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Per ripulire la democrazia inquinata i ragazzi hanno bisogno di un giornale libero

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È abbastanza frequente che editori della carta stampata chiudano i loro giornali. Anche a me è capitato quando dirigevo “L’Avvenire d’Italia”, e oggi si annuncia una vera e propria epidemia a causa della decisione del governo di togliere i fondi all’editoria giornalistica. Ma che chiuda Domani di Arcoiris Tv, che è un giornale on line, è una notizia …

La Lettera

Domani chiude, addio

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L’ironia di Jacques Prévert, poeta del surrealismo, versi e canzoni nei bistrot di Parigi, accompagna la decadenza della casa reale: Luigi Primo, Luigi Secondo, Luigi Terzo… Luigi XVI al quale la rivoluzione taglia la testa: “Che dinastia è mai questa se i sovrani non sanno contare fino a 17”. Un po’ la storia di Domani: non riesce a contare fino …

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Teatro bene comune per il palcoscenico di dopodomani

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Teatro Municipal - Foto di Elton Melo

“Non si può bluffare se c’è una civiltà teatrale, ed il teatro è una grande forza civile, il teatro toglie la vigliaccheria del vivere, toglie la paura del diverso, dell’altro, dell’ignoto, della vita, della morte”. Parole di Leo …

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Il governo Berlusconi non è riuscito a cancellare l’articolo 18, ci riuscirà la ministra Fornero?

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Il governo Monti ha perso il primo round con Susanna Camusso che fa la guardia alla civiltà del lavoro, fondamento dell’Europa Unita. Sono 10 anni che è morto Marco Biagi, giuslavorista ucciso dalle Br. Si sentiva minacciato, chiedeva la scorta: lo Scajola allora ministro ha commentato la sua morte, “era un rompicoglioni”. Rinasce l’odio di quei giorni? Risponde Cesare Melloni, …

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Le inchieste degli studenti dell'Università di Parma150 anni dopo l’Unità di Italia la “questione meridionale” costituisce ancora un elemento di divisione del Paese. Un “caso unico in Europa”. Tra professori irlandesi convinti che i “terroni” siano meno intelligenti dei nordici, e piccoli editori del Sud che scommettono sulla forza delle parole, motore di un cambiamento che abbatte le barriere

LE INCHIESTE DEGLI STUDENTI – I numeri (veri) e le teorie (false) che distruggono il Meridione

03-03-2011

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Tolve, Lucania, la pace fra vecchi muri di paese

Dal quoziente intellettivo alle case editrici: un divario apparente

La divisione del Paese ha trovato molte bizzarre spiegazioni. Tra le tante, quella di Richard Lynn, docente di psicologia all’Università dell’Ustler in Coloraine nell’Irlanda del Nord, riporta uno studio abbastanza curioso. Infatti, secondo lo psicologo, in Italia meridionale sarebbero meno intelligenti della popolazione settentrionale. Il suo studio è stato pubblicato sulla rivista Intelligence e riportava il seguente titolo: “’Le differenze nel QI tra nord e sud Italia corrispondono a differenze nel reddito, educazione, mortalità infantile, statura e alfabetizzazione’. Dunque, la popolazione meridionale avrebbe un quoziente intellettivo più basso di quello del nord che è invece al passo con altri Paesi dell’Europa centrale e settentrionale.

La spiegazione del professor Lynn è ‘da attribuire alla mescolanza genetica con popolazioni del Medio Oriente e del nord Africa’. Sembra inutile aggiungere che l‟articolo è stato fortemente criticato soprattutto per i limiti teorici, metodologici e psicometrici oltre ad utilizzare modelli che possono legittimare comportamenti individuali e scelte politiche di natura razzista e discriminatoria, secondo Roberto Cubelli, presidente dell’Associazione italiana di psicologia. Il professore proviene dall’Irlanda del Nord, forse questo spiegherebbe qualcosa del suo “razzismo scientifico” vero il sud in generale.

