giornale on line, è una notizia …

La Lettera

Domani chiude, addio

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L’ironia di Jacques Prévert, poeta del surrealismo, versi e canzoni nei bistrot di Parigi, accompagna la decadenza della casa reale: Luigi Primo, Luigi Secondo, Luigi Terzo… Luigi XVI al quale la rivoluzione taglia la testa: “Che dinastia è mai questa se i sovrani non sanno contare fino a 17”. Un po’ la storia di Domani: non riesce a contare fino …

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Teatro bene comune per il palcoscenico di dopodomani

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Teatro Municipal - Foto di Elton Melo

“Non si può bluffare se c’è una civiltà teatrale, ed il teatro è una grande forza civile, il teatro toglie la vigliaccheria del vivere, toglie la paura del diverso, dell’altro, dell’ignoto, della vita, della morte”. Parole di Leo …

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Il governo Berlusconi non è riuscito a cancellare l’articolo 18, ci riuscirà la ministra Fornero?

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Il governo Monti ha perso il primo round con Susanna Camusso che fa la guardia alla civiltà del lavoro, fondamento dell’Europa Unita. Sono 10 anni che è morto Marco Biagi, giuslavorista ucciso dalle Br. Si sentiva minacciato, chiedeva la scorta: lo Scajola allora ministro ha commentato la sua morte, “era un rompicoglioni”. Rinasce l’odio di quei giorni? Risponde Cesare Melloni, …

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È uno dei grandi architetti che ha disegnato il futuro. Quando ha inventato la capitale del paese in uno spazio desolato, quei palazzi sono stati riprodotti in ogni parte del mondo. La Mondadori di Milano non è altro che l’edificio delle poste della capitale brasiliana

A 103 anni Niemeyer inaugura il suo ‘Palazzo del Futuro’. Ha inventato Brasilia “ma non voglio vivere in un posto così lontano dal mare di Copacabana”

20-12-2010

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Rio de Janeiro – Ha compiuto 103 anni e li ha festeggiati inaugurando la sua ultima sfida al cielo: un palazzo che riprende le onde del mare della sua Copacabana. Ragazze sorridenti spingono la carrozzina dove è seduto, occhiali neri, sorriso stanco. Alza gli occhi verso la sua ultima creatura: piccoli piatti che attraversano il cielo. «Questo è il futuro che ho sempre inseguito. Forse l’ho raggiunto, ma non ne sono completamente soddisfatto. Vorrà dire che riprovo con un altro palazzo».

Niemeyer ha cominciato ad inventare il futuro cinquant’anni fa quando ha inventato una città nel mato più arido e abbandonato del paese, ed è nata Brasilia. Vista dall’alto, Brasilia è una scultura, come un gigantesco uccello, le ali destinate a condomini, piccolo commercio, scuole, e il corpo e la coda che vanno dalla torre della radio, futuristica negli anni 60 e oggi un po’ retrò, fino al Palácio do Planalto, il palazzo presidenziale, attraversando la spianata dei ministeri, dove si allineano i palazzoni del poteri. Tutti uguali, tranne i due simbolicamente più importanti – Affari e esteri e Giustizia – circondati da specchi d’acqua e svelte colonne di cemento. Come monumento, Brasilia è bella. E inquietante come un sogno che, poco alla volta, ha lasciato spazio ad un risveglio poco piacevole.

La città si è gonfiata senza mai crescere davvero. E’ il centro del potere di una delle grandi nazioni i del mondo, sede di una burocrazia forte e a suo modo orgogliosa. Tante università, di cui una – la Università nazionale di Brasilia –tra le migliori dell’America Latina. Le ambasciate e le organizzazioni internazionali hanno creato il mercato per high-school americane e negozi di vini italiani, formaggi francesi, televisori ultrapiatti giapponesi. Tanti centri commerciali, ma pochissime librerie, pochi cinema, quasi nessun teatro. Manca un centro in cui camminare o fermarsi a bere un caffè: tutto è a misura di automobile. Il week-end è un deserto. Chi può, prende l’ultimo aereo il venerdì sera per fuggire in una città “normale”. Chi resta, passa le giornate nei club con un po’ di verde e qualche piscina che abbondano nei dintorni.

