Lady Fujimori
Quando ha cominciato la campagna elettorale prometteva di liberare il padre (in carcere per delitti contro l’umanità). Sta sfumando il programma appoggiata da Garcia (presidente che decade) e dai notabili economici del paese. Ollanta Humala, leader della sinistra (fino a qualche giorno fa favorito) rischia la poltrona sulla quale lady Fujimori è convinta di potersi sedere.
Complesso di Elettra
Occorre attualizzare l’immaginario classico, siamo nel 2011! Cosa ne facciamo del concetto di “maschio salvatore” e di quello di “femmina vittima riscattata”? Nella realtà, la grande speranza dei criminali sotto chiave, sono i “pezzi ‘e core”. Se donne, forse sono ancora più astute. Nel 1912, Jung coniò il concetto di “Complesso di Elettra” (“papitis” nel linguaggio popolare peruviano). Verso i 3 anni, la bimba può invaghirsi del padre ma deve fare i conti con chi se l’è intortato per prima: la madre. Digerire la prima sconfitta sentimentale della sua vita l’aiuterà ad accettare i ruoli familiari e generazionali, e a scoccare freccette amorose verso un compagno della scuola materna: quello lì, per esempio, con l’irresistibile sorriso senza quattro denti da latte.
Ecco, in Keiko Sofìa Fujimori Higushi, figlia dell’ex dittatore peruviano Alberto Fujimori e della ex moglie e congressista Susana Higushi, il complesso di Elettra non è stato risolto in forma naturale. Nei primi anni ’90, Susana Higushi denunciò il coniuge Fujimori per corruzione, venendo torturata dai servizi segreti come risposta. A seguito del turbolento divorzio dei genitori, Keiko scelse di stare dalla parte del padre. Per sempre. Ai 35 anni, sta flirtando con la presidenza del Perù nell’imminente ballottaggio del 5 giugno. è una congressista che propone leggi severe contro i delinquenti, ma farà di tutto per riuscire a riscattare lui, condannato a 25 anni di prigione per corruzione, violazione di diritti umani (che includevano sequestri e massacri) e crimini contro l’umanità. Ti salvo io, paparino.
Ollanta Humala
I Perù
In Perù (come in tutta la regione andina del Sud America), le secolari stratificazioni socioeconomiche ereditate dalla Conquista tendono ad assumere caratteri “razziali”. In linea generale, si potrebbe scommettere sulla condizione agiata di chi è bianco o “clarito”, e viceversa su chi è indigeno. I primi popolano Lima, i secondi, il chiamato “Perù profondo”. La povertà nel paese è la disuguaglianza sociale, non una percentuale astratta sui quasi 30 milioni di abitanti.
Secondo l’INEI (Instituto Nacional de Estadìstica e Informàtica), la povertà è concentrata nelle zone rurali, – ossia Ande e Amazzonia (totale 64,6%) – rispetto a quelle urbane (25,7%). Un abisso di opportunità di lavoro, servizi pubblici, qualità delle infrastrutture e condizioni di sicurezza, separa la capitale da tutto il resto, il mondo delle province. Dietro discorsi nazionalisti o sviluppisti, i governi succedutesi dagli anni ’90 hanno celebrato il Verbo neoliberale. Privilegiando il progresso urbano e strangolando l’agricoltura nazionale.
Il boom economico collegato al prezzo dei minerali
Concependo l’Amazzonia (che occupa il 60% del territorio nazionale) come ottima per il saccheggio forestale e le svendita di petrolio a multinazionali con contratti leggeri in responsabilità e succosi in profitti, senza la pesantezza di tasse e negoziazioni con comunità indigene per la spartizione del profitto. E le Ande come El Eldorado per la compagnia Yanacocha (multinazionale peruviana-Buenaventura, statunitense-Newmont e International Financial Corporation, della World Bank Group e affini), che sfrutta la più grande miniera d’oro del Sudamerica.