A prescindere da teorie a dir poco assurde, anche se scientifiche, la legge degli stereotipi vuole che la gente del sud sia più rozza e ignorante di quella del Nord. Eppure è molto alto il tasso di studenti del sud che scelgono la strada dell’università dopo la scuola. Molto più alta è, invece, la cifra dei giovani in età da Università che si sposta dal sud per andare a studiare al Nord. Solo in Campania, nell’anno accademico 2007/2008 su 225mila studenti, circa il 15%, ovvero 33mila, hanno scelto di emigrare per ragioni di studio.

La motivazione più frequente è relativa ad una speranza maggiore di inserimento nel mondo del lavoro che al nord è più auspicabile. Non sarebbe giusto parlare, quindi, di crisi culturale al sud. Cultura ed economia non sono necessariamente legate ma è pur vero che spesso la cultura non sfama. I recenti tagli alle borse legate al diritto allo studio rischiano di segnare un pericoloso arresto di questi trasferimenti, e di condannare molti possibili studenti a una scelta ridotta e poco competitiva delle università, e il professor Lynn potrebbe avere nuovi dati a cui appoggiare la sua “folgorante” teoria.

Lasciamo da parte per un attimo teorie rivoluzionarie e onnicomprensive, e vediamo di portare alla nostra inchiesta qualche caso concreto di “cultura” reale, quella espressa, seppur tra mille difficoltà, dalle piccole case editrici indipendenti. A tal proposito abbiamo intervistato direttamente i direttori editoriali di Diabasis, di Reggio Emilia, e via telefono il direttore di Navarra Editore, una dinamica e intraprendente casa editrice di Marsala, che nei prossimi anni potrebbe diventare un protagonista a livello nazionale.

Diabasis è una casa editrice di Reggio Emilia che si definisce “atipica, plurale, indipendente e culturalmente indisciplinata”. Profondamente legata al suo territorio, Diabasis rispecchia l‟identità della “Valle Padana meridionale, che disegna il fiume Po, la via Emilia e la via Postumia fra il Tirreno e l’Adriatico – la rende attenta al rapporto fra architettura e territorio, città e patrimonio, alla civiltà materiale, ai modi e ai tempi della terra, con la geografia (geografia & paesaggio) a fare da cerniera fra i diversi piani del catalogo”. Questa realtà nasce dalla volontà di Alessandro Scansani di proporre un nuovo mezzo culturale alla città di Reggio Emilia “poco ricca- secondo lui- da un punto di vista mediatico”.

“La realtà di Diabasis riflette quella della cultura della valle padana meridionale, in senso di architettura, cultura, costume, usanze e tradizioni. Questa è una scelta di carattere civile-culturale che costruisce un’identità particolare. E’importante avere una “dimensione nel mondo” e essere parte di un territorio che è “nostro” in cui ci si identifica”. Il signor Scansani ci mostra il quadro di appartenenza ad un territorio posto, in questo caso, al nord Italia e che riscontra un pubblico partecipante. “Abbiamo partecipato alla festa patronale di Reggio Emilia proprio per simboleggiare l’appartenenza al territorio e per diffondere il nostro entusiasmo culturale. In modo che anche il popolo possa rapportarsi con noi perché noi viviamo nella trama della nostra gente e vogliamo che questo sia il nostro grande valore”. Anche la selezione degli autori avviene sicuramente in linea con gli interessi della casa editrice ma anche con quelli del pubblico che è, sostanzialmente, un pubblico del Nord.

L’editore, comunque, ci tiene a dire che Diabasis avrebbe un’incidenza nazionale se non ci fosse il grosso problema della filiera distributiva. Per ovviare questo aspetto ha aperto un dialogo con associazioni di solidarietà per dare vita a vari progetti di valore sociale. Anche i criteri di selezione degli autori sono legati al pubblico: “la bellezza, l’ impatto con la comunità e con il territorio di appartenenza e interesse culturale” costituiscono gli elementi di selezione.