Ma questa è la Brasilia che gira intorno al potere. Poi, c’è il Brasile vero, che fa sentire sul collo il fiato pesante della miseria e della violenza. Favelas disperate da cui si scorge l’enorme bandiera gialla e verde che garrisce al vento davanti al palazzo presidenziale. E attorno, cintura, che spaventa, le cosiddette “città satelliti”, non differenti né meno violente delle periferie di San Paolo o Rio de Janeiro. Cosa ne pensa il grande vecchio che ha inventato una città così?

Professor Niemeyer, lei a Brasilia ci vivrebbe?

Seduto al suo tavolo di lavoro, in una piccola stanza spoglia coperta di libri, Oscar Niemeyer riflette a lungo prima di rispondere. Siamo all’ultimo piano di un edificio da lui progettato, dalle finestre che coprono l’intera parete si scorge il mare e l’immensa e dolce curva della spiaggia di Copacabana. Rio de Jameiiro, naturalmente. Niemeyer è probabilmente il maggior architetto vivente, autore di centinaia di progetti che hanno fatto epoca, dalla sede dell’Onu a New York a quella della Mondadori a Segrate, passando per università, teatri, centri commerciali, alberghi, chiese e moschee sparse ai quattro angoli del mondo. Ma Brasilia, la futuristica capitale voluta dal presidente Juscelino Kubitschek come simbolo di un Paese che avrebbe dovuto trasformarsi in una grande potenza, è senza dubbio il suo capolavoro. E Niemeyer, a 97 anni assai ben portati, non è uomo che ami mettere in discussione se stesso. Non risparmia parole dure contro «i cretini» che sanno solo criticare Brasilia per essere diventata un invivibile calderone dove gli spettacolari edifici in cemento e cristallo convivono gomito a gomito con favelas disperate. Difende la sua opera, Niemeyer, «la migliore città moderna che esista in tutto il mondo». Ma alla fine lo ammette, a voce bassa. «No – dice – se non amassi il mare e non vivessi a Rio, vorrei abitare in una cittadina di provincia, nel nord-est brasiliano o magari in Italia, non a Brasilia: sceglierei una di quelle cittadine che non hanno più di 200mila abitanti, dove la vita è migliore, le persone si conoscono, si aiutano, dove tra la gente esiste ancora un po’ di solidarietà».

Il problema, spiega Niemeyer, riguarda tutte le metropoli, non appena Brasilia con i suoi 2 milioni di abitanti stipati in un’area progettata per ospitarne 500mila. «Hanno lasciato che le città crescessero senza controllo e la gente ora soffre, soffocata dal traffico, senza quasi più rapporti umani». Per il futuro Niemeyer è pessimista: «Sarà difficile migliorare la situazione. quando si è costretti a costruire qualcosa, un viadotto ad esempio, per alleviare un problema specifico, si creano altre cicatrici nel tessuto urbano, favorendo nuove esplosioni di aggressività e di violenza. E cosa offre una grande città più di un piccolo centro? Teatri, cabaret, concerti: cose che sono importanti in un periodo delle nostre vite, ma che poi perdono significato».

Come spezzare il cappio del cemento?

Il problema non è il cemento in sé. Quando si costruisce un edificio isolato, la forma esterna, la bellezza è importante. Ma in genere, bisognerebbe riconsiderare la costruzione di nuovi, enormi edifici per abitazioni, che fanno aumentare la densità della popolazione nelle città, moltiplicando ogni tipo di problemi.

Suona come un’autocritica, professore. Nel centro di San Paolo, per dirne una, lei ha progettato il Copan, un edificio molto bello ma gigantesco, dove vivono quasi 4000 persone, uno vero simbolo dell’urbanizzazione selvaggia.