Il Perù è tuttora il primo produttore d’oro in America Latina e il sesto a nivello mondiale. Quinto produttore mondiale di rame, conta ancora con grandi riserve di argento, zinco e piombo. Secondo l’organizzazione Minerìa del Perù, le esportazioni di minerali hanno subìto un’impennata anche del 60% nell’ultimo anno, grazie alla domanda dalla Cina. Rappresentano la metà delle esportazioni totali. I profitti di imprese come Antamina, Southern Perù, Cerro Verde, Consorcio Minero, e più di 50 altre multinazionali, sono stellari. Ma anche quelli della compagnia cinese Shougang, che ha registrato una crescita record del 214% nel valore delle esportazioni, grazie al miglior prezzo del ferro.
Le priorità del modello economico centrato sulle esportazioni
Le multinazionali, grazie a trattati con i governi neoliberali di turno, risparmiano sui “requisiti ambientali”. E´un boom economico che mira al record dei profitti, non alla redistribuzione della ricchezza e tanto meno alla protezione della salute di chi vive vicino alle miniere. Un caso emblematico è quello della città mineraria di La Oroya, dove, secondo studi scientifici, il 75,2% dei neonati ha 6-10 grammi di piombo per decilitro di sangue (5 grammi di piombo per decilitro sono sufficienti per correre un grave pericolo di salute). Nel 2007, la Commissione Interamericana ha condannato lo Stato peruviano per violazione dei diritti umani degli abitanti di La Oroya. Ma intanto la sequenza non cambia: prima i dollaroni, infine i diritti ambientali e la salute dei meno abbienti.
Il bottino elettorale di Lima
Lady Fujimori rappresenta la continuazione di questo modello, Ollanta Humala invece ha proposto di nazionalizzare il patrimonio minerario peruviano e di investire in sviluppo umano locale con i relativi proventi. Ecco perché la Borsa di Lima detesta il suo nome. Questo indirizzo economico neoliberale ha radici in una razionalità occidentale, modernizzante, sbrigativa nel suo efficientismo quantitativo e del tutto insensibile a livello antropologico. Fatta da bianchi, per bianchi.
Secondo la rivista Caretas, non è un caso se i sondaggi attribuiscono le preferenze di voto dei “settori socioeconomici A e B” a Keiko Fujimori, e quelle dei “settori C, D e F” a Ollanta Humala. Anche se 16 su 25 regioni del “Perù profondo” hanno determinato il vantaggio di “Gana Perù” (partito di Ollanta) al primo turno, si tratta di regioni scarsamente abitate. “Il trionfo elettorale si decide a Lima metropolitana”, perché, questa, da sola, ospita quasi la metà della popolazione nazionale. Essa ama lo spettacolo di luci e grattacieli in cui rispecchia l’ambizione di “superarse”, tagliare col passato di stenti e trionfare nel mondo globalizzato.
L’ombra del dittatore sulle elezioni
Per chi ha amato Fujimori, la sua memoria potenzia la fortuna della figlia, una paffuta e telegenica ragazzotta. Ollanta si è impegnato nel maturare una immagine slegata dal passato ambiguo di militare durante la guerra sporca degli anni ’90, e dai folklorismi di un discorso iniziale radicale, al punto di guadagnare consenso internazionale. Secondo “La Repùblica”, il PT (Partido dos Trabalhadores) della presidente brasiliana Dilma Rousseff ha manifestato aperto appoggio ad Ollanta Humala. “Keiko Fujimori è neoliberale, non ha nulla a che vedere con noi”, ha affermato Rousseff, definendo “uno scherzo” le sue promesse di applicare le stesse politiche sociali di Lula. Anche lo scrittore peruviano-spagnolo Premio Nobel per la Letteratura, Mario Vargas Llosa, si è schierato con Humala.
Il giornale colombiano “El Universal” segnala la sua denuncia circa una alleanza mediatica dell’attualmente al potere Partito Aprista con il Fujimorismo. La maggior parte dei media sono pro-Fujimori, finanziati da imprenditori del settore minerario assetati dei miliardi che sgorgano dall’apertura agli investimenti esteri, nel sempre più depredato suolo e sottosuolo nazionale. Lo scrittore è noto per la sua celebrazione del libero mercato, ma non a scapito dei diritti umani. Acerrimo critico delle dittature populiste, punta su Humala deglutendo perplessità per escludere il “male maggiore”.
