Lula è, oggi, la voce Brasile. In modo particolare, la voce di chi non ha voce. Nessun brasiliano ha, all’estero, tanto ascolto. I capi di stato prestano attenzione a quel che dice, Dilma Rousseff compresa. Università dei cinque continenti gli rendono omaggio con il diploma di dottore “honoris causa”. Imprenditori, all’interno e all’esterno del Brasile, vogliono conoscere il suo punto di vista sulla congiuntura. Organismi internazionali si interessano al modo in cui il suo governo ha combattuto la fame e ha ridotto la disuguaglianza sociale in Brasile.
La vita è imprevedibile. Fragile come una foglia secca. E il futuro appartiene a Dio. D’improvviso, Lula si ammala di cancro alla laringe. Sembra proprio che la natura abbia deciso di colpirlo nel suo tallone d’Achille. Come è successo al pianista João Carlos Martins, le cui dita delle mani, hanno subito una serie di problemi e lo hanno quasi costretto ad allontanarsi dalla musica. Oggi, egli è universalmente considerato un ottimo direttore d’orchestra.
Il cancro sembra perseguitare i capi di Stato: Lugo – Paraguay, Chavez – Venezuela, José Alencar – vicepresidente del Brasile… Lula è fatto della stessa materia-prima di Alencar. Tutti e due sono stati dotati di un imbattibile ottimismo di fronte alla vita, alimentato da una consistente fede cristiana. Come Alencar, Lula si sa predestinato, non nel significato messianico che il termine può suggerire, ma come risultato di una convergenza di fattori che lo hanno portato alla vita pubblica e, grazie alla sensibilità sociale che si porta dietro dalla culla, si impegna nel diminuire la disuguaglianza sociale e promuovere un’ampia politica di inclusione degli impoveriti.
Tutto il potere di comunicazione di Lula si accentra nella voce. Egli è nato dotato del dono dell’oratoria. Ricordo l’inizio della nostra amicizia, nelle grandi assemblee dei metalmeccanici dell’ABC, nello stadio della Vila Euclides, nei primi anni 80. Lula, prima di uscire di casa, elencava su un pezzo di carta i temi da affrontare nel suo discorso di chiusura della manifestazione operaia. Era sempre l’ultimo a parlare. Il suo discorso segnava il culmine dell’assemblea.
Gli oratori, saliti sul palco, cominciavano a intervenire l’uno dopo l’altro: dirigenti del sindacato dei metalmeccanici, leader operai, avvocati del lavoro, politici… Durante lo svolgimento dell’iniziativa, i punti che Lula aveva elencato venivano trattati dagli oratori che lo precedevano. Io mi dispiacevo per lui, mi preoccupavo che lui, lì sopra il palco, non riuscisse a trovare temi nuovi, che nessuno avesse già affrontato.
Terminata la serie degli oratori, la parola, per il coronamento della manifestazione, toccava a Lula. Tutti prestavano una silenziosa attenzione, come se ciascuna delle sue frasi dovesse essere assorbita dalla moltitudine. Allora Lula era sorprendente. Non perché estraesse dal cappello a cilindro, come un mago, temi inediti. I temi erano gli stessi. La novità consisteva nel modo in cui li affrontava. Non parlava con la testa, ma con il cuore. Non metteva in campo teorie, né si perdeva nell’enfasi di frasi demagogiche. Discorreva a partire dalle esperienze che provenivano dalla sua traiettoria personale, inventava parabole, raccontava “casi”.
Esortava, avvertiva, si esprimeva con metafore divertenti, distillava battute ironiche sulla dittatura, prendeva in giro ministri e imprenditori, richiedeva a ogni scioperante impegno nella mobilitazione, stimolava l’orgoglio etico della massa lavoratrice. Il suo discorso suonava più morale che politico, la sua voce infiammava l’assemblea. Ora, la voce soffre. Riposa. Esige cure. Lula, come succede alle aquile nel compire i 40 anni di età, si rifugia sulla montagna per acquistare nuovo vigore. E, in breve, riprendere il suo volo per una politica, nel Brasile e nel mondo, centrata sulla fine della miseria e della povertà, lì dove la sua vita ha avuto inizio.
È una delle voci libere della Teologia della Liberazione. Frate domenicano, giovanissimo, è stato imprigionato e torturato dalla dittatura militare brasiliana. L'impegno umano, inevitabilmente politico, verso i milioni di diseredati che circondano le città e vivono nelle campagne del suo paese, lo ha reso pericoloso agli occhi dei generali che governavano il Brasile.
Ha scritto 53 libri. La sua prosa diretta e affascinante analizza l'economia e la politica, la vita della gente con una razionalità considerata " sovversiva " dai governi forti dell'America Latina, e non solo. Non se ne preoccupa. L'ammirazione dei giovani di ogni continente lo compensa dalla diffidenza dei potenti. Venticinque anni fa ha incontrato e intervistato Fidel Castro, libro che ha fatto il giro del mondo. Lula, presidente del Brasile, lo ha voluto consigliere del programma Fame Zero. Frei Betto è oggi consigliere di varie comunità ecclesiastiche di base e del movimento Sem Terra.
Ha vinto vari premi. L'Unione degli Scrittori Brasiliani lo ha nominato Intellettuale dell'anno. Il suo libro " Battesimo di Sangue ", tradotto in Italia, è diventato un film.