Il berlusconismo è dentro di noi, un virus. È stato pure chiamato qualunquismo, menefreghismo, fascismo e così via a ritroso nei tempi: i virus sono mutanti, resistenti, aggressivi. Questo è un groviglio di cinismo e affari che, insieme con altri sentimenti e aspirazioni, gli esseri umani si portano dentro, nel cervello o altrove. Ha un vasto spet tro, spazia dalla rassegnazione all’arroganza: è una malattia che cambia nome ed effetti a seconda dei periodi storici e delle circostanze e inquina il paese da nord a sud. Come tutte le malattie, va curata.
Sotto forma di qualunquismo si trasformò in movimento politico sessant’anni fa, nel disastro del dopoguerra, figlio dell’impudenza e dello scetticismo diffusi a piene mani da chi aveva interesse non al lavoro produttivo degli italiani, ma alla loro soggezione. Così, pur tra mille feste e bandiere inneggianti alla libertà, tra miracoli e anatemi, nacquero i ladri di stato e gli sfruttatori, che si servirono di tutto, anch e della chiesa.
È così anche oggi? Mi pare di sì: gli si possono dare mille nomi e attribuire molti padri, ma è rimasto, ha messo radici, che il cristianesimo non ha saputo tagliare offrendo un diverso stile di vita: più «vivo», più umano, da persone civili non da lupi né, come dice qualcuno, da caimani. Anzi, da come si muove sul palcoscenico della società, si vede che più di un cristiano, laico e non, ne è stato pesantemente contagiato.
Si legge: tremila tonnellate di rifiuti nelle strade di Napoli, e questo dopo il prodigio elettorale di pochi mesi fa; ma tutta la Campania è sommersa dai rifiuti. Poi si scopre la Sicilia, si trovano falde avvelenate dall’immondizia in Veneto, in Piemonte, in Lombardia: a Milano centinaia di migliaia di metri quadrati di terreni infetti in piena periferia commerciale. Nello stesso tempo, l’assassinio di una ragazza quindicenne diventa intrattenimento tv, come le trasmissioni popolari di cucina e di turismo. Sangue e spaghetti. Al massacro individuale, si aggiunge il massacro collettivo della ragione.
Non sono opinioni, sono i fatti della vita. Gli allagamenti dovuti all’incuria del territorio oggi si chiamano esondazioni. In paesi e città si arrestano decine di amministratori pubblici per furti e malversazioni. Si arrestano imprenditori, medici, avvocati, magistrati e cancellieri. Il virus è diffusissimo. Vediamo: «Insufficienti, antigienici e primordiali il macello, il mercato del bestiame e quello ittico (ove con le oscillazio ni della marea il contenuto delle fogne rigurgita negli scantinati con conseguenze facilmente immaginabili). Lo stato delle fognature è quanto mai precario, il servizio di nettezza urbana insufficiente…» Questa è Napoli descritta da una commissione parlamentare del 1952. Ma è anche Venezia, oggi, dove l’acqua alta porta a galla nei canali e nelle case i rigurgiti delle fogne. Ed è anche altre città, dall’Emilia alla Puglia, dove si scoprono tonnellate di alimenti lasciati decomporre, ma pronti per essere reimmessi sul mercato con nuove etichette. Vista la malattia del denaro, in questa palude di cinismo tutto è logico.
«A Napoli nel giorno di Na tale un centinaio di persone sono state arrestate per furto e tra questi alcuni vecchi pensionati. In aumento la delinquenza minorile…» Nel 2010? No, ancora 1952: ieri come oggi, con le necessarie moltiplicazioni. E il napoletano che cosa fa? «La risposta è stata assai significativa nella sua tragica semplicità: “Ci si arrangia”». Dalla depressione allo scetticismo e al cinismo per arrivare al qualunquismo o menefreghismo. Si questua o si ruba: i giornali non parlano d’altro.
Dentro molti di noi sembra essersi sedimentato soprattutto il desiderio – anzi, la precisa volontà – di salvare se stessi anche a costo, è stato detto, di una nuova guerra civile. Forse non ci si rende conto dell’orrore di questa affermazione. Non faccio altro che riportare notizie dai mass media. Ma i cristiani, i cattolici che tanta parte hanno avuto e hanno nella mia vita, sono decomposti a questo punto?
Il cardinale di Milano, Dionigi Tettamanzi, viene a bussare alle nostre porte con la benedizione natalizia a favore dell’accoglimento degli immigrati, ricordando i tempi della peste di san Carlo. Non poteva scegliere calamità più adatta. Dice che san Carlo rimase nella città malata «come il pastore rimane con il gregge: con più vigile attenzione quando il pericolo è più insidioso». Posso chiedere qualcosa? Vigili, ma denunci il «pericolo insidioso» a voce alta. Ha molto da lavorare, l’arcivescovo, perché la decomposizione degli italiani si arresti e la palude del neoqualunquismo affaristico venga bonificata per la ripresa di un vita civile e cristiana degna di questo nome. Come sarei stato felice se fosse andato sotto la gru di Brescia.
Mario Pancera, giornalista e scrittore. Tra i suoi libri, una testimonianza diretta e affascinante su Don Mazzolari, parroco dalla parte dei contadini diseredati: “Primo Mazzolari e Adesso: 1959- 1961” ('Adesso' era il giornale che Mazzolari pubblicava). Ultimo lavoro di Pancera “Le donne di Marx”, edizioni Rubettino