Politiche universali o private
Il famoso sociologo peruviano Julio Cotler, ricercatore principale del Instituto de Estudios Peruanos, osserva che Humala punterebbe su politiche universali (pensioni per tutti, salute per tutti, ecc.), mentre la Fujimori proporrebbe “politiche focalizzate, confezioni private pro-giovani” come “MiCombo”, “Il mio primo lavoro”. “È la continuità economica ma con più assistenzialismo”, segnala la giornalista Rosa Marìa Palacios. Il fujimorismo non dibatte su diritti laborali e aumenti di stipendi (assolutamente proibiti dal Fondo Monetario Internazionale); al suo posto, si regalano borse di viveri, pentole, sacchi di riso e grandi sorrisi. In un recente comizio, i fan del “do ut des elettorale” di Keiko hanno ricevuto una scatoletta di fiammiferi: dentro, la sorpresa graditissima di 20 (5 euro) o persino 50 soles (13 euro). Un assaggio delle briciole che riceveranno in caso di elezione. Alleluya.
A parere di Cotler, il processo di democratizzazione sarebbe assicurato con le politiche universali, e non private. Ma questa equazione non è stata ancora tradotta nel marketing politico, non risulta ancora chiara all’elettorato. Molti votanti di classe media, piccoli imprenditori, sono travolti dalla fobia di “perdere quello che abbiamo guadagnato” in un decennio di crescita economica straordinaria nel paese (dal 5 all’8%, grazie all’aumento dei prezzi dei minerali e all’apertura al mercato con la Cina). Temono le politiche redistributive di Humala (che includono – orrore!- tassare le multinazionali) come se si trattasse di una pauperizzazione generale imposta dall’alto, per una sorta di vendetta di classe. Questa allergia ad una spartizione della torta è sintomatica di un paese dove la morte economica di molti ha determinato il trionfo di altri.
L’entusiasmo della cupola
Alla notizia dell’apparente vantaggio di Keiko su Humala nei sondaggi, Fujimori si frega le mani, eccitato all’idea di uscire presto nella prigione della DIROES (Direcciòn de Operaciones Especiales de la Policìa). Ne beneficiarà certamente anche il suo socio, l’ex capo del SIN (Servicio de Inteligencia Nacional), l’oscuro Vladimiro Montesinos, che vede passare gli anni nella Base Navale del Callao (paradossalmente, celle vicine a quelle degli ex nemici, i leaders del gruppo terrorista-polpottiano Sendero Luminoso).
Il duo Fujimori-Montesinos, padroni del Perù per 10 anni, non è esattamente sinonimo di “onestà”. Il primo, giapponese con certificato di nascita falsificato per risultare peruviano; il secondo ha cominciato la scalata politica acquistando il diploma di laurea in Giusprudenza presso un mercatino delle pulci di Lima, chiamato Azàngaro, che ti può anche vendere certificati falsi (“bamba”) di matrimonio/divorzio/verginità e defunzione, passaporti delle isole Mauritius, prescrizioni di ormoni per tramutarti da Carlos a Nancy, contratti discografici con la Sony.
Con questa laurea in legge, Montesinos ha difeso a spada tratta i suoi clienti narcotrafficanti in tribunale, diventandone quindi “compare” a vita. Una alleanza strategica per accrescere il suo potere in quanto vicino agli assassini e miliardari fantasmi della business class fra le Americhe e le Europe. Una volta al potere come eminenza grigia del governo, le efferatezze delle sue squadre della morte (come “Colina”) contro civili inermi furono il terrorismo dell’antiterrorismo. Come nel caso del sovrani inglesi nei confronti dei loro pirati, “non li conosciamo ma li rendiamo Lords”. Gli assassini professionisti, come “Kerosene” (specialità, bruciare cadaveri), venivano promossi e applauditi dal presidente Fujimori.
