Avevo preparato un articolo sul ritorno di Scajola aspirante «Ministru», ma devo cedere all’impulso della ragione e del cuore dopo avere visto in tv tutta la Messa di Bagnasco con in parterre (nel senso letterale di ornamento) lo Stato. Il prete insegna, la Repubblica impara. Scrivo come cattolico convinto e praticante, come prete della Chiesa cattolica che si fonda sul vangelo di Gesù Cristo. 17 marzo 2011, festa del 150° anniversario dell’unità d’Italia: le città sono in festa, la Lega diserta, ma è contestata; Berlusconi morde il freno perché non è la prima donna, travestito da infermiera. La giornata si apre all’altare della Patria con Napolitano, prosegue nel pomeriggio in seduta congiunta di Camera e Senato e con il messaggio del capo dello Stato e si conclude la sera con la musica di V.E.R.D.I. Eppure il clou della giornata di festa, anche cronologicamente, le ore 12,00, esattamente a metà del giorno, è la Messa celebrata da Bagnasco con i vescovi presidenti delle conferenze regionali e con le autorità di ogni razza e spessore.
Scenario grandioso dentro la basilica di Santa Maria Maggiore, che diventa il simbolo della realtà che oggi tocchiamo con mano. Per capire quello che è avvenuto è indispensabile comprendere che cosa sia la Messa, o meglio Eucaristia, per la Chiesa cattolica e per i credenti. Per chi crede essa è l’atto decisivo d’identità e di vita: è la memoria della morte e risurrezione di Gesù Cristo che l’Assemblea orante rivive e rinnova come segno profetico per il mondo. Ridurla a mera cerimonia di inaugurazione di qualcosa o come momento celebrativo di qualsiasi festa è, per me, un atto grave di sacrilegio. Santa Maria degli Angeli era piena di miscredenti (a parte la rappresentanza di popolo), gente che era lì perché doveva pagare pegno e dimostrare al clero di essere più papalina del papa. Erano lì per protocollo, non per fede. Il Signore ha detto nel Vangelo che non bisogna prendere le perle e buttarle ai porci.
Ho visto Berlusconi fruitore di prostitute minorenni in prima fila con Schifani e Fini; Calderoli condannato ai ferri che bestemmia in celtico; Casini in terza fila che fa il pio-pio; Gianni Letta nella sua qualità di «nobiluomo di sua santità e tante altre cose» e Bagnasco rivolgersi a loro con autorità e con deferenza, come se in questi giorni nulla fosse successo, stringeva il cuore e azzerava l’intelligenza. La Messa strumentalizzata per fini protocollari è quanto di più dissacrante possa fare un prete. In quella chiesa c’era il plastico di ciò che sta accadendo nel 150° anniversario dell’unità di Italia: l’Italia non esiste come Repubblica laica e Stato indipendente. Le autorità dello Stato stanno un gradino sotto il potere clericale che lo manifesta scenicamente e teatralmente. Nemmeno al Presidente della Repubblica, simbolo fisico e morale dell’unità della nazione, è stato permesso di dire una parola. Solo il clero cantava, parlava e si muoveva, tutti gli altri erano muti, fermi e sull’attenti «ad audiendum verbum». Anche quando, ferocemente, alla fine della cerimonia, il diacono intimò: «Inchinate il capo per la benedizione», tutti i rappresentanti dell’Italia unita e sovrana da 150 anni, ubbidienti come un sol uomo, inchinarono il capo per ricevere l’investitura dal Clero: ricordatevi che voi siete lì perché noi lo vogliamo e non dimenticate che possiamo togliervi il giocattolo in qualsiasi momento. Il potere spirituale della Chiesa è diventato in 150 anni un vero potere di indirizzo e di esecuzione. Mi è parso (ma non sono sicuro) di vedere Berlusconi e tanti altri miscredenti fare la comunione: un pubblico peccatore (secondo la dottrina tradizionale della Chiesa cattolica perché non pentito) che in pubblico commette un sacrilegio è un altro segno della nuova Italia clericale annessa al Vaticano che avanza. Dal tempo di Enrico IV di Francia (1610), il potere colluso di supremazia vale bene una Messa! Non una parola sui civili di Libia bombardati dal pazzo Gheddafi, non una parola sui nostri bombardamenti e sugli immigrati a Lampedusa ridotti in schiavitù. W la festa dell’unità d’Itaglia vaticana.
Paolo Farinella, biblista, scrittore e saggista, è parroco nel centro storico di Genova in una parrocchia senza parrocchiani e senza territorio. Dal 1998 al 2003 ha vissuto a Gerusalemme "per risciacquare i panni nel Giordano" e visitare in lungo e in largo la Palestina. Qui ha vissuto per intero la seconda intifada. Ha conseguito due licenze: in Teologia Biblica e in Scienze Bibliche e Archeologia. Biblista di professione con studi specifici nelle lingue bilbiche (ebraico, aramaico, greco), collabora da anni con la rivista "Missioni Consolata" di Torino (65.000 copie mensili) su cui tiene un'apprezzata rubrica mensile di Scrittura. Con Gabrielli editori ha già pubblicato: "Crocifisso tra potere e grazia" (2006), "Ritorno all'antica messa" (2007), "Bibbia. Parole, segreti, misteri" (2008).