Avendo la fortuna di poter gironzolare un po’ – e, nello specifico, transitando per quello spazio piatto e produttivo che va da Berlino a Praga, da Bratislava a Dresda e di nuovo a Berlino, ossia il cuore dalla Mitteleuropea, se ancora esiste in qualche forma – si ha modo di osservare moltissimi fenomeni intriganti. Su tutti, una variabilità umana assolutamente fascinosa. E mentre di sera cammini lungo Karmelitská ripensi ai libri nei quali si enumerano le caratteristiche di coloro che queste terre hanno popolato, nobili e decorosissimi individui plasmati nella loro grazia – ça va sans dire – da anni di regime, code, spioni e soprusi.
Cronologicamente l’ultimo inno al meritevole spessore sociale dei cittadini nei fu stati socialisti me lo ha consegnato John Banville nel suo “Ritratti di Praga” edito da Guanda nel 2005. Ne riporto un brano: «Era un tipo alto e magro. Un tipo nordico che mai ci saremo aspettati di trovare così a Est. Impossibile definirne l’età: a prima vista avrebbe potuto avere tra i trenta e i sessant’anni. Un bell’uomo, eppure sembrava tenersi in ombra. Forse aveva trascorso anni a cercare di passare inosservato -alle autorità, alla polizia, alle spie e agli informatori- e uno strato della sua realtà di superficie si era consumato.
Ci strinse la mano in quel modo serio, affettato, tipico dell’Europa Centrale che sembra un commiato più che una presentazione. E un sorriso decisamente malinconico. […] Ci diede il benvenuto a Praga con un tono pacato ma garbatamente signorile, come non fossimo arrivati a Praga ma nella sua proprietà. Essendo stati privi di tante cose, quegli artisti, critici e studiosi rimanevano avvinghiati con la passione degli esuli alla loro città, alla storia, alla trascurata magnificenza, alla sua tenace misteriosità. […] Mi prese la bottiglia dalle mani con delicatezza, quasi con tatto; un gesto raffinato, ecco l’espressione più corretta. Non avevo mai conosciuto nessuno cui tanto si addicesse quell’aggettivo.»
E d’altronde innalzarsi pareva essere l’unica soluzione per non affogare nel fango descritto a più riprese dal Repellino: «Si è appresa alla mia fantasia la nezvaliana metafora che rassomiglia Praga ad una cupa nave attaccata da legni corsari, a cannoneggiare le torri di Hradčany da tutte le parti d’Europa. E mi riaffiorano in mente i pronostici delle sibille che nelle leggende boeme antiveggono la trasformazione della città in un desolato viluppo di fango, sterpaglia e macerie, brulicante di rettili e sozzissimi demoni. Ma tutto questo è delirio, nebbia di una inventiva malata, robaccia da untori. Perché, come il poeta Karel Toman afferma, l’unica legge è germogliare e crescere. Crescere nella tempesta e nelle intemperie, a dispetto di tutto.»
Adesso la Repubblica Ceca è un paese tranquillo, stabilmente democratico e prospero. Pochi i corvi a volteggiare sul Castello e i «sozzissimi demoni» espongono menù per turisti lungo Na Příkopě.
La transizione è avvenuta attraverso modalità efficaci e ciò che maggiormente contribuisce a tenere vivo il passato sono le bancarelle con matrioske e spille del Komunistická strana Československa.
Ripensandoci viene da domandarsi dove siano finiti gli intellettuali raffinati dei tempi della segregazione, se ancora parlottino al teatro Za Branou mentre si recita Krejča, o se continuino a scambiarsi foglietti alla Lanterna Magica. Alcuni dicono che nella tranquillità scemi l’eroismo; ma tanto coloro che sostengono la teoria del «si stava meglio quando si stava peggio» risultano essere spesso impermeabili a ogni tipo di risposta e spiegazione, dunque lasciamo stare. Da qualche parte saranno ancora quei fascinosi studiosi, oggetti di analisi e ritratti per anni. Vittime di generalizzazioni certo, ma apprezzatissimi e rispettati. Al contrario la nuova generalizzazione («i giovani in Repubblica Ceca sono tutte di destra, non come i loro padri, zii e nonni») riscuote meno successo e crea più preoccupazioni. I dati d’altronde parlerebbero chiaro e il fatto che io non abbia mai conosciuto un ceco trentenne conservatore significa poco.
Nello specifico è difficile stabilire quanto abbia influito il voto «giovane» nelle ultime elezioni (avvenute la settimana scorsa) e come abbia contribuito alla elezione di un nuovo governo di centrodestra. A lungo i media locali si sono soffermati sul fatto che fossero le prime elezioni con votanti nati nel post-89, ma sballati si sono dimostrati alcuni studi proprio su questo argomento. Fatto sta che un sensibile rifiuto dei ragazzi verso i socialdemocratici del ČSSD sia percepibile e tracce di ciò si trovano ovunque, non ultimi i video su riviste di successo e gruppi su Facebook.
Alcuni analisti sostengono trattarsi di una versione aggiornata dell’amore che folgorava nei lontani ottanta i giovani cecoslovacchi per la coppia Tatcher-Reagan; al contrario altri portano avanti la teoria che la colpa debba essere rovesciata tutta sul leader del principale partito di centro-sinistra Jiří Paroubek, recentemente dimessosi.
Di motivi per i quali l’ex capo della sinistra ceca non venisse digerito dai giovani, folgorati invece dai nuovi movimenti centristi TOP 09 e Věci veřejné, se ne sentono tantissimi: i modi burberi e autoritari che ricorderebbero quelli dei vecchi boss del socialismo, mischiati alla scelta di imparentarsi con i comunisti del KSCM, anche se solo a livello locale. Decisioni non gradite e atteggiamenti troppo duri come l’intransigenza verso feste e raduni under-trenta, che avrebbero portato i ragazzi a formare squadre con il compito specifico di recarsi dai nonni e convincerli a votare centrodestra (non si inventa niente: il video «convinci la nonna» in Repubblica Ceca è diventato un must con quasi 700.000 visite) o gruppi sui social-network per organizzare precisi lanci di uova. Generalizzazione da media o meno – poiché alla fine, nonostante il supposto rifiuto dei giovani, il ČSSD era e resta il primo partito a livello nazionale – è comunque ovvio che qualcosa si è inceppato tra i socialdemocratici e alcune nicchie della società, specie i più giovani; compito del nuovo corso e del nuovo leader Bohuslav Sobotka dovrebbe dunque essere ricucire questi strappi, magari cominciando proprio dai ragazzi e le loro supposte simpatie conservatrici.
Fortunatamente, specie dopo il passaggio dei poteri da Mirek Topolánek a Petr Nečas, la destra ceca non ha niente a che vedere con quelle di alcuni paesi confinanti, essendo immune da rigurgiti nazionalistici e sempre più filo-europeista.
Lo stato di relativa tranquillità che molti indicano come causa della fine dell’eroismo locale, e il pensionamento delle fascinose figure di cui sopra, potrebbe diventare terreno fertile per costruire nuovi percorsi progressisti e chissà, un giorno, tornare ad avere i numeri per formare un governo in santa pace.
Gabriele Merlini ha trentuno anni, lavora nell'editoria e collabora con testate e riviste online, occupandosi principalmente di tematiche inerenti l'Europa centrale e orientale. Cura dal duemilasette il sito Válečky: http://eastkoast.wordpress.com/