Ricordo Luzmila, una adolescente indigena Shipibo, seduta sull’erba, fra le papere, con le gambe incrociate, la testa del bambino appoggiata su una coscia, e i suoi piedini sull’altra. Lo cullava facendo tremare le ginocchia, mentre le cantava una ninna-nanna, scacciando le zanzare con i gomiti e ricamando un vestito con le dita sottili. “E tu, Azurrita, quando avrai il tuo hijito (figliolino)?”. In questa domanda veniva indicato il destino di donna. Il figlio c’era giá, come la propria stella fortunata, occorreva decidere quando farlo scendere sulla Terra. Qualsiasi motivo o scusa adducessi, le mie risposte alimentavano un dibattito sempre piú collettivo. Neo-mamme e matriarche spuntavano da ogni finestra per fare lobby per il mio figliolino che voleva nascere. In effetti, in quella comunitá, ogni coetanea aveva giá almeno due figli. Solo in quei momenti speravo arrivasse quella colossale ape che, rombando morte, amava rincorrermi: avrei avuto la scusa per darmela a gambe (ero molto apprezzata in loco perché rappresentavo lo “Zelig” locale. Piú che una Indiana Jones, ero una sorta di Bridget Jones con la natura). Il mio argomento “prima occorre diventare donna, e poi si puó essere madre”, era, per loro, un tonto psicologismo. Si diventa madre appena, fisiologicamente si puó: ecco come la vedevano.
Spice Girls crescono
La crisi moltiplica le paranoie finanziarie, belliche e ambientali. Forse l’adrenalina dell’ignoto eccita i nervi, forse ci si stordisce di piú. Ma anche se in tanti si vergognano a rendere pubblici sogni e piani per il futuro, continuano a nascere bambini ovunque. Piú che di una vaga speranza, é sintomo di ribelle vivacitá. Anche in quell’Italia che si racconta come troppo precaria o troppo vecchia, rassegnata nella sua inappropiatezza.
Camminando per una stradina adiacente all’ospedale, incrocio un gruppo di trentenni visibilmente incinte. Un trionfo di curve e pancioni accarezzati con dolcezza con una mano, mentre l’altra compone un SMS o tiene l’ultima ecografia da mostrare al dottore, come il compitino dell’alunno. Nei loro sorrisi, un grazioso orgoglio. C’é quella allegramente sfasciata che peró spiega di mangiare il triplo cono con panna montata ad ogni morte di papa; c’é quella elegante nella mise pre-maman con fiori nella gonna e nei capelli; c’é quella sportiva che sospetti giochi ancora a pallacanestro; c’é quella con il look da avvocato, filo di perle, vestito viola che le fascia il corpo incantevole. Sono le Spice Girls incinte della cittá. Vanno alla prima di otto lezioni gratuite del corso parto. Fra le ultime briciole di servizi sociali garantiti. Un corso tenuto da un’ostetrica specializzata nel demolire le ansie. Il corpo di lei parla della sua personalitá: tozza, robusta, tatuaggio di un drago sull’avanbraccio, lo sguardo intenso e accogliente. Potresti aspettarti di trovarla stravaccata in uno dei “peggiori bar di Caracas”, come ironizza la pubblicitá di un (ottimo) rum. Non conosce il congiuntivo, ma é perfetta com’é. Lei é l’eterno che aiuta ogni donna a diventare madre. A suo modo, é madre di madri. Il ponte che guarda scorrere l’acqua sempre diversa. Ogni domanda che le viene diretta lei l’ha giá sentita da altre. Per questo non puó evitare di sorridere lievemente. Sa che ogni donna incinta vive la sua condizione come straordinaria, e non vuole esporle il segreto: é la natura, e le donne sono registe inconsapevoli della creazione.
Timori reali e irreali
Si possono dire tante cose sulla crisi all’italiana, eppure queste donne sanno di essere fortunate. Secondo l’UNICEF, le complicazioni in gravidanza e il parto comportano, nel terzo mondo, un rischio mortale 300 volte piú frequente rispetto al primo mondo. Cosí, ogni anno, mezzo milione di donne non sopravvivono al parto; il 99% di loro vivono in Asia, Africa e America Latina. Il rapporto fra le cure materne e la sopravvivenza neonatale é evidente, e un’attenzione gratuita e completa alle madri potrebbe ridurre il gap fra i paesi ricchi e quelli impoveriti. L’UNICEF conclude che i progressi nel ridurre la mortalitá infantile non sono equivalenti a quelli per limitare la mortalitá materna. I paesi in cui questa é piú comune: Niger, Afghanistan, Sierra Leone, Chad, Angola, Liberia, Somalia, Congo RDC, Guinea-Bissau, e Mali. La carenza di personale medico specializzato e sistemi di salute inaccessibili (perché privatizzati su ordine del sempre sensibilissimo FMI) alle madri meno abbienti, spiegano questa tragedia annunciata.