Per quanto riguarda la “questione sud” Scansani ammette di trovare fantasia e creatività nella produzione culturale meridionale ma “le case editrici – dice – al sud scarseggiano e sono un po’ isteriche dall’abbandono” . Il problema, secondo l‟editore, non è tanto il riscontro del pubblico meridionale, quanto la mancanza di strutture e di un‟adeguata politica. “Per esempio Laterza che è di Bari, si è trasferita da poco a Roma e al suo sostegno è subentrato un potente gruppo bancario – spiega – ho collaborato con gente del sud e ho sicuramente notato la fame di cultura e la voglia di 6

riscatto in questo senso”. Il problema sollevato durante l‟intervista riguarda il settore economico: “dicono che al sud non si vende, che la gente non compra libri, quindi è inutile pubblicare. Ma il punto centrale è un altro: la gente sa che al sud i libri non vivono se non li rendi vivi e sanno che bisogna dare una mano forte alla promozione culturale”.

Una visione, questa, molto aperta e molto solidale nei confronti di un sud considerato troppo arretrato anche culturalmente.

L’altro punto di vista è quello dell’editore Ottavio Navarra. La storia di Navarra Editore nasce nel 2003 attorno all’idea sperimentale di un quotidiano free press della città di Marsala, Marsala c’è. Alla carta stampata si affianca una crescente attenzione al mondo dei libri e delle riviste, e nel 2007 viene così aperta la nuova sede di Palermo che si occupa esclusivamente di editoria libraria.

Il catalogo odierno copre circa cinquanta testi e pubblicazioni di vario genere, dalla narrativa alla satira alla saggistica, con una cospicua percentuale di autori emergenti e di tematiche di impegno civile. Una casa editrice del profondo sud, dunque, che ci apre gli occhi su quella che è la realtà culturale di questa parte dell’Italia.

Navarra offre il suo punto di vista sulla differenza tra l’editoria del nord e quella del sud: “Entrambi lavoriamo sullo stesso tema, che è la forza delle parole. Le parole sono motore di cambiamenti importanti a qualunque latitudine. Noi siamo all’ingresso dell’Oriente, Tunisi dista cento chilometri in linea d’aria: da questo deriva la nostra particolare lettura dei rapporti con i ‘diversi’, i portatori di culture lontane. Al Nord si pensa a descrivere e sviscerare le origini e le cause del fenomeno migratorio; la Navarra Editore e tante altre realtà editoriali del Sud sono attrezzate per analizzare i fenomeni di contaminazione tra gli immigranti e gli antichi residenti. Siamo alla frontiera da sempre, il rapporto con il diverso ha smesso di diventare un ‘fenomeno’ ed è diventato la cifra più profonda della nostra scrittura. In termini geografici, invece, paghiamo il minor numero di lettori rispetto al Nord, un circuito librario poco sviluppato, o addirittura assente in molte province e la lontananza dal baricentro della grande distribuzione”.

Secondo l‟editore siciliano la cultura non è limitata geograficamente ma c’è una forma universale che permette la libera comunicazione da un capo all’altro della penisola. Nel meridione e nel particolare caso della casa editrice Navarra anche i concorsi letterari funzionano e l’obiettivo è quello di creare una fitta rete di autori attorno alla casa editrice. Per quanto riguarda i rapporti con la grande distribuzione, l’editore afferma: “A breve potremo contare sul servizio di NdA (Nuova distribuzione Associati) per promuovere i nostri libri sull’intero territorio nazionale. Abbiamo scelto ques’ agenzia per la sua chiara origine sociale (i circoli Arci, i centri sociali), che si è allargata solo successivamente ai circuiti delle librerie Feltrinelli e consimili. Non si può nascondere che la distribuzione è un vero campo minato per l’editoria indipendente: l’incidenza della filiera sul costo finale del libro si aggira attorno al 55-65% del totale, e il rischio d’invenduto è un cappio che stringe solo il collo dell’editore”.

