Nell’assordante e demotivante cagnara che ha caratterizzato questa brutta campagna elettorale, rischiano di rimanere sullo sfondo alcune novità politiche interessanti e potenzialmente feconde.
Il panorama appare desolante: il Partito Del Leader resta saldamente il primo partito italiano. Il Partito Democratico (Sinistrato), pur accontentandosi di non essere defunto, non può certo godere. La Lega Nord, il partito più antico tra quelli presenti in Parlamento, è senza dubbio la vera vincitrice: ha sfondato persino in Emilia-Romagna e si appresta a pretendere, giustamente, il governo di un Veneto sempre meno bianco e sempre più “serenissimo”, con buona pace degli ex democristiani. Tempi duri, dunque, per il tricolore (ex art.12 Cost.).
I partiti di sinistra nel frattempo sono stati distrutti: la punizione severa subita dai loro elettori dimostra che la prima batosta – 13-14 aprile 2008 – non fu solo colpa di Veltroni: c’è qualcosa di più strutturale alla base di questo indecoroso declino. I capri espiatori, stavolta, scarseggiano.
Nonostante il disastro (che il fu popolare Franceschini finge di non vedere), i germi di una nuova speranza si nascondono, come il diavolo, nei dettagli. Una speranza che, per l’appunto, dovrebbe riguardare soprattutto i “poveri diavoli”: quella crescente fetta di italiani scivolata e scivolante nella povertà, nella precarietà (esistenziale, prima ancora che lavorativa), nella solitudine post-moderna: quelli che non ci credono più, se mai ci hanno creduto.
Questo inizio di millennio ci consegna una prima lezione: si può vivere senza ideologie, ma non si sopravvive senza utopie. L’utopia non è un prodotto di consumo, né una credenza: non si compra, non si vende, non si inculca. La volontà di camminare verso un orizzonte richiede due presupposti, al momento entrambi latitanti: un pensiero e dei valori condivisi.
Chi vorrà rimboccarsi le maniche, politicamente, dovrà modificare il proprio sguardo sulla realtà. Un mondo sempre più imperfetto forse ha bisogno di donne e uomini capaci di stravolgere (volontariamente e a fin di bene) la propria visione: per rendere più “bella” la politica e tentare di governare razionalmente le complessità del mondo contemporaneo, è necessario dotarsi di uno strabismo cognitivo: imparare a conoscere e comprendere la realtà guardando contemporaneamente al luogo in cui si abita e al resto del mondo. In altre parole conciliare, nei pensieri e nelle azioni, la cura del territorio e un sentimento di appartenenza più ampio: l’Europa (l’UE?), la Terra (l’ONU?).
Tanto per cambiare, due tra gli esempi più interessanti di una possibile riscossa “di sinistra” vengono dalla provincia bolognese e dalla Francia.
A Marzabotto, luogo simbolo della tragica storia d’Italia e d’Europa, il PD ha perso ma… la destra non ha vinto. L’inatteso cambiamento – per certi versi epocale – è rappresentato da un uomo tutt’altro che “nuovo”: Romano Franchi, presidente del Parco Storico di Montesole, già sindaco del PCI tra il 1985 e il 1993. La lista civica che lo ha candidato ha sbaragliato al primo turno sia il PD (che a marzo lo aveva espulso dal partito) che la destra: 57,8%. Va mò là! Nello stesso weekend gli elettori francesi premiavano un’altra vecchia conoscenza della politica: il parlamentare europeo Daniel Cohn-Bendit, figlio di una coppia di ebrei costretti a lasciare la Germania nel 1933. Mentre i Verdi italiani scomparivano, il movimento Europe-Ecologie (il cui slogan è “costruiamo l’avvenire”) ha raccolto il 16,2% dei consensi. I partiti italiani usano le elezioni europee come un sondaggio interno. Cohn-Bendit mostra invece di aver compreso perfettamente l’anomalia europea rappresentata dal nostro paese: “L’Italia è un Failed State, come la Somalia o l’Afghanistan, con la sinistra allo sbando completo. Sinistra e Libertà aveva posizioni molto simili alle nostre ma è stato impossibile esporre ai cittadini queste idee; sono stati incapaci di formare una coalizione proeuropea che esprimesse con radicalità le sue opinioni su temi economici e ambientali che avrebbero potuto giocare un ruolo parallelo a quello di Di Pietro”.
E il PD che farà? Con tutto il rispetto per la new entry Debora Serracchiani, per cambiare in meglio la politica le facce nuove sono necessarie ma non sufficienti: servono idee chiare, radici forti e valori non negoziabili. Ça va sans dire… mais ça va mieux en le disant.
Riccardo Lenzi (Bologna 1974) è redattore e free lance. Ha scritto due libri: "L'Altrainformazione. Quattro gatti tra la via Emilia e il web" (Pendragon, 2004) e, insieme ad Antonella Beccaria, "Schegge contro la democrazia. 2 agosto 1980: le ragioni di una strage nei più recenti atti giudiziari" (Socialmente, 2010)