Se la poca stampa libera scopriva un fattaccio ad opera delle forze armate o paramilitari, inizialmente il plotone mediatico del regime accusava i giornalisti di essere “comunisti” e sospettati di complottare; la seconda versione riferiva che i civili (inclusi donne e bambini) fossero “comunisti” quindi meritevoli d’essere freddati; in caso di pressione popolare o internazionale, si svolgeva un processo-farsa per cui si accusava con un filo di voce questi cani sciolti. Appena passato lo scandalo, qualche mese dopo, amnistia generale e W la Patria e la “pacificazione”. In questo modo i mandanti riuscivano a salvare la pelle dalle accuse dei loro protetti, i killers. Quando però cadde Fujimori, arrestato in Cile ed estradato nel 2007, i paramilitari senza più padrone cercarono di discolparsi accusando chi dava loro gli ordini: chi dirigeva le operazioni, Montesinos, e l’autore intellettuale, il Presidente.
I crimini penali come “opinioni”
Keiko si destreggia abilmente in discorsi adattabili a target differenziati: è figlia coraggiosa che aiuterà suo padre vittima di una congiura, attingendo al perdonismo delle madri “abnegadas” (che sacrificano ogni cosa), autentiche icone della cultura popolare peruviana. Altrimenti, con il pubblico giovane, si dichiara politicamente orfana, con lo slogan provocatorio per adolescenti: “forse tu sei tuo padre?”.
Quando pensa di trarne un possibile vantaggio, chiede scusa per gli “errori” (non “crimini”) commessi durante il regime del padre, sgranando gli occhietti luminosi, femminile, materna. Anche i viaggi e gli studi universitari all’estero suoi e dei fratelli negli Stati Uniti e in Europa sono stati un cortese contributo del tesoro pubblico peruviano, circa mezzo milione di dollari. Al negare le responsabilità penali del genitore (fra cui il saccheggio di 6 miliardi di dollari dai fondi statali, la sterilizzazione non informata di 200 mila donne indigene e contadine, la conformazione di una mafia politica, economica e mediatica al servizio del regime, filmata nei famosi Vladivideos, ecc.), sta implicitamente garantendo la sua liberazione tramite un eventuale indulto presidenziale.
Incrociando le dita
Si dice che nessuno dei due candidati sia immune da istinti autoritari, e in questo senso, i peruviani ironizzano con un “che Dio ci becchi confessati” (que Dios nos coja confesados). Ma se lo spauracchio della destra peruviana è il venezolano Chàvez, emblema di populismo corrotto e nazionalista, i timori delle classi meno abbienti riguardano il ritorno ad un “capitalismo reazionario” (definizione di Cotler). Dove lo scettro della Chiesa cattolica ritorni in mano al cardinale dell’Opus Dei, Cipriani, noto per la sua avversione per i diritti umani e per la sua vicinanza a Fujimori. Un paese economicamente indifferente alla sorte delle province, dove l’impunità ha permesso violenze economiche e fisiche, che bruciano ancora oggi, e che inevitabilmente radicalizzano il discorso politico. Quel Perù definito dallo scienziato italiano Antonio Raimondi, come “un mendicante seduto su una panchina d’oro”.
Dove i privilegi degli imprenditori nazionali ed internazionali pesino più sulla bilancia rispetto ai diritti dei peruviani “di classe B”. Il perpetuarsi di contratti petroliferi di 40 anni nella foresta, assente ogni tipo di responsabilità ambientale; concessioni di terre a multinazionali senza consultare le comunità proprietarie; privatizzazione di ciò che può arricchire in fretta la classe al potere: acqua, foreste, terre che prima permettevano la sopravvivenza di comunità intere ora destinate ai monocoltivi di palma per il biodiesel. Svendita totale, perché domani si prende l’areo con le valigette di dollari, come fece Fujimori nel 2000. E via.
Specialista in cooperazione internazionale. Autrice di "Romanzo di frontiera" (Albatros, Roma 2011), magia e realtá delle donne latinoamericane alla frontiera Messico-USA; "In Amazzonia" (Milano, Feltrinelli, 2006); "La Ternura y el Poder" (Quito, Abya Yala, 2006); "Una canoa sul rio delle Amazzoni: conflitti, etnosviluppo e globalizzazione nell'Amazzonia peruviana" (Gabrielli Editore, Verona, 2002); co-autrice di "Prove di futuro" (Migrantes, Vicenza, 2010).