Tegucigalpa – “Le Femministe in Resistenza dell’Honduras non si arrendono. Escono tutte le notti per fare attacchinaggio sui muri di una città che si trincera dopo le otto del pomeriggio; dibattono su come continuare la lotta, quali strade sono convenienti per il popolo, che debolezze comporta l’aver scommesso sulle politiche pubbliche per la rivendicazione dei propri diritti rinunciando alla propria autonomia, che pericoli può nascondere la formazione di “leaders” per un movimento che è nato dall’orizzontalità di tutte le donne.
Accompagniamo loro e gli uomini della resistenza in una marcia per il diritto all’aborto libero e gratuito in tutta l’America Latina, inteso come il diritto ad esercitare la libertà sui nostri corpi e sui nostri progetti di vita. Senza diritto all’aborto non c’è etica in quanto non c’è opzione per la buona vita, opzione per viverla bene, nel decidere su ciò che possiamo considerare un bene o un male.
Anche le artiste e gli artisti lavorano quotidianamente, recitano poesie, dipingono le strade, cercano di raccogliere le immagini della resistenza, della repressione, delle espressioni creative di un popolo di lotta. Portano chi carote, chi patate, chi sedano, chi pezzi di carne alle madri dei quartieri che alimentano con le loro minestre popolari questa resistenza che non riconosce nessun diritto di rappresentanza al governo di Porfirio Lobo.
E che dire delle studentesse e degli studenti: le loro marce vengono proibite, vengono proibite prima di cominciare, ma queste ragazze escono in strada con i loro canti, i loro corpi fatti per sorridere a chissà quale ragione, ma a una ragione ribelle.
In questo paese dove il dibattito sulla non violenza è veramente molto alto –non stucchevole buonismo, ma preoccupazione per la vita delle/degli integranti della resistenza, dei sindacati, dei comitati di quartiere, che si prende la responsabilità di definire che cosa sia l’autodifesa in assemblee dove tutte e tutti hanno la parola – vanno in piazza a lottare contro la polizia armati di pietre e bastoni; per due volte scacciati dall’università ma la terza volta sono stati sconfitti proprio della rettrice che li aveva chiamati (e qualcuno dei nostri brillanti filosofi e amici, come Ramón Romero, l’hanno assecondata).
Il giorno dell’Indipendenza del Centroamerica, che si festeggia il 15 settembre, un gruppo musicale, i Café Guancasco, doveva tenere un concerto a San Pedro Sula. Sono dei musicisti di estrazione popolare, eccellenti, che hanno un sacco di ammiratori e che interpretano i sentimenti di settori molto diversi della popolazione: contadini, operaie della “maquila”, muratori, casalinghe. Prima dei loro concerti prendono la parola i poeti, le attrici e gli attori che leggono poesie o brani di opere commoventi, bambine e bambini che salgono sul palco per mostrare e spiegare i loro disegni. Su questo scenario pacifico e festoso, la polizia è arrivata a sparare più di mille cartucce di gas lacrimogeno, uccidendo per soffocamento un vecchio, e hanno spaccato strumenti e altoparlanti oltre alla mano di un musicista, secondo una prassi iniziata un anno fa quando hanno cominciato a rompere le mani agli studenti di chirurgia che avevano dimostrato simpatia per la Resistenza al Golpe (lo avranno imparato da quei conquistadores che nel nord del Messico, nel secolo XVI, tagliavano il dito pollice agli indios chichimecas per impedire loro di tendere gli archi? Uccidere i contadini è un modo di continuare l’impresa di occidentalizzazione forzata dell’America?).
Con questo stesso sistema di arrivare a colpire per seminare morte e sconcerto, meno di un mese prima, dopo una manifestazione di artisti e intellettuali a favore della resistenza e di una manifestazione di appoggio alle contadine e ai contadini del Consiglio di Anziane e di Anziani del Popolo Lenca, alle poetesse e cantanti femministe, la polizia ha fatto irruzione in un quartiere e ha sparato contro 18 muratori, tutti giovani, tutti impegnati nel loro quartiere, per poi dare la colpa ai delinquenti delle “maras” (Salvatruchas, M18, non ha importanza, comunque presunti integranti di quelle bande di delinquenti ritornate in Centroamerica da Los Angeles, California, dove sono stati addestrati dal FBI contro i gruppi di chicanos antirazzisti, alla fine della guerra di liberazione nazionale, agli inizi del 1990). In tutta l’America Latina e in Messico principalmente, sappiamo che fabbricare dei delinquenti come colpevoli di tutti i mali della nazione ha molte implicazioni politiche.
L’Honduras insegna, insegna molte cose. Discutere su cosa sia un popolo nella sparizione dello stato-nazione, cosa sia la repressione di una volontà politica, cosa sia la resistenza politica pacifica, apprendere ad ascoltare tutte le voci, ad analizzare cosa metta a rischio il cambiamento delle alleanze economiche per una regione (per esempio lasciare il Sistema di Integrazione Centroamericano, un organo collegiale che richiede la presenza di tutti i membri dell’unione centroamericana nella Organizzazione degli Stati Americani per poter chiedere soldi al Fondo Monetario Internazionale, alla Cooperazione Europea, o a qualsiasi organismo internazionale –sarà per questo che Funes, il presidente del Salvador, pretende di far riconoscere, riconoscere, riconoscere il golpista Porfirio Lobo in modo che sia riammesso all’OSA?- a favore dell’ALBA, sistema di integrazione latinoamericana che si basa sullo scambio di beni necessari nella regione); infatti, dibattere, ascoltare e analizzare sono strumenti di una nuova politica, una politica che rivoluziona l’idea di una direzione unitaria e autoritaria, partitica, di un movimento. Una cosa che le vecchie e i vecchi marxisti dogmatici dovrebbero imparare a rispettare e a riconoscere.
[traduzione di Alessandra Riccio]
Francesca Gargallo, filosofa, scrittrice e attivista femminista di origine italiana, vive in Messico dove insegna all’Università. È andata in Honduras per partecipare alla marcia per il diritto all’aborto libero e gratuito in tutta l’America Latina e ha voluto far conoscere in che condizioni si vive in Honduras dopo il colpo di Stato contro il Presidente eletto Manuel Zelaya e dopo le illegittime elezioni che hanno portato Porfirio Lobo alla Presidenza della Repubblica.