Da qualche anno trascorro molte delle mie domeniche pomeriggio al Pratello, storica zona di Bologna, nota per la movida serale, dove ha sede anche il carcere minorile. Non sto però in strada con un bicchiere in mano. Passo da Piazza San Francesco e mi infilo in vicolo De’ Marchi. L’ingresso dell’Istituto Penale Minorile è discreto. Si suona e ti aprono. Fin qui è facile.
Poi però devi lasciare tutti i tuoi effetti personali; si mostrano i documenti; si contano uno ad uno i materiali che si utilizzeranno con i ragazzi: quanti pennarelli, quanti fogli… Ci vogliono permessi speciali per portar dentro le forbici con la punta arrotondata che usano i bambini. Sono gesti quasi buffi visti da fuori, assurdità burocratiche, eppure sono quei gesti che ti ricordano dove sei.
In carcere tutto ha un peso. E con quel peso si entra. Mi piacerebbe dire che poi si esce leggeri, ma non è così. Almeno non sempre. Mi chiedo e mi chiedono spesso perché io faccia volontariato, servizio, in carcere. Perfino i ragazzi del Pratello ci domandano come mai passiamo del tempo con loro. Il carcere è un luogo pieno di ambiguità; lo è per sua natura, e di conseguenza anche il nostro modo di viverlo non può essere lineare.
I detenuti hanno commesso reati, più o meno direttamente hanno fatto “vittime”, e per esse è giusto avere rispetto; i detenuti sono ragazzi con passati e presenti difficili, è vero, ma che hanno sbagliato. Non tutte le persone in difficoltà sbagliano. Il carcere per me è un luogo di fede, passatemi il termine: di fede nell’Umanità. Io con l’Umanità ho voglia di confrontarmi. Ho voglia di confrontarmi con l’Umanità in ogni sua forma.
Un carcere rispecchia quello che è il senso di Giustizia di una comunità. La Giustizia che non è la Legge. La Legge può essere imperfetta, può essere fatta ad hoc, può perfino sbagliare. La Legge punisce i ragazzi e suscita in loro rabbia e rassegnazione. Una Giustizia che sia tale quei ragazzi li tutela. Quella Giustizia CI tutela.
Non sarei onesta se dicessi che chiunque può dedicarsi a questo tipo di volontariato. Bisogna saper convivere con i tanti volti del carcere. Si deve saper lavorare con persone che hanno ruoli diversi e ben distinti: ci sono gli agenti, gli educatori, la Direttrice. Ci sono gli altri volontari e ci sono gli ospiti dell’I.P.M. che vengono da città e paesi lontani.
Capita, soprattutto durante le festività, che ci facciano compagnia gli scout, gli studenti universitari, i gruppi parrocchiali. È importante che i ragazzi del Pratello abbiano la possibilità di entrare in contatto con ragazzi, ragazze e adulti che testimoniano modi di vivere che loro non conoscono.
Non tutti dunque possono entrare in carcere. Sbirciarci dentro però dovrebbe essere sentito come un diritto e un dovere.
Forse nasce per questo l’Associazione Uva Passa; perché da una finestra aperta si può guardare anche “dentro”. Ciò che da sempre ci guida, in questo miscuglio di Umanità, è la volontà di creare con i ragazzi relazioni “gratuite”, mostrare loro come sia possibile “il nulla per nulla”. Il “come riuscirci” è tutt’altro che semplice. Bisogna inventare ogni volta delle attività nuove. E si sa che gli adolescenti sono un po’ “fannulloni”, che rifiutano qualsiasi proposta a prescindere.
Sì, perché stavo dimenticando la cosa più importante. Sono ragazzi quelli che vivono nel carcere, simili in modo sconvolgente ai nostri fratelli, ai nostri cugini, ai nostri figli: stanno sempre con l’iPod nelle orecchie (anche se ascoltano musiche dalle sonorità, per noi, alquanto esotiche), non vogliono leggere, parlano di ragazze, pensano a quando si faranno il prossimo tatuaggio; c’è perfino chi non scende all’ora d’aria perché sta facendo i compiti di scuola; qualcuno pensa al futuro, molti altri se ne infischiano…tutti, anche se ognuno a suo modo, inseguono la felicità.
Tutto però non finisce in una quotidianità tra le sbarre da far passare nel modo più indolore. Anzi. Si cerca di pensare anche al dopo carcere: perché il “rinchiudere” chi sbaglia abbia senso, bisogna poi sapergli dare la possibilità di vivere al meglio l’essere libero. Così, passeggiando per via del Pratello, questa volta anche con un bicchiere in mano, un occhio attento potrà scorgere la piccola bottega di Lavorare Stanca, gestita da Uva Passa. Sui suoi scaffali si possono trovare alcuni oggetti realizzati dai ragazzi del Pratello e i cui proventi – poche centinaia di euro all’anno – sono interamente ridistribuiti ai ragazzi o utilizzati per le attività dell’Associazione. Prima di ogni altra cosa, infatti, la bottega è una delle finestre per chi passa di là, per guardare dentro al carcere.
Negli anni passati alcuni ragazzi dell’Ipm, nella bottega, hanno potuto svolgere delle ore in borsa-lavoro, sperimentare la libertà, incontrare coloro che si affacciano alla finestra. Le difficoltà dei volontari per coprire i turni in negozio sono molte, ma speriamo che qualcuno un giorno, passando da quelle parti, si accorga che quella finestra, sotto sotto, è pure una porta.
[dal n.38 della rivista “Il Mosaico”: www.ilmosaico.org]
Chiara Storti opera nell'Associazione Uva Passa, nata nel 2006 per iniziativa di un gruppo di volontari con esperienza pluriennale all'interno del carcere minorile del Pratello, a Bologna. Si occupa in generale di disagio minorile e, nella pratica, opera sia all'interno dell'Istituto Penale Minorenni "Siciliani" sia all'interno della comunità per minori del "Villaggio del Fanciullo".