Navarra dedica, poi, un pensiero alla donna-scrittrice che non è più emarginata al sud ma che indossa ormai un nuovo ruolo più emancipato, più fiero. In ultima battuta riflette sulla possibilità di abbattere il divario del Paese attraverso Internet che “è sicuramente uno strumento tra i più affidabili. Guardiamo alla Rete come a una bellissima opportunità per la diffusione della cultura e l’abbattimento delle ultime barriere”.

Due punti di vista “geograficamente” diversi ma legati da un principio fondamentale: non c’è dato o statistica che tenga nell’affermare che il sud Italia, nonostante la sua travagliata situazione, sia parte di un Paese e come tale necessita delle giuste attenzioni.

(di Davide Corbetta)

Alla ricerca di una vera e attuale identità nazionale

Secondo il rapporto Svimez 2009 (Associazione per lo sviluppo dell’industria del Mezzogiorno) negli ultimi dieci anni le regioni meridionali hanno registrato una crescita di gran lunga inferiore, non solo rispetto alle aree maggiormente sviluppate, ma anche rispetto alla debole periferia dell’Europa. Significativo è il fatto che dal 1951 il contributo del Mezzogiorno al Pil nazionale sia rimasto pressoché invariato (dal 23,9% del 1951 al 23,8% di oggi).

La causa principale di questo collasso è la recessione economica. In parole povere questo accade quando i livelli di attività produttiva sono più bassi rispetto a quelli che si potrebbero raggiungere utilizzando in maniera efficiente i mezzi e i fattori di produzione a disposizione. Infatti, gli investimenti statali destinati alle regioni meridionali sono del 6% inferiori rispetto a quelli indirizzati al nord.

Ogni rapporto serio sulla condizione economica meridionale deve tener presente la persistente criminalità organizzata: il torinese Luca Ricolfi, professore di Analisi dei Dati all’università di Torino, nel libro “Il sacco del Nord” ricorda che le ragioni italiane a maggiore evasione fiscale (più della metà del reddito evaso) sono Campania, Calabria e Sicilia. La sottrazione delle risorse per il Sud comincia proprio dal Sud.

Il libro di Ricolfi focalizza l‟attenzione sulla sottrazione da parte del meridione di circa 50 milioni di euro alle regioni italiane più produttive (Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, Piemonte). Il “sacco” nasce da una cattiva gestione degli investimenti destinati alle regioni meridionali. In particolare la Campania e la Puglia sono le regioni meno sussidiate e sotto finanziate, ricevono risorse minori sottoforma di spesa discrezionale ma in realtà ne sperperano una grossa parte in servizi pubblici poco efficienti. Secondo l‟analisi dei dati riportata nel libro, sono 3,1 in Campania e 2,2 in Puglia i miliardi che una corretta gestione delle risorse potrebbe consentire di risparmiare annualmente.

Recenti studi hanno dimostrato che il gap tra le regioni settentrionali e meridionali è nato nella seconda metà dell’Ottocento, vent’anni dopo l‟impresa dei Mille. Prova ne è che nel primo decennio dell’Unificazione il “problema Mezzogiorno” era unicamente un problema di ordine pubblico (il brigantaggio), mentre è solo nel 1880 che il deputato Giustino Fortunato denuncia alla Camera l‟esistenza di “due Italie”. A tutt’oggi sembra prevalere l‟idea che nel 1861 il divario ci fosse già, ma che la sua entità fosse sensibilmente minore di quella attuale, compresa tra il 10% e il 25% di differenza nel Pil, a fronte del 40% registrato dall’ultimo dopoguerra.

Questo è il risultato dell’indagine condotta da Daniele e Malanima “Il prodotto delle regioni e il divario Nord-Sud”: il periodo peggiore nella storia del Mezzogiorno è quello che va dal 1884 al 1951, mentre i soli periodi di riavvicinamento con il Centro-Nord sono il 1952-1975 e il 1998-2004, per un totale di poco più di trent’anni su quasi centocinquanta anni di storia.

