Quando suonava, in casa, invariabilmente, accadeva di non sentirlo (anziani), fare un urlo piatendo che qualcuno rispondesse (genitori), rischiare di rompersi una gamba correndo a prendere la chiamata del fidanzato/a segreto/a prima che lo facessero padre o madre. Poi, a fine bimestre, arrivava la temuta bolletta: ritenuta un furto da chi lo usava poco, una spesa comunque eccessiva da chi lo aveva anche in ufficio, una punizione certa per l’alto costo delle romantiche telefonate. Questo negli anni Settanta e Ottanta del secolo passato. Molto di più e molto di diverso nei decenni precedenti e negli anni successivi.
È alla metà degli anni Settanta dell’Ottocento che le contemporanee ricerche in campo tecnologico dell’italiano A. Meucci e dell’americano A. G. Bell regalano al mondo i primi apparecchi per ricevere e trasmettere la voce umana. All’inizio del nuovo secolo gli italiani possono servirsi dell’ “entusiasmante novità” in uno dei novemila uffici postali sparsi sul territorio nazionale e addirittura alcuni acquistano il telefono per uso privato. Nel 1907 gli abbonati, che nel 1881 erano 900, sono già 50.000 ma diventano inarrestabilmente molti di più via via che la rete si sviluppa. In un’epoca ancora ben lontana dalla televisione e lontanissima da internet, il fortunato possessore del telefono può progressivamente accedere, componendo appositi numeri, ai primi servizi speciali: ora esatta, orario treni, notizie sportive, informazioni generali, sveglia, prenotazioni ferroviarie e teatrali, soccorso automobilistico. Particolarmente rivoluzionaria appare, in una Milano che in questo “copia” Stoccolma, la prima centrale telefonica per la chiamata dei taxi inaugurata nell’estate del 1927. Con una procedura articolata di comunicazione tra utente e tassista, cui fa da ponte una centrale provvista di mappa murale a segnali luminosi con la collocazione delle macchine pubbliche, è possibile per ogni milanese (e torinese e napoletano l’anno successivo) avere a disposizione una macchina per spostamenti urgenti o altrimenti impossibili. Nel primo giorno di servizio le chiamate sono 76 ma raggiungono, nel giro di un anno, il numero di 2.400-2.500 nei giorni festivi o piovosi.
Altra storia è chiamare i parenti, amici, colleghi, che abitano in una città diversa dalla propria. Nonostante i progressi tecnologici dei quali gli abbonati possono costantemente usufruire – siamo negli anni Cinquanta – la comunicazione intercomunale richiede l’ausilio della centralinista, la quale, cortesemente vi connetterà con il numero richiesto.
Nei ricchi Sessanta, anni del boom economico, in Italia ci sono 8,5 apparecchi telefonici ogni 100 abitanti e l’uso del telefono è diventata una pratica talmente consueta nella vita dei cittadini che, nel ’68, viene inventato Chiamate Roma 3131, primo programma radiofonico “interattivo” al quale gli ascoltatori possono partecipare in diretta via telefono.
Due anni dopo, un po’ tristemente, la teleselezione, cioè l’automatico collegamento, via prefisso telefonico, con utente di altra città, ci separerà dalle operatrici che rimarranno legate solo alle più sporadiche chiamate internazionali e alle costosissime e rarissime chiamate intercontinentali che vanno addirittura prenotate. Oggi – primi anni Settanta – gli abbonati sono quasi raddoppiati dall’inizio del decennio, superando i 6 milioni, mentre si moltiplicano in casa le “spine” telefoniche con una conseguente perdita di centralità del telefono unico fissato sulla parete o poggiato su una consolle in ingresso o corridoio. La possibilità di possedere più apparecchi telefonici diversi consente una maggiore privacy nel suo uso ed un passaggio dall’utilizzo ambientale a quello personale della comunicazione simile a quello che sta per accadere.
Penso che non tutti siano in grado di ricordare con esattezza quando è cominciato il pensionamento del telefono fisso. La data di non ritorno è per l’Italia il 1990 quando, in occasione dei mondiali di calcio, tra le città italiane dove si disputano gli incontri viene collegata una rete per quelli che, al loro nascere, vengono chiamati “portali”. I primi modelli dei nuovi apparecchi proposti dall’allora gestore Sip sono solo due, hanno le dimensioni di una radiolina e, compresa la batteria che consente un’autonomia di un’ora di conversazione, pesano circa 400 grammi, cioè come quattro dei modelli oggi più diffusi. Il loro costo è pari allo stipendio mensile di un insegnante; obbligatori sono il canone e un contributo di impianto “una tantum” di 200.000 lire; le tariffe sono care ma non così lontane dalle odierne. Un anno dopo il lancio del telefonino è superata la soglia dei 500.000 abbonamenti. Il seguito è storia nota.
