Il professor Pasquino interviene nella polemica aperta dalla Lettera di Annalisa Strada che “di questa sinistra non ne può più”
Gianfranco PASQUINO – Il PD non vuole essere “la sinistra”, preferisce la parola “riformista”
24-11-2009C’è un grave errore di fondo nello sfogo, argomentato e intelligente (non è la solita “lisciata”), di Annalisa. Se il suo punto di riferimento è il Partito Democratico, allora lei e, forse, tutti dovrebbero sapere che, programmaticamente, il PD non vuole essere la sinistra in questo paese. Deliberatamente, i suoi dirigenti, incidentalmente, nessuno/a dei quali ha perso il seggio in Parlamento, mentre il loro Partito perdeva alla grande le elezioni del 2008 (a livello locale, poi, è stato un tripudio di promozioni!) hanno abbandonato la sinistra. Se mai, per alcuni, certo non per tutti, è esistita una identità di sinistra, adesso è sacrificata a qualsiasi altra espressione, purché non venga precisamente definita e, meno che mai, venga accomunata alla socialdemocrazia, notoriamente, lo scrivo con sarcasmo, una ideologia ottocentesca, come raccontava, molto compiaciuto di sé, un trentenne del PD di Modena. La più gettonata delle espressioni usate per dare una pallidissima anemica identità al PD è, ovviamente, perché poco impegnativa, “riformista”. Abbiamo, peraltro, appreso da Bersani che la parola “sinistra” può essere legittimamente usata. Peccato che il neo-segretario non abbia ancora detto come usarla, quando e con quale obiettivo. Se bisognava agevolare l’uscita di Rutelli, che era meglio non fare neppure entrare, la missione è compiuta. Se, invece, bisogna fare politica, la missione, con le sole parole, appare impossibile. Purtroppo, gli esempi che Annalisa cita, dal lavoro, più o meno precario, alla cultura, sono perfettamente calzanti. Non è che il PD non abbia proposte; piuttosto, si tratta di proposte episodiche e estemporanee, mai organizzate coerentemente in un disegno.
In Italia, ieri e domani, in Europa da sempre, la linea distintiva fra destra e sinistra passa attraverso due posizioni chiare: la destra preferisce abbandonarsi al mercato, la sinistra (quella non comunista, poiché i comunisti continuano a scegliere la conquista dello Stato) fa ricorso alla politica (ovviamente, democratica). Voglio dire che la sinistra sostiene e poi pratica l’intervento attivo della politica nell’economia e anche nella società, qualche volta, persino nella cultura (per esempio, potenziando l’istruzione, ma anche finanziando alcune attività culturali) sia per contenere le disuguaglianze sia per offrire eguali opportunità, anzi, meglio per dare più opportunità a chi parte più svantaggiato. Tutto questo discorso è semplicemente sparito dal bagaglio culturale, in verità leggerino, degli attuali dirigenti del Partito Democratico. Infatti, le cosiddette “primarie” ovvero, meglio, l’elezione popolare diretta del segretario, si sono combattute su altre tematiche, ma, per carità, non chiedetemi quali, forse, il tasso di antiberlusconismo (sacrosanto), forse le coalizioni da costruire a destra e a manca (“vocazione maggioritaria”, adieu, non ti rimpiangeremo se sapremo farle quelle benedette coalizioni, senza rinunciare alla laicità e all’etica).
Paradossalmente, il punto sul quale il Partito che si autodefinisce Democratico è più debole è proprio sulla democrazia. Quindi, Annalisa non corre rischi. Pur di evitare un dibattito democratico, nessuno le chiederà di argomentare le sue opinioni, nessuno la sfiderà, tutti saranno indifferenti e non metteranno in imbarazzo la sua ingenuità. L’elezione diretta del segretario costituisce soltanto un pezzetto di democrazia. Se, poi, al suo interno, il PD schiaccia il dissenso, la democrazia semplicemente non troverà spazio. Un ceto tuttora molto ampio di persone che vivono soltanto di politica e di cariche, contorniato e corteggiato da un ceto ancora più ampio di aspiranti a cariche politiche ha ben altro a cui pensare, certo non a garantire procedure e decisioni democratiche che potrebbero fare loro perdere il posto. Tutti si puntellano, eventualmente, contro tutte le Annalise che vorrebbero esprimere le loro opinioni e le loro proposte e vedere qualche opinione, anche contraria, ma non imposizione, e avere qualche risposta concreta. Chi è privo di alternative occupazionali deve difendere con le unghie e con i denti le sue cariche e comunque le sue possibilità di essere messo in altre cariche. Di qui le cordate, magari chiamate Fondazioni, che non elaborano idee, ma danno posti. Di qui l’emarginazione più severa possibile di chi dice: “sbagliate” ovvero annuncia che “il segretario e la Direzione (pletorica) sono nudi (e pure brutti!)”. Senza identità e senza competizione fra uomini e donne libere (le quote rosa saranno un tremendo macigno sulla competizione e rappresentano quasi esclusivamente una estensione della cooptazione), non ci sarà nessun rinnovamento del Partito Democratico.
Comunque, la sinistra non abita lì. Riuscirà ancora a vincere qualche elezione, ma senza uno scontro interno vero su persone, proposte, prospettive, con qualcuno che abbia voglia di rischiare articolando un discorso di sinistra che metta la politica al primo posto, le opportunità come obiettivo centrale e i politici senza mestiere all’ultimo posto, non saprà mai più aprire un qualsiasi ciclo di riforme (che, sia chiaro, non erano presenti neppure nella fase di governo del non-politico, certamente, non di sinistra, Romano Prodi; dunque, nessun rimpianto; anzi, guardiamoci dai prodiani).
Gianfranco Pasquino, torinese, si è laureato in Scienza politica con Norberto Bobbio e specializzato in Politica Comparata con Giovanni Sartori. Dal 1975 è professore ordinario di Scienza Politica nell’Università di Bologna. Socio dell’Accademia dei Lincei, Presidente della Società Italiana di Scienza Politica (2010-2013), è Direttore della rivista di libri “451”. Tra le pubblicazioni più recenti: "Le parole della politica" (Il Mulino, 2010), "Quasi sindaco. Politica e società a Bologna" (Diabasis, 2011). Ha appena pubblicato "La rivoluzione promessa. Lettura della Costituzione italiana" (Bruno Mondadori, 2011).