Tornando al rapporto Svimez, un‟ulteriore fattore discriminante scaturisce dal diverso grado di occupazione. Al sud un cittadino su cinque è disoccupato mentre un giovane su cinque, sotto i 24 anni, ha un lavoro e un milione e trecentomila persone lavorano al nero con tassi di irregolarità del 12,8% nell’industria e 19% nelle costruzioni. Ma quanto produce effettivamente il sud Italia?

Dall’analisi dei settori produttivi emergono dati non sorprendenti, ma in alcuni casi leggermente consolanti.

Il settore agricolo, nonostante un leggero trend negativo di Campania e Calabria, presenta una crescita positiva della produzione di Basilicata, Abruzzo, Molise e Puglia. L’industria è invece in calo circa del 3,8% insieme alla produzione manifatturiera che ha visto una diminuzione del 6%. La decrescita è giustificata anche da un’ulteriore crisi nella produzione di macchine e mezzi di trasporto del 10,5%. L’unica nota positiva è il settore energetico che ha avuto un rialzo dell’8,7%, mentre la disoccupazione cresce sempre di più: nel 2008 23 mila lavoratori del settore auto hanno perso l‟impiego e dal 2004 al 2008 il settore manifatturiero ha espulso circa 33 mila lavoratori.

Se l’agricoltura rappresenta una piccola ancora di salvezza per il sud, non rincuorano i dati riguardanti le aziende agricole che al nord sono in media di dieci ettari mentre nel meridione arrivano a un massimo di sei e il costo di lavoro per unità di prodotto al sud è del 38%superiore a quella del nord. Allo stesso tempo l‟export fa la sua bella figura registrando esportazioni ben tre volte superiori a quelle del nord, in modo particolare Basilicata e Molise sono le regioni di partenza.

L’edilizia è in condizioni critiche: nel 2008 il sud ha registrato un calo di investimenti del 2% e una flessione dell’occupazione doppia rispetto al Nord. La vera piaga è rappresentata dai lavoratori al nero che sono concentrati al sud per il 63%, mentre le imprese cooperative dal 1971 al 2001 sono aumentate di circa otto volte con picchi in Campania e Sicilia. Poche speranze nel settore terziario dove si è registrato un calo del 3% nel commercio e dell’1,4% tra gli impiegati di questo ambito.

Non male i settori immobiliare, finanziario e assicurativo che segnalano una ripresa dell’1,4%. Come se i disoccupati del commercio avessero rimpinguato questi altri settori.

Neanche il turismo, storica sicurezza del sud, sembra dare cenni positivi, infatti, nonostante l’aumento del flusso di turisti stranieri (6%), risulta scarsa l‟attrattiva a causa di evidenti difficoltà legate a servizi e trasporti. Il sud non è neanche più l‟area più prolifica e brulicante di persone: nel 2008 ha registrato un calo dello 0,3% della popolazione rispetto all’incredibile aumento dal 3 al 6% della popolazione del nord.

Forti dubbi sussistono in merito al Piano del Sud approvato dal Consiglio dei Ministri nel Novembre 2010. Si tratta di un documento programmatico in cui si fissano alcuni obiettivi sui quali convogliare le risorse europee e quelle nazionali. Il progetto riguarda interventi su settori prioritari quali: infrastrutture, servizi, istruzione, ricerca e innovazione con uno sguardo particolare ad azioni rivolte a migliorare la sicurezza. Ciò comporterebbe un‟ulteriore aumento delle spese di formazione di pubblica sicurezza e si rischierebbe di penalizzare ulteriormente non solo le regioni meridionali, ma l‟intero Paese.

I tempi della politica non corrispondono in alcun modo ai tempi di lavoratori, delle imprese e dei cittadini; questo Piano per il Sud sembra essere la riedizione telematica di tanti altri degli anni passati, un cartellone di buoni propositi piuttosto che una progettazione organica e a lunga scadenza.

(di Marco Armento)

[Fine]

GLI AUTORI DI QUESTA INCHIESTA:

Davide Corbetta

Davide Corbetta

Marco Armento e Davide Corbetta frequentano il Corso di Laurea Magistrale in Giornalismo e Cultura Editoriale all'università di Parma.

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