Credo che oggi non progetterei più un edificio simile. Nelle città antiche esisteva una certa unitarietà urbana, un’armonia. Oggi, nella confusione di una metropoli, un architetto può anche disinteressarsi di quello che c’è intorno al nuovo edificio che sarà costruito: ma è una cosa terribile, per la città e per l’architettura. A Brasilia, almeno, questa unitarietà ancora esiste.

In molti sostengono che Brasilia sia fatta a dimensione di automobile, costruita in modo da rendere difficili i rapporti sociali, una cittadella del potere lontana più di mille chilometri dai grandi centri urbani del Paese e, quindi, dai suoi movimenti sociali. È d’accordo?

Ritengo che Kubitschek abbia avuto una grande intuizione: voleva portare lo sviluppo nelle regioni interne del paese e, grazie a Brasilia, c’è riuscito. Quanto alle auto, proprio per le sue dimensioni la città non ne èÈ soffocata. Questo, comunque, È un problema relativo all’impianto urbanistico, opera di Lucio Costa e di cui preferisco non parlare. Come architetto, ho avuto la massima libertà per fare le scelte che ritenevo giuste. Ma sono un comunista, e so bene che Brasilia non è una città del futuro, perché è stata costruita in un regime capitalista, in cui la ricchezza di pochi si basa sulla povertà di molti. La vera città del futuro, quando sarà possibile costruirla, avrà altre basi, sarà più umana, più orizzontale, più ugualitaria.

Lei è sempre stato e continua a definirsi con orgoglio comunista. Come visse questa contraddizione tra la libertà creativa offertale da un presidente conservatore come Kubitschek e la sua visione ideologica?

Devo confessare che mi lasciai ingannare. La costruzione di Brasilia È stata un’avventura meravigliosa, il più bel periodo della mia vita: tecnici ed operai lavorando, mangiando, divertendoci insieme. Pensavo, speravo, che stessimo creando non appena una città ma l’embrione di una nuova società. Ma il giorno dell’inaugurazione arrivarono i vecchi politici, gli uomini del denaro, i potenti di sempre, e Brasilia divenne la loro. Molti operai andarono via, altri rimasero: tutti più poveri di quando erano arrivati.

Oggi rifarebbe Brasilia così com’è, senza cambiare nulla?

Forse cambierei qualcosa. Ma quando si va a Brasilia, anche se si pensa che questo o quell’edificio sia uno schifo, bisogna ricordare che l’intera città fu costruita in appena tre anni e mezzo. Il progetto del teatro, ad esempio, lo preparai nel giro di tre giorni, durante un Carnevale. Insomma, bisognerebbe essere più generosi in relazione a questa città. E poi, col passare degli anni il progetto originale È stato più volte manipolato e stravolto.

Secondo alcuni critici dell’arte, più che degli edifici, lei ha costruito delle vere e proprie sculture di cemento, esaltando le forme a scapito, talvolta, della funzionalità dei progetti.

Cerco di fare delle cose belle, e quindi ovviamente la forma plastica mi interessa. Come scrisse una volta Baudelaire, “l’inatteso, l’irregolarità e la sorpresa sono parte essenziale della bellezza”. L’architettura deve causare impatto. Proprio per questo sono d’accordo con Le Corbusier, a cui devo molto e con cui lavorai alla fine degli anni ’30, che sosteneva che il funzionalismo era nemico dell’immaginazione e che la Bauhaus era il paradiso della mediocrità, in cui si imparavano regole che tutti poi potevano seguire. Alcuni anni dopo, nel mio primo progetto importante, la costruzione del quartiere di Pampulha nella città di Belo Horizonte, ignorai deliberatamente l’angolo retto ed i precetti del razionalismo allora imperante per cominciare a sperimentare il mondo di curve e di linee rette apertoci dall’uso del cemento armato. Allo stesso modo, non sopporto il post-modernismo, con la sua ripetizione senza fine degli stessi modelli e degli stessi edifici, questa volta ornati con dettagli gratuiti di un’architettura vecchia e superata. La forma è importante, essenziale. Ma dire che i miei progetti non siano funzionali per l’uso a cui sono destinati è del tutto senza fondamento. Sono molto fiero, ad esempio, della sede della Mondadori. Si è rivelata perfetta per ospitare gli uffici della casa editrice ed è un bell’edificio, con le colonne di sostegno del tetto all’esterno, disposte ad intervalli irregolari, come in una forma di armonia musicale.