L’apparecchio telefonico fisso raggiunse rapidamente una buona maturità formale e caratteristiche ergonomiche precise via via che si chiariva la potenzialità del suo uso privato e commerciale. Dai primi modelli da tavolo o muro, dotati del tipico cornetto nel quale parlare e di un microfono per l’ascolto, che impegnavano entrambe le mani, si passò celermente al tipo munito di cornetta con microfono e altoparlante incorporati, che permetteva di parlare potendo contemporaneamente scrivere. Così come l’utilizzo di un’unica grande batteria collocata nella centrale telefonica rendeva possibile apparecchi dal funzionamento più semplice ed una nuova forma che caratterizzerà il telefono per molti decenni con minimi cambiamenti nei materiali e negli essenziali abbellimenti limitati a decori sulle parti verniciate e quelle metalliche.
Fondamentali nella messa a punto di un oggetto che doveva entrare in ogni casa e quindi adattarsi ad ogni tipo d’arredamento sono le ricerche condotte in Scandinavia dove, all’apertura del nuovo secolo, viene progettato un telefono dalla linea fortemente innovativa ad opera dell’Ente Elettrico Norvegese che propone un oggetto in bachelite, nel quale la culla per il ricevitore e la scanalatura per il disco con i numeri possono essere contenuti in un involucro prodotto industrialmente con un unico stampaggio. Il basso costo nella produzione di un alto numero di esemplari che l’uso dello stampo permette si accompagna ad una forma portatrice di alto valore estetico, frutto del grande designer Jean Heiberg. E’ questo il modello più diffuso in Europa nel corso degli anni Trenta.
Alla fine degli anni Cinquanta le società concessionarie italiane – Stipel, Telve, Timo, Teti e Set – mettono a punto con le fabbriche Siemens e Face il nuovo apparecchio telefonico Unificato con base trasformabile in versione da tavolo o da parete, e componenti completamente intercambiabili. A quest’apparecchio base – ideale per ogni tipo d’ambiente – con il moltiplicarsi delle prese si affianca l’offerta dei telefoni addizionali come l’Ericofon, il Lillo, “particolarmente indicato per salotto e sala da pranzo” ed il modello “consigliato per ingombro minimo” il Grillo, con il quale il telefono entra nella storia del design.
Il Grillo, dalla caratteristica forma a conchiglia, progettato da Mario Zanuso e Richard Sapper e prodotto dalla Siemens offriva al suo proprietario, che dal 1967 può acquistarlo dal gestore SIP, il vantaggio di piccole dimensioni, compatibili con qualsiasi comodino o mensola, un aspetto simpatico e la comodità di poter essere tenuto completamente in una sola mano grazie alla sua forma compatta. Poco significativo, dal punto di vista formale quello che accade negli anni successivi. Francamente brutti sono infatti gli apparecchi a tastiera digitale degli anni Ottanta; più gradevole ma con il difetto di non essere mai dove eravamo sicuri di averlo lasciato il cordless… .
Adesso, cellulari-computer: fotografano, ricevono radio, Tv, agenzie giornalistiche, scelgono i ristorante della pizza. E l’adolescenza comincia con gli Sms. Lettere d’amore, addio.
Lucia Masina insegna storia dell'arte e storia della grafica all'Accademia di Belle Arti di L'Aquila. Negli anni Ottanta collaboratrice free-lance dell'agenzia di pubblicità e marketing Saatchi & Saatchi si è dedicata, in particolare, allo studio delle vicende artistiche tedesche e delle esposizioni universali. Tra il 2001 e il 2004 ha diretto la redazione delle sezioni Arte e Architettura della nuova edizione del Grande Dizionario Critico di Arti Visive, Letteratura, Musica e Teatro "Le Muse" per l'Istituto Geografico De Agostini. Nel 2008 ha pubblicato per i tipi del Bagatto Libri il saggio "L'Ottocento - Il secolo illustrato".