Un amico molto colto, nel segnalarmi stamani i saggi La manomissione delle parole di Gianrico Carofiglio e Sulla lingua del tempo presente di Gustavo Zagrebeslky, pubblicati recentemente da Rizzoli e da Einaudi, così cominciava il suo commento: “Basta poco per cambiare di significato ad una parola ed anche ad un insieme di parole. Basta ad esempio cambiare posto ad una virgola, e succede che un ordine di “pace (virgola), impossibile aprire il fuoco”, diventa, “pace impossibile (virgola), aprire il fuoco”, cioè un ordine di guerra. Oppure basta togliere, una virgola, e l’invocazione di un cattolico come il Presidente Emerito Scalfaro: “Dio(virgola), aiuta B. a fare il bene”; diventa per tanti cattolici che ci credono, la convinzione che “Dio (senza virgola) aiuta B. a fare il bene.”.
La segnalazione dei due testi e gli esempi citati mi sono sembrati commendevoli e tuttavia più che di “manomissione” delle parole, operata oggi dal potere, io parlerei di riduzione delle parole a una loro intollerabile insignificanza. Noi siamo bombardati, infatti, ogni giorno per non dire ogni ora, da discorsi che vanno bene per tutte le stagioni, da parole che con la pretesa di dire “tutto” non dicono assolutamente “nulla”. Supponiamo (con sforzo immaginativo di non grave peso) che qualcuno ci faccia questo ipotetico discorso.
“Caro concittadino. Una mia personale indagine conoscitiva, svolta a “360 gradi”, mi ha rivelato il “forte” malcontento del nostro paese nei riguardi di alcune iniziative che stentano a decollare a causa di decisioni improvvide, per non dire sciagurate, dovute alla politica irresponsabile condotta. dai nostri avversari. Per fortuna, grazie al sostegno (confermato da rigorosi sondaggi) che ci accorda la parte più sana degli elettori, noi sapremo “voltar pagina” risolutamente e imprimere una “svolta epocale” alla politica italiana.
Non più “teatrini della politica”, non più “strumentalizzazioni indebite”, non più “giustizialismi” esercitati “a tutto campo” per amore di vendetta, ma una politica “vera”, una politica “seria”, incentrata su programmi “concreti”, da attuarsi secondo scadenze “precise” e sulla base di modalità “ben determinate”.
Nella drammatica situazione attuale, in cui versa il nostro paese e ancor più l’Europa, non è più tempo di vani “baloccamenti”, di “parole vacue”, di assurde “concertazioni”, di defatiganti “incontri al vertice” e noi siamo pronti a dare l’avvio a una nuova “etica del fare” che avrà di mira realizzazioni “tangibili” come il drastico abbattimento del “debito pubblico”, la ristrutturazione del “sistema fiscale”, la caccia senza quartiere agli “evasori”, la “promozione degli investimenti” in vista di una “ripresa dell’economia” e di un “incremento dell’occupazione giovanile”, l’ammodernamento della “scuola”, il rilancio della “ricerca”, il rafforzamento del “welfare”, la riforma della “giustizia”, l’aggiornamento di una “Costituzione” eccellente ma in parte superata, l’adeguamento alle nuove realtà della ormai obsoleta “macchina amministrativa dello Stato”.
Il tutto nel pieno rispetto dei principi di uno “Stato di diritto” che si basa sull’equilibrio intangibile dei poteri e sulla concezione di una “democrazia non velleitaria”, non basata, cioè, su principi di libertà e di eguaglianza meramente formali, ma una democrazia “partecipata” che veda ogni cittadino impegnato nella conservazione e nella difesa della “res publica” e della “identità nazionale”. Una identità che non esclude, di per sè, riforme in senso federalista purché esse non violino quel sacrosanto principio di “solidarietà” che fa di un miscuglio di persone un popolo”.
Mi si saprebbe dire, di fronte a tanta deprimente melassa sonora, da chi viene questo discorso? E che cosa esattamente significhi?
Gino Spadon vive a Venezia. Ha insegnato Letteratura francese a Ca' Foscari.