Pensa di star lasciando degli eredi professionali?

No, anche se ci sono degli amici che hanno lavorato con me e seguono la stessa linea. Io ho solo cercato di fare l’architettura che mi piace, senza paura di sperimentare e di sbagliare. Certo, i miei lavori hanno inspirato alcuni colleghi più giovani, ma un architetto deve essere creativo, saper disegnare, inventare, mai copiare. Quelli che rinunciano alla creatività per seguire una scuola sono solo numeri che si aggiungono ad altri, senza alcuna importanza.

Quale sarà il futuro dell’architettura?

Come sempre, evoluirà in funzione del progresso della tecnica e dei cambiamenti sociali. Se il mondo si modificasse e prevalesse l’interesse comune, si darebbe più attenzione alle grandi opere di carattere popolare, anche se in ogni caso sono altre cose – le cattedrali, i monumenti, alcuni edifici – che segnano il progresso dell’architettura. Vedremo cosa succederà.

Quando Brasilia fu completata, nel 1960, il Brasile era considerato il Paese del futuro, la rivoluzione cubana aveva appena vinto e nessuno avrebbe mai potuto immaginare che un giorno l’Unione Sovietica potesse cessare di esistere. Lei si dice ancora comunista. Ma è ancora fiducioso, professore?

Sì, credo che un giorno le cose miglioreranno. E’ vero, non esiste più l’Urss, ma il comunismo è ancora vivo, perché fin quando ci sarà miseria da combattere, là ci sarà un comunista. Ci sono stati incidenti di percorso, molti errori, nell’Est europeo la gente si è lasciata attrarre dal miraggio del capitalismo. Ma la storia non si ferma. Ci saranno altre rivoluzioni, e quella cubana ancora non È stata ancora sconfitta e non sarà facile farlo: loro oggi sono un esempio di resistenza per tutto il mondo. Ed il Brasile è un grande Paese, prima o poi le cose andranno meglio anche qui.

Lula, un operaio, un sindacalista, è diventato presidente del Brasile. Non è un fatto storico?

Quando mi chiedevano cosa pensassi di Lula prima della sua elezione, ho sempre risposto che, per me, c’erano solo due nomi di sinistra per la presidenza della repubblica, Leonel Brizola (un grande leader popolare, ex governatore di Rio de Janeiro e del Rio grande do Sul, morto nel 2004, ndr) e João Pedro Stedile (leader del Movimento dei lavoratori senza terra, ndr): pensavo che avevamo bisogno di persone con voglia di litigare, di menare le mani. Ma Lula è una persona onesta, la sua politica estera è buona, bisogna dargli tempo per lavorare. Senza di lui, sarebbe peggio.

Alla sua età è tempo di bilanci.

Sì, e mi sono convinto che l’architettura non è poi così importante. Quello che conta è la vita, fare ciò che si vuole e si sente, conservando il tempo per poter incontrare le persone care, leggere, scrivere, capire come va il mondo, star bene con se stessi. Quello che è triste è guardarsi indietro e accorgersi di quanti amici e compagni non ci sono più. Quando fu eletto presidente, Salvador Allende mi invitò ad andare a lavorare in Cile, ma avevo degli impegni in Europa e non potetti accettare. Poi venne il golpe, e lui fu ucciso con il mitra in pugno, lottando. Questa è la gente che conta nella storia. Io so solo disegnare bene.


Giancarlo Summa, rappresentante Onu per il Brasile in America Latina.

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