La nave dei diritti, così l’abbiamo battezzata. L’idea nasce nel giugno 2009 a Barcellona, dove vivono 20 mila italiani, cresciuti di numero rapidamente negli ultimi anni. Il desiderio è quello di provare a reagire di fronte a quello che si legge e si sente avvenire nella nostra terra. Il tentativo di uscire da uno stato di spettatori, muti e increduli, prima sorridenti, poi via via preoccupati, persino angosciati. Farci vedere, farci sentire, dire che ci siamo. E dirlo prima di tutto a coloro che sappiamo resistono in Italia, che si dimenano su un terreno friabile, a volte affondando nelle sabbie mobili.
È un gesto che vuole essere forte, carico simbolicamente. Per quello arriva lentamente, con quel mezzo che spesso nella nostra storia ha portato gli italiani lontano dal loro Paese. Per quello ci si muove nel mare Mediterraneo, colmo di contraddizioni e di tensioni nascoste, tenute nascoste. La nave, di linea, tra l’altro arriverà da Tangeri. Altra bella sorpresa. Incontreremo tanti uomin. Sì, perché sono soprattutto uomini, che fanno avanti e indietro con le loro mercanzie, con le loro speranze e fatiche. Quei fortunati che hanno quel pezzo di carta da far vedere alla polizia e non devono salire su barconi o gommoni.
Gli italiani all’estero sono tanti, non sono solo i cervelli che scappano. Sono giovani e famiglie intere. Eppure questa nave, che vuole ricordare la nostra costituzione, i diritti che si erano conquistati, i diritti che sono ancora scritti, i diritti che si stanno calpestando. Se lo stato sociale è attaccato in tutta Europa, da noi la dismissione grida ancora più vendetta, perché parte da una situazione che era di esempio per molti. Pensiamo alla scuola pubblica, allo statuto dei lavoratori, alle leggi sull’integrazione dell’handicap, alla chiusura dei manicomi.
L’Italia è un Paese curioso, ancor più visto da fuori. Un Paese che a livello culturale è stato per secoli una miniera, ma il Paese che ha partorito fascismo e mafia. Tutto e il contrario di tutto. O quasi. Sappiamo che può risorgere da quello stato di catalessi in cui 30 anni di crescente potere televisivo lo ha calato.
Sappiamo che non sarà né facile né veloce.
La cosa straordinaria è che intorno a questa idea de LO SBARCO si sono aggregate decine di persone, molto diverse tra loro, con età e storie differenti, ma con la voglia di condividere lo spirito espresso nel nostro Manifesto. Un gruppo a Bruxelles formato ora da decine di giovani è attivo già da mesi e ci raggiungerà a Barcellona. A Genova, dal 31 dicembre, data del nostro primo incontro, intorno a Haidi Giuliani e Don Gallo, si è formato un coordinamento per l’accoglienza formidabile, che sta lavorando febbrilmente. Nessuno può farlo a tempo pieno, nessuno è pagato per questo. Non abbiamo chiesto alcun finanziamento, non ci siamo nemmeno costituiti in associazione. Eppure la sindaco di Genova ci ha già ricevuto, ha colto l’entità dell’evento, la portata del messaggio e le potenzialità della due giorni.
Altri gruppi si sono formati a Parigi, Milano, Roma, ma si stanno formando a Napoli, Firenze, Torino, mentre generosamente alcuni amici testardi stanno cercando di coinvolgere sardi e siciliani, e non è facile. Ma nulla è stato facile in questa impresa, che in molti hanno definito matta, impossibile: “Ma come? Senza un partito o un sindacato dietro, come fate?” Forse ce la faremo proprio per quello.
Le discussioni interne sono vivaci, ma se ne esce sempre con la convinzione di andare avanti, con l’obiettivo di crescere di numero, di far sapere la cosa, di inventare forme di comunicazione che sveglino, che colpiscano positivamente, che facciano innamorare. E in molti si sono innamorati del progetto. Filmmaker, fotografi, stanno già lavorando allo sbarco. Testimonianze, spot, interventi, si incrociano con musiche, teatro, performance. Striscioni scritti in più lingue, magliette stampate, spedite, vendute. Spillette, tazze, borse… E poi i diritti: se a Barcellona ne avevamo centrati 5 come le dita di una mano di una foto bellissima che vi giriamo, cinque classici: lavoro, casa, salute, istruzione, cittadinanza. A Genova nelle cinque piazze tematiche che ci saranno la domenica troveremo: “PACE, DIFFERENZA, LAVORO, AMBIENTE, SAPERE E BELLEZZA”. Ma va bene, diciamo noi, poi incastreremo il tutto. Qualcosa si esclude? Uno esclude un altro? No, ci stringeremo, ci staranno tutti.
Nelle prossime settimane qui a Barcellona ci saranno incontri sui diritti, sulla storia italo-catalana che ha visto rifugiarsi alternativamente gli uni presso gli altri. La terra che ha visto accogliere le brigate internazionali (Garibaldi, guarda a caso…), mentre gli aerei fascisti bombardavano. Non vi sono contraddizioni nel resto d’Europa? in Spagna? A Barcellona? Ma certo che ci sono, eccome. Ma in questo momento la crisi culturale, morale, relazionale che c’è in Italia preoccupa davvero tutti.
Uniamoci, uniamo le forze, i gruppi, movimenti, le persone che difendono questo o quel diritto. Se diritto deve essere, deve essere per tutti. È l’entusiasmo che vogliamo trasmettere, l’amore per la nostra terra, maltratta e offesa, per la nostra gente, arrabbiata o depressa. Leggo che nella mia città, Milano, il cuore della bestia, come avrebbe detto Zanotelli, nel primo trimestre del 2010 le nascite sono calate dall’anno scorso del 15% circa.
Coraggio, dobbiamo riprenderci il futuro, con calma, pazienza, gioia, ma molta determinazione. Per lo sbarco.
Andrea De Loto, 45 anni, maestro elementare, due figli, dopo 40 anni vissuti a Milano partecipando ovunque potesse a movimenti di resistenza e difesa del territorio, dei diritti, della pace, in seguito a un concorso per insegnare all'estero si trasferisce per due anni a San Paolo, in Brasile, dove conosce da vicino il movimento dei Sem Teto. Da due anni vive e lavora a Barcellona.