L’attuale generazione di madri baciate dalla fortuna del decadente welfare del primo mondo, ha qualche altra difficoltá? Mi intrufolo fra le Spice Girls e ascolto le prime battute con l’ostetrica. Da lei vogliono indicazioni precise e matematiche su come riconoscere l’inizio del travaglio, come calcolare le 350 calorie extra necessarie al pargolo, come prepararsi all’evenienza del parto prematuro, come riuscire a mantenere la perfetta intesa sessuale nonostante l’anguria nella pancia, sull’epidurale, sul corpo che “me lo dica!”, tornerá ad essere da copertina. Ma in particolare, su come eliminare il dolore, allo stesso modo in cui alcune creme proclamano avere poteri “anti-etá”. L’apprensione permea un chiacchiericcio spasmodico interrotto da risatine e da una incontenibile voglia di confessarsi, socializzando.
La cultura che battezza la psicologia materna
La giornalista Brenda Lane sottolinea l’importante ruolo della cultura nel modo in cui una donna concepisce e vive l’esperienza della gravidanza. Se in Italia l’accento é posto sulla medicalizzazione del parto, in Olanda 1/3 dei bambini nasce in casa: l’evento é visto come naturale. Se da noi il padre tende ad essere presente al momento del parto, nelle culture arabe, filippine, indonesiane, cambogiane, coreane e delle isole del Pacifico, sono le parenti donne, le compagne ideali. In molte culture indigene latinoamericane, le donne vengono aiutate dalle “comadronas”, le ostetriche tradizionali della comunitá. Non solo perché frequentemente i villaggi sono molto lontani dagli ospedali, ma anche perché quel personale medico urbano tende a non garantire un servizio di qualitá a donne indigene: parafraseando Albert Einstein, il razzismo é una strana malattia, che colpisce i bianchi, ma fa fuori gli indigeni. Ci vuole la dolcezza della propria lingua materna, al nascere e anche al morire. A proposito, l’UNICEF del Cile ha co-prodotto, assieme a specialisti indigeni, “Txür Txemüaiñ”, o Crescendo insieme”, la prima guida alla gravidanza e al parto per le indigene Mapuche, che valorizza e arricchisce le tradizioni di cura riguardanti la salute materna e infantile, attraverso i personaggi di “Papay”, un anziano saggio, e “Kuyen”, la luna, l’elemento femminile. Disponibile presso gli ospedali pubblici della Auracanía durante le cure prenatali, rappresenta anche uno strumento utile per il personale medico e i mediatori culturali che assistono donne Mapuche.
Psicolinguistica
Ma anche il fattore generazionale conta. Queste Spice Girls di classe media sono nipoti di contadine venete che, nel primo dopoguerra, sfornavano bambini con serenitá, fra un raccolto e l’altro. Avevano molta piú fede religiosa che scientifica, e non temevano di vivere compiutamente quel miracolo, visto dalle discendenti con timore psicologico piú che emotivo. “L’eccesso di informazioni su internet stordisce”, mi dice Roberta. “Alla fine scivoliamo nella curiositá della patologia, dal momento che possiamo sapere tutto”. Giá: la nonna forse non sapeva di dover rallentare il ritmo del lavoro nell’ultimo trimestre, in compenso non intellettualizzava a vanvera né si “perdeva”. Era una madre essenziale, di poche parole da dire al figlio, e di poche parole per raccontare se stessa.
Come Luzmila, l’adolescente Shipibo, che mi narró: “un giorno ho sentito che era il tempo, sono andata dentro la foresta. Mi sono afferrata al ramo di un albero forte, ed é nato. Poi sono tornata a casa e l’ho mostrato a suo padre”. Una sobrietá nel racconto che lascerebbe interdette le Spice Girls. Le quali usano espressioni come “sono terrorizzata”, “crisi”, “ho paura”, “panico”, “non so”. “Avete l’ansia del controllo”, sintetizza saggiamente l’ostetrica. “Forse il parto vi libererá da questa tensione mentale che non vi serve in nessun aspetto della vita”.
Luzmila si accetta sola nell’esperienza piú trascendente della sua vita. La fierezza di essere donna la rende “semplicemente” coraggiosa. Questa forza é frutto di una auto-narrazione intergenerazionale di donne, di uno specchiarsi positivamente nella pratica del parto come conoscenza di sé. Un percorso piú lungo per altre donne, dall’altro lato del pianeta. Fortunate, teneramente fragili. Educate e protette, accompagnate e spesate. Non tutto é performance, comparazione, aspettative cariche di tensione. Si fanno prendere per mano dall’ostetrica, una pirata della tenerezza, e scavano dentro di sé, ritrovando il valore di essere natura.
Specialista in cooperazione internazionale. Autrice di "Romanzo di frontiera" (Albatros, Roma 2011), magia e realtá delle donne latinoamericane alla frontiera Messico-USA; "In Amazzonia" (Milano, Feltrinelli, 2006); "La Ternura y el Poder" (Quito, Abya Yala, 2006); "Una canoa sul rio delle Amazzoni: conflitti, etnosviluppo e globalizzazione nell'Amazzonia peruviana" (Gabrielli Editore, Verona, 2002); co-autrice di "Prove di futuro" (Migrantes, Vicenza, 2010).